Capitolo 19 - Secondo modulo

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Per ora, del secondo modulo ho capito che consiste nell'aspettare in questo buio corridoio, in attesa che Quattro ci chiami.
Finora interni e trasfazione sono sempre stati separati, ma adesso siamo qui riuniti tutti insieme. Alcuni seduti sulle poche sedie appoggiate alla parete, alcuni in piedi.

Quando noi trasfazione siamo arrivati gli altri erano già qui.
Leah ha fatto subito segno a me e Zeliah di raggiungere lei e i suoi amici.
Ora stiamo qui, in piedi, ad aspettare.
Luke e Leah che si punzecchiano scommettendo su chi dei due farà meglio in questo modulo, Ryan che si chiede ad alta voce di cosa si possa trattare. Nessuno lo ascolta.

«Luke la smetti?» esclama Leah tirandogli un pugno.
«Se la smetti tu. Sai già chi dei due sarà il migliore, sorellina» lui schiva il pugno e le tira una ciocca di capelli.
Li guardo bisticciare e in qualche modo torno alle fattorie, a quando io ed Ami ci facevamo i dispetti.

Credo che Leah sia fortunata, e così anche Luke, ad avere un fratello nella stessa situazione. Scherzano e ridono, e sono sicura che se uno dei due ha bisogno l'altro non esita ad esserci. Un po' li invidio.

Dopo una decina di minuti di attesa il rumore nel corridoio aumenta. Per scaricare la tensione c'è chi parla, da solo o con qualcuno, chi batte un piede per terra e chi mormora tra sé chissà che cosa.

All'improvviso la porta intorno alla quale stiamo aspettando si apre ed esce Eric.
Ci richiama al silenzio, ma non ce n'è neanche bisogno. Basta la sua presenza a far tacere tutti.

«Cominciamo. Ordine alfabetico, Pacifica tocca a te».
Mi sento svenire. Io? Per prima?
Esito, ma una mano mi spinge avanti. Deve essere Zeliah.
Mi faccio coraggio e varco la soglia della stanza. Non ho idea di cosa mi aspetti al di là.

«Buongiorno Aimeen» mi saluta Quattro.
Cerco di fare un sorriso ma è molto probabile che invece sia una smorfia.
È seduto ad una scrivania, davanti ad un computer e ad un macchinario collegato ad una sedia reclinabile. Come quella su cui mi sono seduta per fare il test attitudinale.

«Siediti» dice alzandosi e prendendo una valigetta dalla scrivania. La apre ed estrae una siringa con un ago lunghissimo. Rabbrividisco.
È piena di un liquido arancione.

«Cos'è? A cosa serve?» chiedo.
«Un siero per la simulazione. Questa sarà diversa da quella del test attitudinale» spiega, picchiettando la siringa per far uscire l'aria «Questo siero stimola la parte del cervello responsabile della gestione delle emozioni negative, come la paura, e quindi induce un'allucinazione. I trasmettitori contenuti nel siero consentiranno al computer di creare l'immagine della tua allucinazione, così la potrò vedere e registrare. L'allucinazione scompare quando ti calmi, quindi quando il battito cardiaco rallenta e la respirazione torna sotto controllo».

Annuisco e mi sento la gola secca.
Quattro mi sfiora il collo, scostandomi i capelli ed infila l'ago delicatamente nella pelle morbida del collo.
Un dolore acuto si diffonde in tutta la gola.
«Il siero farà effetto entro sessanta secondi. Sii coraggiosa, Aimeen».

Se riuscissi gli sorriderei, ma sento già i sintomi della paura. Le mani mi sudano, il cuore sta accelerando, ho un groppo in gola.

In un attimo la stanza sparisce dalla mia vista.

Mi ritrovo distesa in un letto, è buio ma riesco a distinguere la stanza, ha alcune caratteristiche che riconosco come quelle delle residenze dei Pacifici.
Mi alzo e mi guardo bene intorno, sono sola.

Improvvisamente mi rendo conto di un rumore che prima non sentivo, una specie di fruscio che non riesco ad associare a niente.
Giro per la stanza, in cerca della fonte.
Ed è in quel momento che dal pavimento vedo affiorare dei fili di fumo. Corro alla porta della stanza e la spalanco, con l'intenzione di scendere e andarmene da lì.

Ma le scale che scendono si stanno riempiendo di fumo, dal piano di sotto salgono alcune fiamme.
Mi ritiro subito nella stanza e chiudo la porta. Sta bruciando. L'edificio sta bruciando! E io sono qui, in questa stanza.

Sento crescere il panico. Il fumo aumenta a vista d'occhio, il suo odore acre si diffonde nella stanza.
Mi affaccio alla finestra, in cerca di aiuto. Ma è tutto deserto, nessuno in vista.
Spalanco comunque la finestra per fare entrare aria. Il fumo continua a salire tra le assi del pavimento.
Cerco di star calma, ma sento il mio battito cardiaco accelerare e ho l'impressione di far fatica a respirare.

Giro senza sosta nella stanza, mettendo all'aria armadi e cassetti in cerca di qualcosa. Ma nemmeno so cosa potrebbe aiutarmi. Ci sono solo vestiti gialli e rossi e qualche strumento musicale. Mi esce una risatina nervosa. Strumenti musicali. Forse questo è l'unico momento in cui vorrei suonare il banjo, piuttosto che morire bruciata.

Sento il calore aumentare. Mi passo una mano sulla guancia, la mia pelle è piena di sudore.
Do un'occhiata alla porta e decido che devo salire più in alto. Se rimarrò qui il fuoco arriverà presto.
Però non ci sono scale per salire. Non c'è un piano sopra di me. Solo il tetto.

Guardo la finestra, è la mia unica possibilità.
Mi asciugo i palmi sudati sulla gonna rossa e scavalco la finestra, tenendomi alla cornice. Ce la posso fare.
Sotto di me le fiamme divampano inghiottendo anche il muro esterno, sento il calore circondarmi.
Le gambe mi tremano mentre cerco possibili appigli sul muro. La grondaia. È l'unica cosa sulla quale posso arrampicarmi, e fortunatamente è vicina a me.

Sbircio nella stanza, dove le fiamme stanno inghiottendo la porta, poi mi slancio verso la grondaia e mi arrampico facendo leva con i piedi contro la parete.
Quando arrivo sul tetto riprendo fiato, e subito dopo mi guardo intorno in cerca di una via di fuga.
Non ci sono alberi, non ci sono edifici vicini.

Grido aiuto, ma come sospettavo nessun segno di qualche presenza. Sto andando in panico. Forse avrò un quarto d'ora prima che le fiamme arrivino quassù.

«Mamma! Papà!» grido ancora mentre mi sento pungere gli occhi.
Inutile riprovare, se ci fossero mi avrebbero già risposto. Spero che loro stiano bene.

Sento il fumo arrivare, tossisco.
Cammino lungo il bordo del tetto e guardo giù. Faccio due volte tutto il giro. C'è solo un covone di fieno, a qualche metro dal muro, ma io sono a più di nove metri d'altezza.

«Aiuto!» grido ancora.
Improvvisamente mi balena in mente la faccia di Quattro. Mi concentro su di lui e mi ricordo che tutto questo non è reale. Ma sto respirando il fumo, sento il calore sulla mia pelle, il crepitio delle fiamme sotto di me. Sembra così reale.

"Sii coraggiosa".
Risento le parole di Quattro. E cerco di ricordarmi cosa mi ha detto.

"L'allucinazione scompare quando ti calmi".
Guardo al di là del bordo, sono giusto sopra al covone di fieno.
Mi dico che l'ho fatto tante volte, da un'altezza molto minore, è vero, ma l'ho fatto. Questo non è reale. È solo un'allucinazione.

Apro le braccia e faccio un respiro profondo, mentre sento il cuore cominciare a rallentare.
Mi sto calmando, la simulazione tra poco finirà.
Penso a mamma, a papà e ad Amineah. E mi butto.

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