CAPITOLO 73

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We got something to believe in Even if we don't know where we stand 


«Un momento. Ricapitolando: due giorni orribili.» Lui contava sulla punta delle dita.

Lei approfittò dell'assenza dei figli per un onesto: «Cazzo, sì».

«Ci siamo messi l'un l'altra nei guai.»

«Sì.»

«Abbiamo elevate probabilità di aver perso entrambi il lavoro.»

«E nessun segno di tornare indietro.» Claudia cambiò il ritmo delle dita.

Suo marito si adattò. «Pazienza. Mi sto abituando a farla seduto.»

Pensando alla scena, lei scoppiò a ridere. «Non ci ho nemmeno provato a stare in piedi.»

«Fare cosa, mamma?» Oscar tornò al suo posto. «In piedi dove, papà?»

«Non mi abituerò mai a quel coso che traballa» confessò Claudia asciugandosi una lacrima.

Anche lui sorrise, mentre Oscar faceva un vago tentativo di inserirsi nella conversazione e Silvia, che non osava credere che i suoi genitori parlassero di pene a tavola, esclamò loro di smetterla e mise un boccone di pizza in bocca al fratello pregandolo di finire in fretta.

In cucina cadde un piatto, giunse un'imprecazione poi di nuovo il tranquillo vociare indistinto. Il caldo si era fatto insopportabile.

«Andiamo a casa?» propose lei, prendendo la borsa.

Marco la trattenne:

«Perché vuoi vendere l'appartamento?»

«Ah.» Rimise a posto la borsa. «L'hai scoperto.»

«Così come l'appuntamento con il consulente» aggiunse lui lugubre.

La gola di nuovo in fiamme, Claudia bevve. «Anche questo.»

«Antonella me ne ha parlato senza volerlo, poi lui ha chiamato per cancellare l'appuntamento.»

Claudia incrociò le braccia. «Ammetterai che non stavamo andando bene, tu e io.»

«Stavamo? Hai parlato al passato?»

Sua moglie fissò la cucina e nient'altro. «Non mi illudo che sia cambiato tutto, adesso.»

Sarebbe stato facile lasciare le dita ferme e ricominciare a litigare. Ancora più facile sarebbe stato alzarsi e scappare con la scusa di mettere a letto i ragazzi. Marco allungò il braccio e le prese la mano, tagliando a metà il tavolo così come le vecchie abitudini.

«Non sono d'accordo nel ricorrere a un esperto, soprattutto ora.» Si frugò nella maglia, mostrò la spallina del reggiseno. «Però ti concedo un tentativo. Se lunedì siamo ancora...» Sbirciò i figli che li ascoltavano. «Così, allora d'accordo.»

«D'accordo?» ripeté lei, il cervello in tilt.

«Il tuo esperto ha cancellato l'appuntamento solo per spostarlo di una settimana. Gli ho detto che ci andremo insieme.»

Da anni non provava gratitudine per suo marito. Nelle ultime ore stava correndo il rischio di tornare a farci l'abitudine. Accettò le dita di Marco tra le sue e per un istante dimenticò che le dita erano al posto sbagliato.

«Io credo...» Si interruppe per schiarirsi la gola con forza. Contemplare il proprio volto in attesa divenne di colpo come rendere conto a se stessa, non più a Marco, del tempo trascorso ad aspettare qualcosa che non poteva nascere che da lei. «Credo di voler lavorare. Di più. A tempo pieno. Nel tuo ufficio, se non riusciremo a tornare al posto giusto. No, non è vero, il tuo lavoro mi fa schifo» si corresse. «Un lavoro che conosco e so fare. Progetti miei. Lo so, lo so, ci vorrà una tata, magari una donna delle pulizie, spese evitabili se io rinunciassi alla carriera.»

«Forse.»

Nel chiasso del locale, lei dovette chiedergli di ripetere, perché il sussurro di lui si era perso nella manciata di centimetri che li separavano.

«Potrei lavorare io di meno. Forse non è obbligatorio che sia io, l'uomo, con lo stipendio più elevato». Scrutò Claudia, ma era suo padre, Gentile Benvisi, che gli gridava addosso oltraggiato.

«Cucineresti?» fu l'unica perplessità della moglie.

Marco provò il desiderio impellente di baciarla. «Se mi insegnerai.»

Claudia giocherellava con le dita che aveva tra le mani. Non erano quelle di suo marito, non poteva essere Marco la persona che le stava di fronte, che proponeva idee tanto incredibili. Non era più nemmeno certa di essere lei quella che stava dando forma a una vita che i sensi di colpa avevano demolito ancora prima di immaginarla.

Spostò la sedia più vicino e si appoggiò a lui, alla sua spalla, come faceva una volta quando era ubriaca al pub e aveva bisogno di un supporto fermo nel mezzo del mondo che girava. Proprio come allora, il suo compagno inspirò leggero quanto il palpito di un pettirosso tra neve grigia di smog e le sfiorò la guancia.

«Uffa, avete finito voi due stasera?» li interruppe Silvia sbuffando al soffitto. «Se ci vede qualcuno, cosa pensa?»

Oscar appoggiò la sorella. «Davvero mamma, non comincerete a baciarvi adesso? Che schifo.»

Marco strinse la vita della sua compagna prima che gli sgusciasse dalle mani. «Verrà il giorno che piacerà anche a te.»

«Uffa, per favore!» pregò Silvia, incapace di trattenere la gioia che in fondo nascondeva.

«Perché no?» Marco baciò Claudia sulle labbra.



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