CAPITOLO 71

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My heart beats like a drum all night Flesh to flesh, one to one and it's alright 


«C'è qualcosa che devo sapere di voi due?» chiese Marco.

Claudia era stata strenuamente convinta che lui e Lia avessero una storia, da mesi litigavano a ogni occasione per colpa di quell'idea folle, adesso invece la invitava a trascorrere la serata insieme. Era impazzita, era una trappola o era rinsavita?

Sua moglie sorrise divertita alla frase che gli aveva urlato contro così spesso ultimamente. «Nulla che tu non sappia già. La tua collega è davvero in gamba.»

Niente grida, niente insinuazioni, niente guerra.

Cinse la vita di sua moglie.

Che indossava il suo giaccone. Indossava il suo corpo.

Stava abbracciando se stesso.

Marco allentò la sciarpa. «Farà strada.»

D'improvviso interessata al pavimento, Claudia si schiarì la gola con il solito verso di salvataggio. Doveva dirglielo. Non si poteva rimandare, Marco doveva sapere che Lia avrebbe perso il lavoro, che l'intera Gabi Group avrebbe perso il lavoro, perché lui non perdesse la faccia. Ciò che era stato semplice e chiaro nell'affrontare Biondi, si era intricato in gola come un nodo gordiano.

Lo abbracciò, prima che i litigi ricominciassero, prima che le parole rovinassero ogni cosa. Il corpo era più basso e fragile di quanto avrebbe dovuto, le spalle più sottili, i capelli più lunghi.

Si sciolse dall'abbraccio con un imbarazzo che trovò riflesso sul viso di lui.

«Mamma, andiamo a casa?» domandava Oscar, stanco di correre e ruggire.

«Sono d'accordo» diceva Silvia.

Marco continuava a fissare sua moglie nei propri occhi cerulei, sorprendendosi di scoprire quanto la cicatrice sulla palpebra destra si notasse.

«Ci vorrà un po' perché mi abitui» ammise a mezza voce guardando se stesso.

Lei scoppiò in lacrime.

«No, no, tesoro» bisbigliò lui. Cercò di cingerla per le spalle, dovette sollevarsi sulle punte dei piedi. «Non mi piace per niente vedermi piangere.»

Lei abbozzò un sorriso bagnato. «Non credo di averti mai visto piangere.»

«Lascia immutata la tradizione, vuoi?» chiese asciugandole le guance. «Da quanto non ti fai la barba?»

Claudia tirò su col naso. «Stavo pensando di lasciarla crescere.»

«Dunque ammetti che radersi è una gran scomodità?» indovinò lui. «Beh, dai, non stai tanto male.»

Suo marito faceva una battuta. Non solo, aveva preso la mano di Oscar. Fece uno sforzo per non scoppiare di nuovo in lacrime.

«Mi devo soltanto abituare» rispose guardando lui in se stessa.

«Pensavamo, mentre venivamo qui,» disse Marco facendo strada verso il parcheggio esterno «di andare in pizzeria. Ormai sono grandi» insisteva anticipando le obiezioni. «Si comporteranno bene. Tuo figlio ha perfino accettato di rinunciare alle tagliatelle, non puoi dire di no.»

Claudia perse un passo, diede la colpa a un gradino. Marco aveva sempre saputo che il suo scrupolo nell'uscire erano i bambini e l'assoluta mancanza di tranquillità che avrebbero dato tra bicchieri rovesciati e capricci?

Silvia e Oscar inanellarono solenni promesse, trattenendo il fiato a turno. La mamma, o per quanto sembrava loro il papà, li lasciò continuare, finse di doverci pensare, poi scattò verso l'automobile all'ultimo posto delle soste temporanee. Come bombe di felicità contagiate dall'allegria dei genitori, Oscar partì come un razzo, Silvia un attimo dopo. Marco li raggiunse con calma, le chiavi dell'auto che penzolavano tra le dita.

«Hai preso la Citroën» notò Claudia. Suo marito detestava qualunque automobile che non fosse l'Audi.

«Per via dell'assicurazione» ricordò lui aprendo le portiere e facendo cenno ai bambini di salire.

«Sei sempre tu» constatò lei. «Meno male. Guido io.»

Marco cedette senza difficoltà. «Lunedì chiamo il meccanico.»

Di fronte all'incredulità di lei ammise:

«Avevi ragione, ha qualcosa che non va».

Sarebbe stato facile gioire della vittoria e farla pesare con battute o osservazioni, far calare il gelo e continuare il viaggio in silenzio come al solito.

Claudia non aveva voglia di "come al solito".

Accese la radio, regolandola perché fosse un cauto sottofondo incapace di rovinare l'insolita pace. Stava svoltando verso l'autostrada quando lui alzò il volume.

«Cosa...» Claudia si interruppe.

Marco guardava fisso dal finestrino, annodò e riannodò la sciarpa. Non ne valeva la pena. Era passato un sacco di tempo. Non erano più ragazzini. Lei non avrebbe capito.

Incrinata la sua voce seguì la canzone alla radio:

«Take my hand and we'll make it».

Lei rimaneva in silenzio, lasciava cadere nel ronzio del riscaldamento le parole del compagno. Marco smise di cantare.

Finché:

«We've gotta hold on ready or not».

Uno sguardo come non se ne scambiavano da secoli. Insieme terminarono:

«You live for the fight when it's all that you've got».

Gridarono fino ad avere il fiatone, i ragazzi dietro si coprirono le orecchie con le mani, oltraggiati dal comportamento rumoroso dei genitori che solitamente si ignoravano in bellicoso silenzio.

«Il pezzo di punta all'Aquatica.» Marco seguiva il profilo accanto a lui. Non era sua moglie, eppure la sentiva, vicina. Molto vicina.

«Quando esplosero i draghi di peluche.»

«Che rumore, che casino.»

«Che bacio.» Gli sfiorò la gamba con una mano, fu come se accendesse una scossa sottopelle.

«È bello essere qui.»

«È bello averti qui» rispose lei in un sussurro che uscì a fatica dalla gola.

Dal sedile posteriore Silvia li guardava spaesata e Oscar semplicemente felice per l'insolita dimenticata magia che avvicinava i genitori.

Marco si ritrasse con un sospiro doloroso che Claudia credeva non avrebbe mai più sentito da lui. «Sbrighiamoci ad arrivare.»

Non era la noia a mettergli fretta.



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Le citazioni in questo capitolo sono:


Prendi la mia mano e ce la faremo (Living on a prayer).

Canzone Per DueWhere stories live. Discover now