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"Mi dispiace, Timothée giusto? Emma non sta molto bene oggi, preferisce non vedere nessuno."

Carla fissava il ragazzo davanti alla sua porta. Era la quarta volta quella settimana che veniva a suonare a casa, con l'intento di vedere sua figlia. Una figlia che si rifiutava di uscire dalla sua camera da quando il sabato scorso era rientrata sconvolta dopo una serata passata con gli amici.

Tim si fissò le punte dei piedi, nascondendo la delusione che gli aveva attraversato il petto, facendogli abbassare le spalle come un fantoccio privo di vita.

"Ok...magari...ecco, può dirle che sono passato?"

"Certamente. Glielo dirò, non preoccuparti."

Il ragazzo girò sui talloni, accennando un passo in direzione del cancellino in ferro battuto, ma sembrò ripensarci. Si voltò di nuovo prima che la signora chiudesse del tutto la porta di casa.

"Come sta?" chiese di getto, allungando una mano per afferrare il pomello dorato sopra la serratura in ottone.

Carla aprì di nuovo, sbucando appena con la testa.

"Non troppo bene." Ammise, con aria stanca.

"Le può dire di mandarmi un messaggio? Ho provato più volte a chiamarla ma ha sempre il cellulare spento." Chiese ancora il ragazzo con aria di supplica, combattendo contro l'impulso di entrare in quella casa con la forza e irrompere in camera di Emma per portarla via.

"Glielo dirò." Confermò la mamma di Emma, socchiudendo gli occhi.

"Ok."

Tim salutò con un gesto del capo, alzò le cuffie sulla testa e si allontanò, tormentando la catenina tra le labbra.

E Carla riuscì finalmente a chiudere la porta di casa.

L'ambiente racchiuso da quelle mura era silenzioso, come una catacomba. La donna spostò l'attenzione sul pacco Amazon che era arrivato qualche giorno prima, accantonato in un angolo e dimenticato a se stesso, durante quei giorni di preoccupazione e tormento. Lo afferrò tra le mani, ascoltando il rumore che faceva la carta marrone e spessa sotto le sue dita. Sulla stampa bianca vicino al codice a barre c'era il nome di sua figlia e l'indirizzo di casa.

Si avvicinò, strascicando i piedi in modo penoso, davanti alla camera della ragazza. Abbassò la maniglia senza fare rumore. Quelle giornate continuavano a muoversi come sott'acqua, con gesti lenti e calibrati, i suoni ovattati di quando il mondo intorno rimane sospeso come in un limbo.

La stanza di Emma era buia e l'aria rarefatta sapeva di chiuso e di vecchio.

"Tesoro è di nuovo passato quel tuo amico di scuola. Ha chiesto se puoi mandargli un messaggio."

Da sotto le coperte ammucchiate spuntavano i capelli di Emma, come una cunetta di paglia stopposa e floscia che si spargeva sul cuscino raggrinzito sotto la testa. La ragazza dava le spalle alla porta, girata contro il muro, come se avesse avuto il disperato bisogno di scavare con le unghie un pertugio dentro quello spicchio di cemento.

Sentì sua madre sedersi di fianco a lei, spostare il peso del suo corpo sul materasso e metterle una mano sulla spalla. Emma si strinse ancora di più in se stessa, quasi infastidita da quel tocco.

"Qualche giorno fa è arrivato questo pacco per te. Mi ero dimenticata di dirtelo." Aspettò qualche istante, in attesa di una reazione da parte della figlia, ma quando il silenzio si protrasse più del necessario, Carla fece un lungo sospiro posando il pacco sul comodino di fianco a letto. "Te lo lascio qui, ok tesoro?"

Il silenzio era disturbante e sua madre faceva di tutto per riempire il brusio dei suoi pensieri.

"Vieni di là in sala? Tra poco preparo un po' di pasta e mangiamo insieme, c'è anche papà."

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