22

223 46 141
                                    

Era un susseguirsi di colpi di pistola e di sangue schizzato sull'interno del vetro della televisione, nella sua camera. Timothée sparava e sparava, sfuggiva, insieme ai suoi compagni, nascondendosi in capannoni abbandonati, del colore della ruggine. Le cuffie sulla testa sparavano anch'esse, nelle orecchie del ragazzo, la playlist dei Linkin Park, mentre non riusciva a staccare le mani dal joystick e da Call of Duty.

La foto gli era arrivata in tarda mattinata. Era arrivata con il suo solito trillo acuto e stridente, facendo vibrare il telefono nella tasca, mentre fumava una sigaretta affacciato alla finestra, chiuso in camera sua. Un paio di volte sua nonna si era affacciata, cercando di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava, ma lui aveva semplicemente scosso la testa, con un sorriso triste, provando a convincerla che andasse tutto bene. Ma non andava bene un bel niente. Stava perdendo il controllo della sua vita e poteva avvertirlo sulle punte delle dita che battevano sui tasti.

Emma ci stava provando. Stava davvero tentando il tutto per tutto con lui, scusandosi addirittura con gli amici del ragazzo, come gli aveva scritto nel messaggio. Persone che fino a prima della quarantena non sapeva nemmeno frequentassero la stessa sua scuola. A quale scopo? Timothée non riusciva a capire se Emma Lombardi facesse davvero tutto questo per lui, oppure fosse soltanto una nuova smania della ragazza di controllare ogni cosa della sua vita: come con i genitori o con il cibo. Emma non aveva coscienza di cosa significasse avere un rapporto sano con le cose e con gli affetti e questo Tim lo aveva intuito fin da subito. Appena rischiavi di avvicinarti al mondo di quella ragazza, venivi risucchiato dal vortice malsano di autodistruzione che le volteggiava intorno.

E lui era sul ciglio.

Il gioco s'interruppe. Era morto di nuovo.

Lanciò il joystick che planò sul cuscino ai suoi piedi e stese le gambe incrociando le caviglie, fissandosi i piedi mentre Chester Bennington cantava dall'aldilà:

Watch the time go right out the window

Tryin'to hold on ,did-didn't even know

I wasted it all just to watch you go

I kept everything inside and even though I tried

It all fell apart

Con la coda dell'occhio vide la porta di camera aprirsi e, istintivamente, si abbassò le cuffie sul collo, stoppando la musica.

"Timmy, puoi farmi un favore, tesoro?" sua nonna, in piedi sulla soglia, stringeva in mano una borsa blu dell'Ikea. "Potresti portarmi questi da Emma, lei è fuori a farci la spesa. Sono i suoi vestiti, glieli ho stirati e piegati. Puoi lasciarglieli sul tavolo di cucina, come faccio sempre." Gli allungò la borsa tendendo il braccio, invitandolo con lo sguarda ad alzarsi.

"Nonna, non credo che sia una buona idea." Bubbolò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli e facendo una smorfia di fastidio.

"Avanti, ci metti dieci secondi." Ribadì nonna Nina, aprendo un po' di più la porta.

"Non puoi farlo tu?"

"Io ho ancora da stirare una pila di vestiti e di questo passo finirò alla fine della quarantena. E tuo nonno si sta riposando. Forza, fammi questo piacere."

Timothée si alzò sospirando, subito dopo essersi piegato per stringersi i lacci delle scarpe. Poi si era avvicinato alla nonna afferrando il manico della borsa.

"Brava ragazzo mio." Gli aveva scompigliato i capelli. "Le chiavi sono sotto lo zerbino all'entrata." Gli disse guardandolo attentamente negli occhi verdi, solcati dall'inizio di due mezzelune violacee. "Ti farà bene uscire un po' da qui." Dette uno sguardo alla camera zeppa di libri e poster di gruppi musicali. Poi con una lieve spinta sulla schiena lo indirizzò verso la porta di casa, rinchiudendosi in quella che sembrava essere diventata una lavanderia.

TOUCHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora