Capitolo 35.

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Lo guardo attentamente, aspettando che incominci a parlare.

Le sue nocche ormai sono bianche, a forza di stringere i pugni, e a causa dell'agitazione.

Mi fa sedere accanto a lui sul letto, e io gli poggio istintivamente una mano sul ginocchio, per cercare di calmarlo, e la cosa sembra apparentemente funzionare.

Lentamente iniziare a parlare, scandendo ogni parola, sottolineando ogni fatto.

«All'inizio doveva essere tutto un gioco. Insomma, pensavo che fosse soltanto un passaggio della mia stupida adolescenza, uno dei tanti.» fa un lungo sospiro, ha lo sguardo vago. «Ma poi le cose sono cambiate, tutto quanto è cambiato. Ho incominciato ad esagerare, a perdere il controllo di me stesso. Ormai la droga era diventata la mia migliora amica, era come una compagna di viaggi, per me. E la cosa mi piaceva molto, sai.» sposta lo sguardo su di me, concentrandosi sui miei occhi.

Io gli prendo una mano, stringendola sempre più forte, facendogli capire che comunque io ci sarò, e non mi importa del suo passato, adesso lui è qualcun altro.

«Avevo anche due migliori amici fantastici, eravamo un trio perfetto. Uno di quelli che non si trovano facilmente in giro, condividevamo tutto. Era una cosa unica, insomma. Il problema è che io sono stato così stupido, così menefreghista. E ancora oggi me ne pento, perché non smetterò mai di farlo.»

Jason ricambia la stretta, e alcune lacrime gli scendono sul volto, rendendolo così indifeso e piccolo.

«Sai qual è la cosa più strana?» mi chiede.

Faccio cenno di no con la testa, non smettendo mai di guardarlo negli occhi.

«Che per questo ho rovinato mia madre. Ma non lo definirei un comportamento strano, forse più che altro immaturo, perché è quello che ero. Peccato che poi io sia stato ancora più stupido a non accorgermene...»

Il suo volto è ricoperto dalle lacrime, che non ne vogliono sapere nulla di dare una tregua al loro scorrere.

Fa una risata amara, prima di ricominciare a parlare.

«Mi ricordo perfettamente quel giorno. Quel maledetto giorno che sono arrivato a casa. Ormai era quasi un anno che facevo quella vita, e forse avrei anche dovuto aspettarmelo. È stato così...» ispira profondamente.

Abbassa la testa, non riuscendo più a guardarmi. Non riuscendo più a sopportare che io lo veda in queste condizioni. Lui, Jason Johnson, il ragazzo che apparentemente non ha mai pianto. Ma a quanto pare mi sono sbagliata anche io la prima volta che l'ho conosciuto, giudicandolo.

«Sono tornato a casa. Ero ubriaco fradicio, e avevo pure sniffato della roba. Ero ridotto uno straccio. Mi ricordo che ero lì, fermo, davanti a quello stupido cancello, mentre quegli stronzi mi dicevano che mia madre era morta. Ti rendi conto, Samantha!? Morta! E vuoi sapere anche come? Aveva deciso di volare dal secondo piano del condominio.»

A quelle parole il mio corpo si irrigidisce e si immobilizza.

Ho capito perfettamente le sue parole, e mi dispiace così tanto che sua madre abbia tentato il suicidio e ci sia riuscita in pieno, ma non riesco a dirglielo. Mi sento come bloccata.

«Sai qual è la cosa buffa?»

Io faccio di nuovo cenno di no, continuando a farlo parlare.

Il suo sguardo si sposta di nuovo su di me, che non ho mai smesso di osservarlo per tutto questo tempo.

Forse con compassione, ma chi non lo farebbe.

«Che la portarono in ospedale, per vari accertamenti. E notarono che non era morta, che forse per lei c'era ancora una speranza. Rimase in coma per un mese, e in quel periodo io smisi di fare tutte quelle cose stupide. Smisi persino di uscire con la solita compagnia con cui ero abituato. E la cosa all'inizio non mi dispiacque. Quando finalmente si risvegliò dal coma io ero fin troppo felice, la andavo a trovare tutti i giorni, piangevo con lei, le chiedevo scusa ogni secondo per quello che le ho fatto, e ci ridevo pure insieme. Pensa che c'è stato persino un periodo in cui lei continuava a negare fosse stata colpa mia. Che era soltanto triste perché non aveva più accanto a sé suo padre, ma in realtà sapevamo benissimo tutti e due e tutti quelli che ci conoscevano che era stata solo mia la colpa. Mia e di nessun altro. Ma come biasimarli? Ero un drogato.»

Perfettamente sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora