CAPITOLO 16

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Don't bend, don't break, baby, don't back down


Il giovedì mattina iniziò con un suono fastidioso che Claudia faticò ad associare alla sveglia. Aveva dormito profondamente, uno sconosciuto senso di riposo scorreva nelle vene, una strana forza nei muscoli che si stiracchiavano. Cercò la sveglia, trovò il cellulare anziché il solito orologio che ogni giorno da cinque anni la richiamava all'ordine e la buttava giù dal letto. Peggio però fu scorgere le cifre sullo schermo: le otto. Cazzo, tardi! Aveva dormito almeno un'ora più del solito, ecco perché si sentiva tanto riposata. I ragazzi, presto, alzarsi, in fretta, vestirsi, niente colazione!

Scostò le lenzuola, più ruvide e pesanti del previsto. Le sue gambe opposero un'insolita resistenza, pesavano come fossero più lunghe. Era buio pesto, non trovava la luce. La lampada non si trovava al suo posto. Lei stessa si trovava sul lato sbagliato del letto. Strano. Riconobbe a tentoni un interruttore, una luce soffusa e sconosciuta si diffuse in una stanza che non aveva mai visto, su mobili che non le appartenevano, una tv cupa, quadri incomprensibili alle pareti pastello, orribile moquette a terra. Faceva un caldo terribile. Un sogno?

Spense la luce, la riaccese. Niente, la stanza era ancora lì. I ragazzi!

Scostò le coperte rigide di asciugatrice, lanciò le gambe oltre il bordo del materasso, e impietrì. Un pigiama conosciuto che lei non aveva mai indossato. Peli su quelle braccia solide che apparentemente obbedivano ai suoi comandi. Totale assenza di seno e, in compenso, la comparsa di un'appendice estranea e tonicamente sull'attenti in mezzo alle gambe.

«Cazzo!»

Mai in quarant'anni Claudia era stata dotata di sangue freddo. Gridò di terrore, purtroppo la stanza, il pene, i peli e le gambe rimasero lì, soltanto tremarono un po'.

Si alzò nonostante la nausea e si trovò più in alto di quanto fosse abituata. Riconosceva i piedi laggiù, solleticati dalla moquette sconosciuta. Fece un passo, traballò, allargò le braccia lunghissime e mantenne l'equilibrio. Almeno sembrava ancora capace di camminare. Intravide una porta, un bagno piastrellato di elegante celeste e oro, troppo ordinato per appartenerle. Camminò in cerca di salvezza, il pene sballottava a ogni passo, l'impulso fu quello di schiacciarlo con poco garbo con le mani, ma che schifo toccarlo così! Risolse di fare passi piccoli e come una papera dalle zampe legate raggiunse il bagno e si sedette, o si lasciò cadere, sul gabinetto.

C'era un'idea... impossibile, assurda, avrebbe avuto senso soltanto in un incubo. Tirò un pugno al lavandino di fronte. Saponette imbustate e bottigliette di shampoo traballarono, una goccia spaventata cadde dal rubinetto. Claudia gridò per il dolore. Un dolore reale che in nessun sogno avrebbe potuto provare.

Trattenne un conato di vomito, strinse la testa tra le mani. L'odore di detersivo industriale le dava la nausea, il mondo ruotava impazzito, gli shampoo si moltiplicavano, le saponette ondeggiavano.

Trascorsa un'eternità, sollevò la testa e, reggendosi al lavandino, si alzò piano piano. Le mani tremavano, le nocche pulsavano, una macchia rossa si allargava sulla pelle, tuttavia Claudia era attratta da altro. Lo specchio sopra il lavandino rifletteva il muro sconosciuto dietro di lei e a poco a poco qualcos'altro. Capelli corti anziché lunghi, neri anziché biondi, con qualche spruzzo di grigio che non aveva mai ammesso di trovare attraente. Pelle chiara tendente all'ocra proprio come quella di Oscar, anziché giallognola e spenta. Viso serioso, senza barba, da bravo ragazzo, anziché bocca storta e guance tonde. Una cicatrice mai avuta sul sopracciglio sinistro, frutto di un gioco imprudente all'età di sette anni. Occhi cerulei anziché neri, privi della snervante compiacenza che le riservavano a casa.

Gridò di nuovo e ricadde a sedere.

"Dimmi che sei una porta" diceva muta allo specchio. "Dimmi che Marco mi sta guardando da un'altra stanza, che non sono io, lui, qui."

Le mani sulle ginocchia tremavano, bianche. Dita dritte, una fede d'oro all'anulare, uguale alla sua. Gambe toniche, ossa lunghe da maratoneta.

Il lavandino e i saponi impazzirono di nuovo. Claudia serrò le palpebre e combatté la nausea con un respiro in polmoni più ampi del normale. Si alzò in fretta per prendere di sorpresa il riflesso, affrontò lo specchio sfidandolo a spaventarla una seconda volta.

Il viso di Marco era sempre lì a ricambiare il suo sguardo.

Corse in camera, o meglio arrancò con le nuove gambe, si ficcò sotto le coperte.

«Vattene via!» minacciò con voce tonante, che soffocò ancora più a fondo sotto il cuscino. «Qualunque cosa tu sia, invisibile entità, divinità, malignità, bambolina voodoo o sogno. Vattene via e lasciami in pace, sono in ritardo, ho fretta, devo portare i ragazzi a scuola!»

Stabilì di rimanere immobile finché la situazione si fosse risolta.

Non ci riuscì. Il pene, nel quale già da qualche anno Claudia non aveva grande fiducia, diventava sempre più fastidioso, e una sensazione nota, seppure diversa da quella che conosceva abitualmente, si fece largo dalle viscere.

«Cazzo.»

Barcollò fino al bagno e alzò l'asse del gabinetto. Abbassò i pantaloni e le mutande, di prenderlo in mano proprio non se la sentiva. Era di suo marito, mica roba sua, e dopo una notte chiuso nella biancheria non profumava: lo faceva sempre notare a Marco quando ancora tentava di convincerla a fare l'amore al mattino mentre lei desiderava soltanto continuare a dormire o fare colazione.

Senza aiuto, però, il pene non avrebbe mai centrato la tazza.

Convinta più che mai che fosse un'appendice inutile, Claudia imprecò. Ripeté due o tre parolacce, che la voce di suo marito rendeva altisonanti. Si sentì meglio. Sedette, come aveva sempre fatto, urinò, sistemandosi appena per impedire al fastidioso incomodo, allegramente ritto ed egoisticamente indifferente, di puntare troppo in alto e combinare disastri.

Perché mai gli uomini si ostinavano a farla in piedi? Che vantaggi avevano, se non il dubbio vanto di giocare con un idrante in un gabinetto? Si appoggiò al muro con le dita intrecciate dietro la testa. Doveva insegnarlo a Oscar al più presto.

Scattò in piedi.

I ragazzi!

Canzone Per DueWhere stories live. Discover now