8 - prima parte

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Quello che le avevano proposto di fare era complicato. No, complicato era un eufemismo poco efficace; folle era un aggettivo più adeguato.

Jacen ripensò allo sguardo che aveva mentre gli riferiva del nuovo lavoro, a quella luce che le illuminava gli occhi, orgogliosa del proprio successo. Sapeva quanto quel lavoro fosse importante per lei e cosa rappresentasse in termini di stabilità e prestigio. Eppure non si era tirata indietro, non aveva vacillato, pronta a mettere tutto in discussione per quella che era un'indagine non ufficiale, per un ideale.

Quel giorno chiunque avrebbe potuto interrompere il suo lavoro alla Bringbey: un ficcanaso, un mitomane in cerca di fama, perfino un dipendente dell'azienda. Invece era comparsa dal nulla quella ragazza brillante e idealista; quante possibilità c'erano che accadesse?

Non aveva mai creduto nel destino, ma la fortuna, quel giorno, gli aveva di certo sorriso.

Skyler aveva ascoltato la proposta di Emerald in silenzio e non aveva aperto bocca nemmeno quando Jade si era detta contraria, definendo il piano troppo rischioso. Alla fine aveva guardato lui, Jacen, solo per un istante, prima di dire che era disposta a correre il rischio.

***

Aver ottenuto il lavoro che desiderava tanto era un successo, le aveva permesso di capire il proprio valore: ora sapeva di potercela fare. Ma quando aveva scoperto che il proprietario dell'azienda era l'uomo che più di ogni altro era responsabile del problema synth qualcosa era scattato dentro di lei.

Aveva accettato la proposta di lavoro e, una volta a casa, recuperato ogni informazione possibile sulla "questione synth": al momento dei fatti era troppo piccola e ricordava a malapena qualche sensazione e frammento di conversazione tra i genitori, oltre le brevi righe che aveva letto durante il periodo di formazione.

Era subito nata in lei una profonda antipatia per Avix Croyle, certamente dotato di una mente brillante, ma carente dal punto di vista emotivo. L'empatia, in particolare, sembrava essergli estranea, come se avesse disertato ogni lezione di educazione civica e umana del proprio piano di studi. O forse, più semplicemente, credeva davvero in quello che sosteneva: i sintetici erano macchine di sua proprietà, creati in laboratorio dal suo team, e non andavano considerati esseri umani.

Ma Skyler aveva conosciuto Adam e ne aveva percepito la sofferenza. Non vi era segno alcuno che lo distinguesse da chiunque altro; vi era anzi in lui anche la preoccupazione per ciò che la sua condizione avrebbe potuto causare alle persone vicine, motivo che l'aveva spinto a scegliere un'esistenza solitaria. Un sentimento non solo umanissimo, ma nobile, che rendeva la storia ancor più malinconica.

Dopo aver letto le dichiarazioni di Croyle le era diventata insopportabile l'idea di lavorare per lui. La proposta di Emerald era perfetta: rendeva utile la sua posizione alla Livetech e dava loro speranza di trovare le spiegazioni che stavano cercando.

Jacen non le era sembrato entusiasta, aveva sottolineato le difficoltà che avrebbe potuto incontrare durante l'esecuzione e i rischi che avrebbe corso. Aveva ragione: nessuno di loro aveva idea di come fosse strutturato l'edificio, né conoscevano abbastanza Croyle e i suoi collaboratori più stretti da capire come avrebbero reagito se l'avessero colta in flagrante. Ma, dopo una discussione pacata e costruttiva, avevano escogitato un piano d'azione che Skyler considerava prudente e ben congegnato.

Il giorno successivo una delle assistenti della Livetech l'accompagnò in una breve visita guidata, mostrandole le diverse zone in cui era suddiviso l'edificio. Fu un'esperienza interessante per Skyler, che ebbe modo di apprezzare la tecnologia e la praticità che trasparivano da ogni superficie e dettaglio.

Marchio di fabbricaWhere stories live. Discover now