Capitolo 18

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Apro gli occhi e tutto il bianco che ho intorno mi sta facendo male agli occhi. Non so per quanto ho dormito, so solo che se potessi, ricomincerei a farlo.
Non riesco ancora a credere alle parole che ha detto Albert, in mezzo al corridoio. Non riesco proprio a metabolizzare.
Appena cerco di sollevarmi e di conseguenza, di portare il mio braccio destro al mio fianco per farmi forza e raddrizzare la schiena sui cuscini, lo sento bloccato da qualcosa, così, cerco di mettere meglio a fuoco e vedo dei capelli scuri, scompligliati di fianco al mio letto, appoggiati al mio letto e che tengono la mia mano.
Il viso di Mark, addormentato è qualcosa di meraviglioso, sembra di vedere un bambino, non un ventenne.
Mi guardo poi intorno, nella stanza e vedo che su una poltrona ci sono Ginny in braccio a Tom, addormentati, come due fratelli che stanno aspettando qualcosa, ma non hanno resistito e non sono riusciti a resta svegli.
Per terra, vedo Robert, con la testa appoggiata sulla spalla di Jack che ha a sua volta la testa appoggiata alla spalla di Roy.
La visione è troppo dolce dei ragazzi, tutti in questa stanza addormentati come dei bambini.
Ma poi, mi riprendo non appena capisco che non sono qui per un incidente non voluto, sono qui per me, che li ho fatti preoccupare e tenuti con il respiro mozzato per quattro ore.
Vedo poi, seduta su un'altra poltrona, Daisy, che si è addormentata, in braccio a Jonah, che mi sta guardando con il suo sguardo color cioccolato, uguale al mio.
Mi fa spaventare per un attimo vederlo così, scuro in viso e con le guance rosse e il dolore nelle sue iridi.
Questa volta, l'ho fatta davvero grossa e non penso che possa perdonarmelo.
Vicino alla porta, colgo un movimento e vedo un altro sguardo, sta volta color caramello, che mi sta guardando, in maniera più rilassata ma comunque preoccupata, Derek.
La porta poi si apre e rivela un infermiera piuttosto bassa, con in mano un vassoio e del cibo sopra.
-Oh, finalmente ti sei svegliata cara. I tuoi amici erano così tanto in pensiero che hanno voluto dormire qui con te- dice, sorridendo e posando il vassoio di fianco al mio.
Non credo che definirli amici, sia la parola giusta, credo sia meglio dire che loro sono la mia vera famiglia.
-Grazie- dico con voce roca e bassa, non sembra nemmeno la mia.
-Oh, non sforzarti, ti porto anche un tè caldo per migliorare la gola, sai, dopo due giorni- dice ed esce, salutando Derek e Jonah, che ricambiano con un finto sorriso.
Ho dormito per due giorni? In maniera interrotta? Quanta febbre ho avuto?
L'unico modo per scoprirlo è chiedere ai due ragazzi che non hanno ancora aperto bocca e mi stanno mettendo parecchio sottopressione.
-Non provare a parlare, sappiamo già cosa vuoi chiedere- dice subito freddo Jonah, io mi limito a deglutire e guardarlo, con il viso stanco e i capelli totalmente spettinati, che vanno ovunque e i suoi occhi, che uguali ai miei, fanno un contrasto strano con la pelle chiara, che mi sono sempre piaciuti, ora mi incutono timore.
-Hai avuto la febbre a quaranta Sunny, eravamo in ansia per te. I dottori ti hanno scaldato in ogni modo a loro possibile e dato tanto antibiotici per metterti in sesto. Per fortuna ne sei uscita ma hai avuto crisi, incubi e parlato continuamente e calmarti è stato difficile.
Tutti i ragazzi sono venuti qualche ora a tenerti d'occhio, chi dà fuori e chi è entrato, per assicurarsi che non succedesse nulla.
Ci hai fatti spaventare- dice, a bassa voce per non svegliare la mia migliore amica.
Io mi sento uno schifo, non volevo che si spaventassero tutti in questa maniera, non era mia intenzione.
Ho avuto un momento di crisi e non volevo avere nessuno con me, proprio nessuno.
-Sunny, cosa è successo a scuola? Daisy non ha voluto parlarcene. Albert non si fa trovare e non ostante Jonah sia andato a casa vostra, vostra madre non ha voluto aprirgli e gli ha detto che non sarebbe più dovuto tornare. Cosa hai detto o cosa hai saputo?- chiede Derek, guardandomi in maniera più dolce e solo ora, mi viene in mente che raramente mi ha guardato in quella maniera.
Mi fa piacere e mi fa venire i brividi, non per il freddo però, anzi mi sta scaldando la pelle in maniera anormale.
-Albert stava prendendo di mira Daisy- dico, cercando di parlare, ma Derek mi viene subito incontro, passandomi un bicchiere d'acqua.
Lo ringrazio con gli occhi e butto giù l'acqua.
-Così ho iniziato a rispondergli, stavo riuscendo a tenergli testa ma a un certo punto, ha detto che io e te siamo stati adottati, l'ha detto con una cattiveria che non potevi non prendere per vera- dico, cercando di non singhiozzare per il dolore che sento nel petto.
Vedo Jonah sgranare gli occhi e poi tornare con il suo solito sguardo.
Non sembra stupito quanto me, anzi, non lo sembra affatto.
-Tu lo sapevi?- chiedo, cercando di mettermi più dritta, dimenticando della mia mano incastrata sotto Mark.
-No Sunny, non lo sapevo- dice, distogliendo il contatto visivo dal mio e guardando Daisy.
-Non dire cazzate Jonah, tu lo sapevi, vero?- dico, iniziando ad alzare la voce. Non vorrei svegliare gli altri ma mi sto scaldando, forse troppo in parte.
-Certo che lo sapevo Sunny, siamo arrivati insieme a casa, io avevo cinque anni, come posso non ricordare?- dice, sbuffando esasperato. So che vorrebbe alzarsi per poter parlare e andare avanti e indietro.
Ma Daisy non sembra volersi svegliare, di conseguenza, deve restare seduto.
-Perché non me lo hai mai detto?- dico, cercando di non urlare, ma con le lacrime che rischiano di uscire dai miei occhi. Non voglio piangere e mostrarmi debole, ma la voragine nel petto si sta riaprendo e sembra che mi stia comprendendo i polmoni.
-Perché non sapevo come dirtelo! Albert non avrebbe dovuto dirtelo, è stato un coglione e gli avevo chiesto più volte di non farselo scappare, in mezzo alle sue cattiverie- dice, esasperato e passandosi ripetutamente le mani nei capelli, a disagio.
-Chi sono i nostri genitori?- chiedo, in un ringhio. Voglio saperlo e credo che l'unico che possa saperlo sia proprio lui.
-Non lo so...- inizia a dire ma io lo zittisco.
-Non è vero, hai detto di essere il più grande, quindi ti ricorderai qualcosa, no?- dico, velenosa, alzando la voce e guardandolo negli occhi.
-Sunny è complicato, non so chi siano. Io ero già in orfanotrofio e poi sei arrivata tu, dalle stesse persone e hanno detto che eri mia sorella. So solo questo. Non so perché non ci abbiano voluto e non mi è mai interessato. Se ci hanno abbandonato ci sarà un motivo!- dice, iniziando ad arrabbiarsi anche lui e a questo punto mi zittisco.
Non ci hanno voluto i nostri genitori e così i Ross ci hanno preso sotto la loro custodia, non ostante avessero già Albert.
Hanno fatto un gesto generoso, così come lo ha fatto Albert, accettandoci in casa sua.
Però non capisco, perché a un certo punto, mio padre ha dato in escandescenza, con me e Jonah per la storia delle moto? Non è che essendo adottati, siamo giustificati per andare d'accordo, ma essendolo, perché metterci contro di lui.
Questa è una domanda che gli farò appena lo vedrò, così come vedrò Meredith e vabbè, Albert e cercherò o cercheremo di rimettere a posto le cose, sempre che anche mio fratello voglia farlo.
Dopo un attimo di riflessione, mi limito ad annuire, guardando gli occhi cioccolato di Jonah, che sono fissi sulla mia figura, che aspettano una risposta.
Si è dovuto portare questo fardello per anni, senza potermelo dire e chiedendo ogni volta a Albert di stare in silenzio, immagino quanto sia stato difficile. Soprattutto reggere tutto lo stress, i miei sfoghi delle mie crisi esistenziali, quando mi sembrava di non assomigliare a nessuno dei due, di essere qualcun'altro.
In parte mi spiace e capisco quanto sia forte la sua indole da fratello maggiore, che cerca sempre di difendermi.
Vorrei poterlo abbracciare, per poterlo tranquillizzare e dirgli che ho capito, va tutto bene e non dovrà più preoccuparsi di nulla.
Uscita da qui, cercherò un lavoro e aiuterò con l'affitto, almeno spero.
Inizio a vedere i ragazzi svegliarsi e venirmi incontro al letto, per chiedermi come sto e cosa sia successo, ma ora non riesco proprio a parlare.
-Ragazzi, meglio lasciarla ancora riposare, domani potremo riaverla a casa con noi, non preoccupatevi- dice Derek, invitando i ragazzi ad uscire e loro annuiscono delusi, salutandomi e sbadigliando.
Spero vadano a riposarsi a casa.
-Ci vediamo dopo Sunny, ora riposa- mi dice Jonah, in maniera leggermente fredda ma cosa posso aspettarmi? Ha ragione, dopotutto, ha appena detto verità non dà poco sul nostro passato e soprattutto, crede che io lo stia odiando, quando non è per niente così.
Escono anche mio fratello e il moro, per ultimi e mi lasciano nella stanza bianca e incolore dell'ospedale.
Mi guardo attorno e mi sento spersa, in un mondo senza colori, solo ombre nere e tutto bianco. Niente di mio personalizzato, niente che faccia capire a chi appartiene questa stanza e che passata può aver avuto, perché è così una camera d'ospedale.
Non deve interessarti chi c'è stato prima di te e non puoi restarci tanto per farla diventare tua, è solo un momento transitorio, un luogo transitorio della tua vita.
E io mi sento come questa stanza, un essere transitorio nella sua vita in questo momento, completamente bianca, che non le permette di capire che colori la rispecchino.
Mi addormento con questa riflessione all'interno della mia testa.

Fango, Ruote e AmoreWhere stories live. Discover now