10 - prima parte

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Quando giunse la hovercar che aveva chiamato controllò di aver dotato il Vortex di ogni applicazione che riteneva utile, quindi vi salì e le ordinò di partire.

Era più preoccupato di quanto fosse disposto ad ammettere e l'idea di commettere un'infrazione non era l'unico motivo d'inquietudine: la prospettiva di avere Skyler come compagna di squadra non era allettante, non dopo gli ultimi incontri carichi di tensione.

L'atteggiamento di Rory lo infastidiva, anche se poteva capire la sua necessità di trovare risposte; quel continuo mugugnare, le frecciatine che aveva preso l'abitudine di lanciare rendendosi antipatico e il disfattismo che si portava appresso, capace di avvinghiare e stritolare con i suoi tentacoli ogni barlume di speranza lo rendevano l'ultima persona al mondo che poteva desiderare di avere al proprio fianco. Però Skyler non era da meno, non quella dell'ultimo periodo: seria, pronta a scattare alla prima battuta sbagliata, tesa e quasi guardinga.

All'inizio aveva creduto che la causa andasse ricercata nel rischio che le avevano chiesto di correre, ma quando lei aveva dichiarato di voler proseguire nell'indagine quella convinzione era venuta meno. Per lei non doveva essere facile remare contro Croyle, quando si trovava così bene nella sua azienda, ma il senso di giustizia era più forte di tutto.

Si chiese cosa avrebbe pensato l'affascinante referente se l'avesse saputo; doveva essere un pensiero fisso anche per Skyler. La situazione della ragazza non era delle migliori, aiutare lui le stava costando molto e non poteva biasimarla se non riusciva a essere pacata e serena; avrebbe cercato di tollerarne gli sbalzi di umore.

Quando atterrò sull'anello del residence dove l'amica abitava comprese che la decisione di sopportare il malumore della ragazza non sarebbe stata difficile da rispettare: Skyler entrò nell'hovercar sorridendo e lo salutò con entusiasmo. Qualcosa nei suoi occhi gli parve diverso, vi era una sfumatura inedita che non sapeva interpretare e il tono della voce era più disinvolto e sicuro. Immaginò che avesse a che fare con Ryben, che la faccenda avesse avuto un seguito, e cercò di non pensare all'antipatia che aveva provato ogni volta che era comparso tra i ricordi dell'amica.

Era comunque un sollievo vederla più serena, soprattutto considerato ciò che avrebbero dovuto fare quel giorno.

Per l'intera durata del viaggio, che non superò il quarto d'ora, parlarono di Croyle, del suo lavoro sui sintetici e di ciò che speravano di trovare dove stavano andando.

Sotto di loro, alla città si era sostituita prima la zona di produzione energetica e quindi quella agricola, entrambe curatissime.

La cittadina di Naen non era lontana quando l'hovercar cominciò a rallentare. Jacen abbassò lo sguardo sui campi coltivati che brillavano al sole splendente; non vi erano altre costruzioni che i depositi per gli heedfields che si occupavano delle colture. Nulla che facesse pensare a un laboratorio o a un'azienda, se pur di dimensioni modeste.

Il veicolo scese in un'area adibita ad atterraggio e i passeggeri uscirono, ordinandogli di ripartire.

«Sei certo che sia il posto giusto?»

«Sì, le coordinate sono queste»

Gli sguardi di entrambi si posarono sulla costruzione che avevano di fronte: un capanno a pianta esagonale, simile a ogni altro nelle vicinanze, con le pareti in metallo e vetro sabbiato decorato a motivi floreali e una scala esterna ad avvolgerlo a spirale su tre lati fino al tetto, piatto come d'abitudine.

Skyler si voltò verso Jacen. «Proviamo a entrare?»

A rispondere fu una voce dall'alto. «È chiuso, ho già controllato»

Marchio di fabbricaWhere stories live. Discover now