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"Tim..."

Una voce sussurrata cercava di strappare Timothée dal sonno profondo in cui era immerso. La mente cercava a stento di mettersi di nuovo in moto, collegando la presenza fisica del ragazzo nella dimensione terrena reale, per abbandonare quella onirica in cui galleggiava privo di peso e di materia.

"Tim..."

Un bisbiglio ancora. E una lieve pressione sulla spalla. Timothée sentì l'aria di un suo respiro uscirgli dalle narici ed ebbe di nuovo coscienza che stesse respirando da solo. Strinse gli occhi, prima di aprirli, mettendo a fuoco il buio davanti a sé. Poi, lentamente, una sagoma cominciò a delinearsi davanti a lui, il viso di Emma vicinissimo al suo, gli occhi sgranati e colmi di inquietudine, brillavano nell'oscurità, catturando quel poco di luce che filtrava dai lampioni all'esterno.

Tim mugolò, cercando di attivare la parte del cervello adibita alla parola.

"Emma, ma che ore sono?"

"Ho fatto un incubo." Disse con un filo di voce strascicato tra le labbra, posando il gomito sul cuscino e avvicinandosi al ragazzo, sovrastandolo.

Tim si voltò a pancia in su, strusciando le mani sul viso per trovare quel poco di freschezza utile ad affrontare la situazione. Poi si tirò su, poggiandosi alla spalliera del letto e guardando la ragazza a braccia conserte.

"Sentiamo." Disse, con voce roca impastata dal sonno.

Emma imitò la posizione del ragazzo, abbracciandosi le ginocchia al petto.

"Sono davanti ad un campo deserto, pieno di sabbia. Ma io so che quello che ho davanti è in realtà un campo minato. Le mine sono ovunque, nascoste sottoterra, sparse nei punti più disparati. Quando alzo gli occhi mi accorgo che c'è un sacco di gente intorno a me, e mi sta fissando in attesa che io cominci a camminare. Capisci? Vuole che muova un passo, vuole che lo attraversi. Ma io ho paura. E non voglio."

Tim aggrottò le sopracciglia, facendosi serio, mentre Emma nascondeva il viso tra le ginocchia.

"E, ad un certo punto, il campo sparisce ed io mi ritrovo in questa casa e ci sono i miei genitori. Sono sulla porta, sono tornati e li ho davanti a me. Sono proprio a due passi. Allungo la mano ma non riesco a toccarli allora faccio un passo e...BOOM! Salto in aria. E mi sveglio."

La ragazza fissò Timothée con occhi supplicanti, in attesa di sentire una spiegazione logica al racconto appena fatto. Ma Tim, inclinò la testa, lasciando che i capelli gli nascondessero il volto. Poi, nel buio, cercò le mani di lei appese alle sue ginocchia.

"Emma, era soltanto un brutto sogno." Le sussurrò, provando ad infonderle un po' della sua tranquillità.

"Il campo minato è casa mia, Tim. Vuol dire che in casa mia io mi sento così? Pronta a saltare in aria al primo passo falso."

Il ragazzo la tirò a sé, lasciando che Emma sprofondasse sul suo petto, circondata dalle sue braccia. Iniziò a lisciarle le braccia scoperte e fredde, scacciando ogni pensiero angosciante dalla sua pelle, sperando di allontanare, allo stesso modo, il veleno che scorreva tra le sue vene.

"Va tutto bene, Emma. In questa casa ci sono io adesso, insieme a te. E non ci sono passi falsi o non falsi da fare."

Nel silenzio dell'oscurità, Tim ascoltava il battito del suo cuore, confuso con il respiro accelerato di lei, cercando di dare ad entrambi la stessa velocità. Cercando di tranquillizzarla, come si fa con un cucciolo impaurito.

"Ho sentito mia madre stasera al telefono." Disse, la voce attutita dalla pelle del ragazzo contro le sue labbra.

"Ah sì? E che ti ha detto? Stanno bene?"

TOUCHWhere stories live. Discover now