× CAPITOLO XXXIV ×

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× CAPITOLO • XXXIV ×





Erano passati pochi giorni da quando il palazzo in cui risiedeva Wooyoung era stato assaltato misteriosamente e per quell'esatto tempo, gli era stato anche vietato di mettere piede al di fuori di quella stessa struttura: quasi come se in contraddizione a ciò che lì dentro era avvenuto, quello fosse improvvisamente diventato il posto più sicuro in cui si sarebbe potuto nascondere. Sentiva di star ricevendo allora e solo allora, tutte le attenzioni paterne che gli erano state negate durante gli anni in cui le aveva desiderate e neanche troppo timidamente richieste. Forse era per questo che ogni premura, ogni preoccupazione esposta non più attraverso delle occhiate vaghe o con dei tocchi fugaci ma al contrario, con verbali manifestazioni di attenzione, veniva percepita da lui come fasulla e pertanto, viscidamente odiosa. La sera prima si era ripetuto che un modo per evadere da ciò che gli si stava attanagliando attorno al collo lui l'avrebbe trovato e quella stessa sera, era riuscito nel suo intento; questo era ciò che aveva pensato mentre col sorriso a macchiargli il volto aveva abbandonato di nascosto la fortezza per recarsi in strada, diretto alla prima locanda in cui sapeva avrebbe trovato qualche volto familiare con cui scambiare quattro chiacchiere fino all'indomani, ricolmi tutti indistintamente più di vino che di sangue. Al contrario delle angustiate emozioni che aveva provato durante l'isolamento forzato al quale era stato sottoposto da suo padre, Wooyoung quella notte s'era animato di sprazzi d'intenso e vivido divertimento mentre, accerchiato da persone che come lui conservavano al loro interno il medesimo stato d'animo, riempiva i calici di coloro che maggiormente gli stavano vicino col liquido rosso inebriante per la sua capacità di consentire a chi l'assumeva di scordare momentaneamente i dissapori di un'ingloriosa esistenza e i malumori ad essi correlati. Wooyoung scappava dai suoi sentimenti perché se avesse speso del tempo ad esaminarli, minuziosamente, prima o poi avrebbe compreso che era proprio quello il suo problema: svilito continuamente per tutti quegli anni, lui era il primo a non aspettarsi alcun successo da se stesso o il raggiungimento di qualsivoglia traguardo, persino il più misero e becero. L'unica cosa che sentiva di saper fare bene, era stare in mezzo alla gente, lasciarsi rifornire di energie da loro mentre sotto la pelle sentiva ancora quel piacevole vibrare che lo faceva sentire vivo e situato al posto giusto. Ma proprio quando si era abituato all'idea che la sua vita sarebbe stata sempre misera e media ― goffa e mutilata rispetto a quella che spettava ai suoi fratelli ― suo padre gli chiedeva improvvisamente di essere e di fare, tutto ciò che gli era stato posto come irraggiungibile per uno come lui e tutto ciò era stato messo in atto da suo padre: colui che ora lo spingeva ad incarnare il primogenito prediletto ed ormai perduto.

Quando si trovò poi a camminare per le strade desolate, con la testa svuotata da cattivi pensieri a causa di ciò che aveva bevuto e con un sorriso vago sulle labbra rese secche dalle risate o da chissà cos'altro, a poche ore dai primi albori del preludio di un nuovo giorno, Wooyoung si rese conto che davanti a lui, fermo al centro del percorso che avrebbe dovuto oltrepassare, se ne stava in piedi dritto ed in attesa, un uomo. Non lo osservò con attenzione, non subito perlomeno; infatti, si trovò a prodigarsi in quell'azione solo quando il pensiero che questo si trovasse lì per lui, non iniziò a fare capolino da un angolo remoto ― e rimasto assopito perché volontariamente soppresso, per tutta la notte ― della sua mente. Per istinto di autodifesa forse, piantò i piedi a terra e dopo aver stretto gli occhi scuri, tentò ― nonostante l'ambientazione non favorisse ancora la luce di cui necessitava ― di acuire lo sguardo per poter meglio osservare la figura che gli stava davanti, fortunatamente, ad ancora un paio di metri da lui. Aveva creduto per interminabili secondi che quell'uomo fosse l'assassino di sua madre e di suo fratello, arrivatogli davanti a seguito di un paio di giorni con l'intento di completare ciò che aveva lasciato incompiuto, ma quando si rese conto che colui che aveva davanti non corrispondeva esattamente a qualcuno che avrebbe potuto combaciare con un simile profilo, inclinò inconsapevolmente il capo. «Cosa ci fa un'Omega come te, qui!» Sentiva di non avere parole per spiegarsi al meglio, in quel momento, forse ancora per causa del vino il cui assopimento dei sensi ormai sapeva sarebbe andato via totalmente solo a seguito di almeno cinque ore di sonno ristoratore ma nonostante tutto, ciò che intendeva realmente, ruotava attorno alla confusione derivata dal fatto di vedere un Omega guardarlo con sguardo indecifrabile, senza calarlo mai ― com'erano invece soliti farlo altri individui come lui, quando per caso incontravano un Alpha ― mentre al contempo se ne stava da solo e lontano dai luoghi in cui ci si aspettava di trovarne. Chiuse le palpebre per qualche momento con lo scopo di inumidire le pupille rese secche dalle ore che aveva passato sveglio, poi le riaprì per riporre nuovamente lo sguardo sul giovane Omega che gli stava davanti e che almeno all'apparenza, sembrava poco propenso a parlare. «Non è un po' troppo rischioso per te stare qui?» Cercò di rendere chiare le sue intenzioni, facendo dunque capire all'uomo che ciò che provava in realtà era più vicino alla preoccupazione che all'ingiustificata ostilità. «Se qualche malintenzionato ti vede, potrebbe denunciarti. Ho visto molti Omega venire frustati dai loro detentori per molto meno.»

𝙲𝙾𝙳𝙴 - 𝟽𝟼𝟹𝟿𝟶𝟷 │ 𝙾𝙼𝙴𝙶𝙰𝚅𝙴𝚁𝚂𝙴Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ