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I pomeriggi dei due ragazzi trascorrevano più o meno tutti allo stesso modo. La mattina si alzavano, facevano colazione, il più delle volte Tim si svegliava prima di Emma e le portava latte e biscotti tra le lenzuola. Mangiavano, facevano l'amore, bevevano il caffè e aprivano i loro portatili, sempre uno davanti all'altro al tavolo di cucina, seguendo le lezioni in DAD. Timothée, durante quelle lezioni si soffermava a studiare i volti degli amici di Emma, e si chiedeva se avessero già capito che quella alle spalle del ragazzo somigliava davvero molto alla stessa casa della loro amica. Matteo non sembrava interessato veramente a dove si trovasse Tim e Diego poteva ormai immaginarselo. Ma Violante non staccava gli occhi da lui. La sorprendeva spesso a studiare l'ambiente dietro la testa di Timothée, e il secondo giorno aveva mandato un messaggio ad Emma per chiederle spiegazioni. Tim non le aveva chiesto niente, non erano affari suoi. Ma si chiedeva se Emma non fosse imbarazzata ad ammettere che adesso loro due stavano insieme. Le parole di Patrizia, nolente o volente, lo continuavano ad assillare. In un certo senso quello che aveva detto loro, sicuramente con i modi meno carini e delicati che potesse scegliere, poteva essere la cosa più vicina alla verità. Questo Timothée lo sapeva, non poteva negarlo. Li avrebbero pesati, valutati e sondati fin nelle viscere, tutti quanti. Ma quella che ne avrebbe risentito di più era Emma stessa. E Tim non poteva fare a meno di chiedersi quanto lei avrebbe retto ai giudizi degli altri.

Dopo le lezioni si spostavano in terrazzo, prendevano il sole sulle sdraio in giardino, Tim con le cuffie sopra la testa, Emma con gli occhi immersi sui social e le dita che scorrevano veloci sul touchscreen, gli occhiali enormi e neri a ripararla dai raggi del sole. Ogni tanto lei allungava la mano cercando quella di lui, allora Tim gliela afferrava e le lasciava intrecciate entrambe, ciondoloni a fianco a loro, sorprendendosi a lisciarle il dorso come aveva visto fare ai suoi nonni; le dita che andavano a incastrarsi perfettamente nelle fossette tra le nocche. Sembravano essere nate appositamente per stare unite in quell'intreccio.

Poi arrivavano i nonni di Tim e pranzavano in giardino tutti insieme, passandosi i piatti pronti da terrazzo a terrazzo, utilizzando il loro nastro trasportatore con il cestino di vimini, proprio sopra la bandiera con l'arcobaleno che continuava a svolazzare tra le due palazzine.

Quando dopo pranzo Emma si alzava, Tim la seguiva con lo sguardo pesante. La vedeva scomparire dentro casa, immaginandosela dietro la porta del bagno, a fissare la sua immagine in quella pozza nera in fondo alla tazza del cesso. Sentiva un morso allo stomaco, come se ci fosse una mano stretta intorno alle sue viscere, che gliele accartocciava sempre di più. Così come quella di Timothée si chiudeva a pugno, accartocciando il tessuto dei suoi pantaloncini. Si forzava di non alzarsi, di non seguirla, perché sapeva che sarebbe stato inutile. Soltanto un motivo di discussione che avrebbe rotto gli equilibri che si erano creati tra quelle quattro mura di casa Lombardi.

Emma tornava, sorridente, come se non fosse successo niente. Beveva un bicchier d'acqua, scherzava con nonno Nino, buttando indietro la testa e mostrando i denti per quanto rideva spensierata. Poi posava una mano sulla spalla di Tim, giocherellando con le cuffie appese al suo collo, sfiorandogli i padiglioni con le dita. Tim la osservava, sorrideva insieme a lei, ma la morsa allo stomaco non lo abbandonava, restava lì, stretta ai suoi organi.

I pomeriggi li passavano a studiare, o meglio: Tim obbligava Emma a studiare per gli esami di maturità che si stavano avvicinando. Ancora non sapevano come si sarebbero svolti, se ci sarebbero stati, ma il ragazzo era intransigente. Dovevano assolutamente dedicare del tempo a quei libri che Emma non aveva praticamente mai aperto.

"Questi sono nuovi, Lombardi! Senti, quando li apri fanno rumore. Sono libri vergini." Si lamentava Timothée ogni volta che ne prendeva in mano uno. Emma gli gattonava addosso, strofinando il naso contro il suo collo e baciandolo sulla bocca, con quelle labbra dolci di gloss.

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