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Si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore, i capelli appiccicati alla fronte e le coperte scalciate in fondo al letto. Cercò il cellulare sotto il cuscino per controllare l'ora, ma lo schermo era completamente nero. Non ricordava di averlo spento prima di addormentarsi. Tim attese il tempo necessario al dispositivo per riavviarsi, staccandosi la maglia sudata dalle spalle e misurandosi la febbre. Quando il termometro suonò, il cellulare era di nuovo attivo e le prime notifiche non tardarono ad arrivare.

La temperatura era scesa a 37.2, ma il ragazzo continuava a sentirsi affaticato, come se ogni gesto gli costasse una fatica sovraumana, uno sforzo indicibile. Anche scorrere la lunga lista di messaggi sullo schermo del cellulare sembrava chiedere a Timothée più di quanto riuscisse a fare in quel momento.

La maggior parte erano di Emma, ma il ragazzo si soffermò su un nome diverso in mezzo a quella lunga fila di nomi tutti uguali. Un messaggio di Valerio.

Cazzo, Tim, come stai? Mia mamma mi ha detto cosa è successo, si è sentita con la tua. Si sa qualcosa di tuo nonno?

Tim premette il tasto del microfono per mandare un vocale all'amico, nascondendo un colpo di tosse all'interno del gomito piegato intorno alla bocca.

"Oh, Vale...sto bene. Ho un po' di febbre, mal di gola e tossisco come un drago, ma niente di grave. Se non avessi questo cazzo di mal di testa e una stanchezza micidiale sarebbe una passeggiata di salute. Nonno dovrebbero averlo trasferito a..."

Il suono del telefono fisso di casa catturò la sua attenzione, troncò il messaggio vocale a metà e lo lasciò in sospeso sulla chat di WhatsApp. Sentì la voce di sua nonna lontana rispondere con un instabile "Pronto?" sussurrato tra i denti.

Timothée non si era accorto di essere rimasto con il fiato troncato a metà, i polmoni carichi d'aria in attesa di essere nuovamente svuotati. Lasciò il cellulare adagiato sul materasso, muovendo passi incerti verso la porta, accostando l'orecchio allo stipite in quel limbo ovattato in cui si era trasformata la sua camera da letto. Sentì le gambe terribilmente pesanti portare strascicati a stento i piedi dietro di loro. E, una volta arrivato a destinazione, fu costretto a mettersi in ginocchio per potersi riposare e riprendere fiato.

"Sono io, sì." Diceva sua nonna al di là della porta. Sentì smuovere una sedia e la immaginò mettersi seduta, cercando con la mano l'appoggio del tavolo. "È arrivato all'ospedale?"

Silenzio.

I battiti lenti del cuore di Timothée rimbombavano nella gola come smaniosi di fuoriuscire dalle labbra.

"No..."

Una sola sillaba tremante. Bastò quella a spaccare il cuore di Tim, a frantumarlo come schiacciato da un macigno di pietra. Due lettere. Due misere piccole lettere che tante altre volte aveva sentito o aveva pronunciato lui stesso. Sentì le lacrime scivolare sulle guance prima ancora di stringere gli occhi, piegando le labbra in un urlo che non uscì mai dalla gola.

Continuava a sentire la voce della nonna ripetere quelle stupide lettere all'infinito e per un'infinità di volte ancora il cuore di Tim continuò a rompersi in pezzi sempre più piccoli.

"No, no...non è vero. Non è vero." Il pianto di nonna Nina strabordava di dolore, schizzando le pareti di sofferenza. Ascoltarla da dietro una porta era uno strazio. Non poter andare da lei in quel momento era massacrante.

Timothée si sentiva lacerato come un vecchio straccio consumato, picchiò i pugni contro la porta, facendo tremare il legno insieme al nome di sua nonna.

Avvertì di nuovo le gambe della sedia strusciare sul pavimento e i passi veloci di nonna Nina avvicinarsi alla camera da letto dove stava rinchiuso.

Cristina appoggiò la mano aperta davanti a sé, in lacrime, il petto dolorante, stremato per tutti i singhiozzi trattenuti e per quelli che sarebbero dovuti arrivare.

"Tim...non ce l'ha fatta. Nonno non ce l'ha fatta."

Sembrava un meccanismo inceppato, un computer andato in tilt, una falla nel sistema che fino a quel momento aveva mandato avanti la vita della nonna. Si era rotta, come una tazza che cade a terra, o una televisione che si spegne senza motivo, un motore in panne che fuma fino ad esaurirsi. Fino ad esplodere. E Cristina era esplosa, in ginocchio davanti a quella porta, in una perfetta simmetria con suo nipote in ginocchio dall'altra parte, nel disperato tentativo di immaginare il tocco di quelle due mani posate sul legno, nell'urgenza stridente di un abbraccio impossibile.

Perché era quello che il covid sapeva fare meglio: dividere. La pandemia aveva diviso famiglie, lacerato rapporti, allontanato gli amori, talvolta in modo definitivo.

Aveva portato via nonno Nino, il 24 aprile 2020, strappandolo dalle braccia di sua moglie, lasciandolo solo, intubato in un pronto soccorso, senza il conforto dei suoi cari, trasportato d'urgenza verso l'ospedale covid disponibile più vicino e morto durante il viaggio.

"Devo dirlo a Tommaso..." Cristina in lacrime sentiva il peso delle sue responsabilità schiacciarla sempre più a fondo, farla sempre più piccola, una vecchina arricciolata su se stessa, ai piedi di una porta chiusa.

"Lo faccio io nonna." L'aveva interrotta Tim, tirando su con il naso, afferrando la maniglia per mettersi in piedi, sulle gambe mal ferme. "Lo chiamo io papà. Ci penso io, non ti preoccupare."

Si era avvicinato al letto barcollando, improvvisamente spaesato da quel nuovo mondo in cui stava muovendo i suoi primi passi, un mondo fattosi improvvisamente adulto, pieno di doveri che disturbavano e che talvolta facevano male al cuore.

Cercò il numero di sua madre in memoria, osservando il pollice schiacciare il nome ma senza serbare memoria di quel gesto, come se tutto questo fosse soltanto un brutto sogno dal quale sembrava impossibile svegliarsi.

"Tesoro come stai? Tutto bene? Hai sempre la febbre?"

La valanga di domande di sua madre lo investì, sotterrando le sue parole nel profondo del suo petto scosso.

Silenzio.

Sempre quel dannato silenzio prima di ogni momento che ti cambia la vita in un lampo.

"Tim?" sussurrò dolcemente sua madre, sentendo i primi singhiozzi uscire dalle labbra tremolanti del figlio.

"È morto, mamma. Nonno è morto."

Camille spinse il respiro nella bocca tappandolo con la mano.

"Dio no..."

Timothée piangeva senza riuscire a smettere, le spalle che sobbalzavano ad ogni respiro strozzato, gli occhi stretti per non vedere niente. Sentì la voce di suo padre in lontananza chiedere cosa fosse successo e immediatamente prendere coscienza della situazione, leggendola sul volto sconvolto di sua moglie.

Timothée non aveva mai sentito piangere suo padre e gli parve come un qualcosa di innaturale, di distorto. Uno sbaglio. Sentì rompersi qualcosa, un rumore attutito di cocci.

E quando la chiamata s'interruppe, Tim toccò per la prima volta quell'assenza pesante, la mancanza fisica di un qualcosa che poco prima aveva fatto parte di lui e improvvisamente gli era stata strappata via dalle mani aperte. 

Le chiuse a pugno, stringendo l'aria, nella solitudine della sua camera sigillata.

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