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Tim era seduto accanto a lei, di fianco a letto, con le mani giunte in mezzo alle ginocchia aperte. Emma, sdraiata lo osservava: i pesanti boccoli neri molleggiavano davanti ai suoi occhi, tappandogli metà della faccia.

"Perché lo hai fatto?" le chiese senza guardarla.

"Ho avuto paura di quello che avrebbero pensato." Aveva risposto lei, la voce schiacciata dal peso che le premeva sul petto.

"E di quello che avrei pensato io?" continuò incalzante il ragazzo, alzando lo sguardo.

"Anche."

"E sai che cosa penso? Non è vero?"

Emma aveva deglutito, incapace di chiedere. Incapace di sapere. E Timothée aveva alzato la voce, fissandola con gli occhi pieni di rabbia.

"Saresti dovuta morire in quel bagno, puttana del cazzo!"

Emma si svegliò di soprassalto nel suo letto. Cercò il respiro che si era troncato a metà nel petto, poco prima di aprire gli occhi in piena notte, come le capitava sempre più spesso da quando era tornata dall'ospedale. Sempre lo stesso sogno. Sempre lo stesso terrore.

Era tornata a casa da due settimane, dopo altrettante passate ricoverata prima in terapia intensiva e subito dopo trasferita in subintensiva. La prima cosa che si ricordava di aver visto quando aveva aperto gli occhi era il suo braccio fasciato, con soltanto le dita che spuntavano da sotto le garze bianche e pulite. Aveva provato a muoverle e le erano sembrate dei salsicciotti informicoliti. Poi si era voltata e aveva trovato gli occhi lucidi di sua mamma, che si era affrettata ad avvicinarsi a lei, strusciandole una mano sulla fronte. Le aveva detto qualcosa, ma Emma non ricordava le parole precise, ricordava soltanto il tono di voce caldo e profondo, che da dietro la mascherina sgorgava direttamente dal cuore. Quel cuore che alla ragazza si era fermato nel petto per pochi minuti. Il tempismo di suo padre era stato miracoloso. Se fosse stata sola Emma sarebbe morta.

Ma Emma Lombardi si sentiva morta. Sulle mattonelle nere del bagno per un breve istante la ragazza aveva ucciso la bambina che era stata, il bozzolo si era aperto, disperdendo sangue e carne sul pavimento, insieme a tutto il marcio che conteneva. Un lago nero come le mattonelle su cui si era accasciata.

Il medico era entrato nella stanza candida dove era ricoverata e gli era bastato un cenno del capo per far uscire sua madre, restando da solo con lei. Le aveva parlato premuroso e cauto, dicendole che le sarebbe servito un aiuto, che l'ospedale poteva fornirle dei numeri per parlare con qualcuno. Ed Emma aveva pensato subito a Tim.

Voleva parlare con lui, ma la terrorizzava sapere cosa avesse pensato di lei, una volta che fosse venuto a conoscenza di quello che era accaduto. Aveva annuito al medico che se n'era andato soddisfatto, lasciandola con i suoi genitori, che si davano il cambio nella sua stanza. I volti coperti dalle mascherine e gli occhi che non smettevano un secondo di perderla di vista.

"È venuto qualcuno?" aveva chiesto, la prima volta che era rimasta da sola con suo padre, incapace di guardarlo troppo a lungo in quelle iridi cangianti.

"Non pensarci, adesso. Pensa soltanto a rimetterti. Vedrai, staremo bene."

Ad Emma aveva stupito il plurale in quella frase. Stonava, come una nota sbagliata o una sbavatura su un testo scritto a penna. Chi era quel noi a cui si riferiva suo padre? Non c'erano più un noi nella mente di Emma. Soltanto lei.

Aveva chiesto ai genitori un nuovo cellulare e un nuovo numero. Non voleva che gli altri sapessero come trovarla, voleva scegliere personalmente a chi dare o non dare il proprio contatto. Si era cancellata da ogni social al quale era stata iscritta. Niente più Facebook, niente Instagram, né Tik Tok. Emma Lombardi non esisteva più.

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