UN AMORE PROIBITO Cuori Spezz...

By _StarFreedom_

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Damon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi a... More

NEWS
PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Allyson
Capitolo 4 Damon
Capitolo 5 Allyson
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Allyson
Capitolo 10 Damon
Capitolo 11 Allyson
Capitolo 12 Damon
Capitolo 13 Allyson
Capitolo 14 Damon
Capitolo 15 Allyson
Capitolo 16 Damon
Capitolo 17 Allyson
Capitolo 18 Damon
Capitolo 19 Allyson
Capitolo 20 Damon
Capitolo 21 Allyson
Capitolo 22 Damon
Capitolo 23 Allyson
Capitolo 24 Damon
Capitolo 25 Allyson.
Capitolo 26 Damon
Capitolo 27 Damon
Capitolo 28 Allyson
Capitolo 29 Damon
Capitolo 30 Allyson
Capitolo 31 Damon
Capitolo 32 Allyson
Capitolo 33 Damon
Capitolo 34 Allyson
Capitolo 35 Damon
Capitolo 36 Damon
Capitolo 37 Allyson
Capitolo 38 Allyson
Capitolo 39 Damon
Capitolo 40 Damon
Capitolo 41 Damon
Capitolo 42 Allyson
Capitolo 43 Allyson
CAPITOLO 44 Damon
CAPITOLO 45 Allyson
Capitolo 46 Damon
Epilogo Allyson
UN AMORE PROIBITO - VITE LONTANE
Nuova Storia solo per VOI

Capitolo 47 Allyson

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By _StarFreedom_

Jenna guida fino alla KAT senza chiedere. È questo che mi ricorda quanto la nostra amicizia sia vera e sincera. In poco più di un mese ha ascoltato non solo i miei sfoghi, ma molto di più i miei silenzi, ai quali ha sempre volto un sorriso di rassicurazione. Anche ora, mentre indosso abiti non miei, con la testa poggiata al finestrino mentre provo a perdermi nel paesaggio che mi scorre di fronte, lei riesce a tranquillizzarmi. Ho chiuso la porta di quella stanza sapendo bene che stavo chiudendo qualcosa di molto più grande. Il suo bacio brucia ancora sulle labbra che sfioro appena al ricordo del suo sapore. In quel momento mi sono persa in un viaggio dal quale non sarei mai voluta tornare, nemmeno se sul biglietto ci fosse stato scritto "destinazione Inferno", perché sapevo che mi sarei bruciata, che avrei percorso altri rischi, altri pericoli, che avrei versato altre lacrime amare ma l'avrei fatto con lui. Sono patetica, lo so. Chi vorrebbe tornare da chi ti ha consumato, da chi ti ha fatta più piangere che ridere? Io. Perché quelle lacrime erano vere, dettate da ciò che ci circondava e che ci inghiottiva al tempo stesso. Ha preso ogni parte di me, perché io gliel'ho concesso, prendendo a mia volta qualcosa di suo. Lo so che io scorro nelle sue vene come lui nelle mie. L'ho sentito nei suoi occhi che mi parlavano solo guardandomi, in quel bacio che voleva rapirmi l'anima, nel suo tocco leggero come una piuma che mi solleticava la pelle facendola rabbrividire. Puoi vivere una sola volta queste emozioni, non ho avuto altri ragazzi oltre quel breve periodo con Alec e mi è bastato per rendermi conto della differenza. Di come il cuore non conoscesse salti nel vuoto, capriole, del fatto che non sentivo il corpo sciogliersi sotto il suo sguardo. Quegli occhi verde scuro, così cupi, si sono rivelati smeraldi al sole e so che quello sguardo, quella scintilla di desiderio e di passione era solo per me, solo e unicamente per me. Lui è il mio "unico", lo porterò nel cuore sapendo che nessuno potrà mai competere, lo ricorderò con nostalgia e mi farà sempre male il petto quando mi perderò in quelli che saranno ricordi lontani. So di averlo perso, so che ha bisogno di aiuto ma non si farà mai aiutare da me; troppo orgoglioso, andrebbe contro la voglia costante di volersi punire, contro il bisogno di farsi del male. Ho imparato a conoscere troppo bene la sua rabbia, la sua autodistruzione dalla quale vuole solo tenermi lontana. Perché è questo che sta facendo, crede di potermi proteggere da sé stesso, ma non ci si può salvare da un amore del genere quando ti entra dentro occupando ogni parte della tua testa e del tuo respiro. È diventato quasi come una sfida per lui, uno dei suoi combattimenti clandestini, solo che a essere chiuso nella gabbia c'è soltanto lui e l'anima nera che lo tiene prigioniero dai suoi stessi incubi.

Dopo una doccia calda, ancora avvolta nell'asciugamano, mi siedo sul letto; la testa ha bisogno di fare ordine, di metabolizzare e un brivido di terrore corre lungo la schiena mentre di fronte ai miei occhi si materializza quello sguardo famelico, riesco a sentire ancora la puzza di alcol mischiata al tabacco che mi provocano un senso di nausea. Mi stringo nelle spalle, Jenna sospira e sento i suoi occhi addosso.

«Ora mi cambio così andiamo», dico con sufficienza, lasciandomi scivolare tutto alle spalle. Come se fosse facile. Quasi rido di me stessa.

«Allyson, fermati un attimo», dice mentre mi avvicino al mio armadio.

«È già tardissimo», le faccio notare fingendo un debole sorriso.

«Ascoltami», mi supplica. Stringo fra le mani il pullover nero a collo alto, non ho il coraggio di voltarmi, la sua voce è diversa, vuole sapere, capire e forse dopo averla buttata giù dal letto in quel modo ne ha tutto il diritto.

«Dim... Dimmi», resto di spalle facendo finta di non trovare ciò che cerco.

«Lo sai che non ti farò domande, ma sei tu che hai bisogno di parlare», dice in un sussurro. Le parole pesano, fanno male, se dessi voce ai miei pensieri sarebbe come renderli reali anche se lo sono già, vividi come un incubo a occhi aperti. L'ho lasciato da quanto, un'ora? Eppure, la sua assenza è una presenza costante della quale so che non mi libererò mai.

«Ho solo chiuso un capitolo della mia vita» una fitta al petto, il fiato si mozza mentre realizzo che forse quel libro non lo riaprirò più.

«Non potrai mai chiudere con lui, Allyson, e per quanto mi faccia male dirtelo è la verità», mi volto corrucciando la fronte, non riesco a capire cosa voglia intendere. Nelle poche volte che le ho parlato di lui, non ha mai fatto allusioni, preso le mie difese o sparato a zero su quanto fosse stronzo Damon. «Vuoi darti del tempo, vuoi darlo anche a lui? Va bene, ma non dirmi che hai chiuso con lui perché non ci credi nemmeno tu», si alza in piedi dal suo letto per raggiungermi, le sue mani fredde di posano sulle spalle.

«È così evidente?», confesso colpevole.

«Non è evidente, Allyson, ma tutto ciò che mi hai raccontato di lui ha dell'irreale. Siete passati da odiarvi ad amarvi, per poi odiarvi e amarvi nello stesso modo, come se i due sentimenti si fossero ormai fusi come oro, creando l'impossibile... voi», resto senza fiato, sapendo bene che ogni cosa che è uscita dalla sua bocca è vera come il sole che in questo momento sorge aprendo un nuovo giorno ai nostri occhi. Sprofondo nel letto, le mura attorno le sento avvicinarsi sempre di più al mio corpo, la voglia di scappare è tanta, l'ansia invade ogni mia cellula dando il via alla confusione più totale che porta il nome di Damon Sanders.

«Non puoi salvare chi non vuole essere salvato», ammetto a denti stretti.

«No, infatti, ma puoi aspettare che lui si salvi da solo. Non lasciarlo andare, Allyson, un giorno te ne pentirai», scuoto la testa ricacciando indietro le lacrime.

«Non hai capito. È lui che mi ha lasciata andare... un'altra volta. Mi sono quasi umiliata, come sempre quando si tratta di lui che riesce a stravolgere ogni cosa. Passa da zero a cento in un secondo, per poi portarti a toccare un fondo dal quale pensi di non poter più venire fuori, eppure la mia anima perfetta cerca la sua metà imperfetta, perché è questo che siamo. Due persone troppo incasinate ma che si incastrano alla perfezione, creando qualcosa che resta sospeso fra inferno e paradiso», non aspetto che possa aggiungere altro, prendo il pullover, della biancheria pulita e i jeans, poi mi chiudo in bagno. Guardo la mia immagine riflessa nello specchio come se aspettassi una qualche risposta che non arriverà mai. «Perché?», sussurro stringendo forte la ceramica del lavabo tra le mani. Deve passare questa angoscia, questo dolore che mi lacera, deve andarsene. Supplico come una preghiera che possa venire ascoltata.

Arriviamo al Campus con qualche minuto di ritardo. Cristal, in macchina, per tutto il tempo, mi ha tenuta distratta raccontandoci della sua relazione con Trevis, un ragazzo che frequenta l'ultimo anno di studi. Hanno pianificato ogni cosa. Lui andrà a lavorare a New York a sole quattro ore di macchina da qui e si vedranno ogni week end, in attesa che lei termini i suoi studi. Mi chiedo come sia basare un rapporto su delle fondamenta stabili, avere fiducia reciproca senza essere circondati da loschi casini che pensi di osservare come spettatrice di fronte alle immagini di un film che non potrebbe essere mai la tua vita.

«Oggi ci sono quelli della Columbia al Campus», commenta Jenna facendomi trasalire dai pensieri. Indica un gruppo di circa trenta studenti che si avviano verso i nostri corridoi.

«Sì, è vero, me l'aveva detto Trevis che stanno portando avanti un progetto con i due college», risponde Cristal mentre i miei occhi sono puntati su chi sembra mi stia aspettando ed è esattamente così, dato che inizia a incamminarsi verso di me.

«Ci vediamo dopo», dico quasi balbettando e aumentando il passo.

«Sei già in ritardo», mi rimprovera Cristal in modo scherzoso. Sorrido e raggiungo Cody. Non ha una bella cera, le spalle ricurve, le mani cacciate in tasca e l'espressione cupa.

«Ehi...», esclamo abbozzando uno dei peggiori sorrisi.

«Grazie per avermi chiamato», dice riferendosi alla telefonata che gli ho fatto prima di lasciare solo Dam, nella speranza che almeno Cody possa aiutarlo. «Non l'ho trovato quando sono arrivato, era già andato via, ma so che stasera ci sarà un combattimento a Boston, al Vip's Room e lo troveremo lì», inarco le sopracciglia.

«Lo troveremo?», ripeto. Mi prende per un braccio, guardandosi attorno come se qualcuno potesse sentirci.

«Non lo stai davvero abbandonando, vero?», chiede corrucciando la fronte. Mi stringo nelle spalle.

«Cosa ti aspetti che faccia, Cody?», sospiro buttando fuori l'aria troppo pesante che graffia contro i miei polmoni.

«È quello che vuole, non so cosa ci sia dietro, ma è qualcosa di grosso», inizia a spiegare.

«Dopo che avete discusso lui era distrutto, è vero, poi nel corso dei giorni ha incominciato a diventare sempre più irrequieto, strano, lo sentivo lamentarsi nel sonno. Ha ripreso ad assumere dosi di droga e alcol che credo di non avergli mai visto fare», confessa con tono preoccupato. «Si sta colpevolizzando per tutto ma non può essere solo questo ciò che lo sta divorando», è la prima volta che vedo Cody in questo stato per le cazzate che combina Damon.

«Cosa posso fare?», chiedo in un sussurro.

«Te lo prometto, Allyson, che tutto questo finirà. Te lo devo, è anche colpa mia se tu e lui avete discusso. Ho preteso io che non gli dicessi nulla di me e di Arleen, ma ho bisogno di te. Sei il suo punto debole. Lo conosco da così tanto tempo che i suoi occhi da quella notte non si erano più illuminati da quando sei comparsa tu nella sua vita», ho un tuffo al cuore anche se vorrei tanto sentirle da lui queste parole.

«A che ora?», chiedo quasi pentendomene subito dopo.

«Ti passo a prendere io verso le otto», annuisco e vado verso l'aula del professor Liry. Quando entro in classe il professore mi rivolge uno sguardo di disapprovazione per il mio ritardo, chino il capo e mi siedo al fianco di Smith; è un ragazzo tranquillo e da quando Damon non lo minaccia più, ho scoperto che ha anche il dono della parola.

«Tieni gli appunti», bisbiglia passandomi i suoi per poterli ricopiare.

«Vi ricordate le vostre opere che avete fatto in coppia?», annuncia il professore. Io di certo non potrei dimenticare quegli occhi verdi che mi scrutavano da dietro la tela, sorrideva, il viso era sporco di piccoli schizzi di tinta. Se avessi saputo l'evolversi degli eventi, avrei fermato il tempo in quel preciso istante. «Non vi ho voluto dire nulla per non mettervi ansia, ma le vostre opere hanno partecipato a un concorso e sono orgoglioso, visto che competevano altri college, che la nostra classe ha vinto il primo premio», tutti applaudono felici per la notizia, io cerco di mischiarmi a loro e Smith mi dà una leggera gomitata.

«Ti rendi conto?», esclama entusiasta.

«Già», è il meglio che riesco a pronunciare.

«Signorina Evans, lo consegno a lei», il cuore si ferma mostrandomi il mio ritratto. «Potrebbe consegnarlo al signor Sanders?», dice avvicinandosi al mio banco e porgendomelo. «È un vero peccato che abbia lasciato il corso», mormora appena. Guardo il mio disegno colorato solo per metà, quasi come se il destino ci stesse avvisando che non avrebbe potuto essere finito, incompleto, un po' come lo siamo noi. Ora sono la parte del ritratto in bianco e nero, avvolta dalle righe rimarcate che contornano il mio profilo. Deve finire questo ritratto. Quasi l'impongo a me stessa come una promessa.

Le ore successive passano più o meno lente, resisto anche all'ultima ora di Storia dove mia madre non fa altro che cercare il mio sguardo che le nego per tutto il tempo. Non ho ricevuto nemmeno una sua chiamata. Si può avere un cuore così glaciale? Essere totalmente indifferenti per chi porta il tuo stesso sangue? Be', la risposta è abbastanza nitida di fronte al mio sguardo, mentre mi alzo per lasciare l'aula.

«Evans», mi chiama. Rido alla sua formalità.

«Sì?», mi volto riducendo le labbra a una linea dura.

«Possiamo parlare?», chiede poggiandosi alla cattedra. Sistemo meglio la borsa sulla spalla.

«Dei voti? Del compito?», domando a mia volta.

«No. Veram...», sollevo una mano di fronte al suo volto per risparmiarle il fiato.

«Allora non abbiamo nulla da dirci», faccio per andarmene.

«Tentare il suicidio non è nulla di cui parlare?», strilla. Scrollo le spalle infastidita dal diritto che non si può permettere di rivendicare proprio in questo momento.

«Ti accorgi solo ora di come tua figlia sia incasinata?», l'accuso. «La mia fortuna è stata che la mia psicologa ha saputo guardarmi dentro e capire esattamente quali fossero le mie intenzioni.

Ero talmente assorta dai miei problemi da non dar peso al fatto che lei stessa non avrebbe mai potuto prescrivermi dei farmaci essendo una psicologa, ma è stata al mio gioco, segnandomi su un foglio bianco il nome di semplici pillole omeopatiche. Quindi tranquilla, mamma», rimarco, «ora sto bene e non grazie a te», ringhio.

«È lui, vero? È per lui che l'hai fatto?», dice stringendo gli occhi in due fessure mentre con la mano si aggrappa al bordo della cattedra. Rido sommessamente alle sue accuse.

«Sei talmente presa da te stessa da non renderti conto che la causa di tutto, persino del dolore di Damon, sei solo tu», è vero, il mio gesto era legato al suo abbandono, perché mi ero arresa al fatto che non avrebbe fatto più parte della mia vita. Parlo al passato perché come ho detto, ho chiuso un capitolo della mia vita, ma ho ancora una pagina bianca da scrivere.

«Non puoi accusarmi di una cosa simile, tu non sai cosa ha fatto quel ragazzo. Ha ucciso la sorella con la sua follia!», lo accusa. Trattengo il fiato ma non per lei, solo per Christian, perché forse avrebbe il diritto di far cessare le lacrime per una figlia che è ancora viva, ma non spetta a me dirlo e non commetterò lo stesso errore due volte intromettendomi.

«Non sai di cosa parli e ti avviso. Stai lontana dalla mia vita, prendila pure come una minaccia perché lo è», mi sembra quasi di guardarmi dal di fuori, sospesa a mezz'aria nell'aula mentre raccolgo da terra il dolore inflitto da questa donna e lo butto alle mie spalle, cancellando una parte della me bambina. Il petto più leggero, una grinta che scorre in maniera così fluida fino al cuore facendomi sentire quasi invincibile. È questa l'adrenalina? È così che ci si sente? Domando quasi a me stessa uscendo dalla classe promettendomi di non voltarmi più indietro.

Cody sembra nervoso mentre attraversiamo l'enorme cartello verde che ci avvisa di essere arrivati a Boston. Non abbiamo parlato molto lungo il viaggio, sento come se mi stesse nascondendo qualcosa o forse sono solo io a non essere più sicura neppure della mia stessa ombra.

«Non allontanarti da me per nessuna ragione», mi avverte mentre cerca parcheggio. Guardo la mia città ed è strano non sentirne alcuna nostalgia, forse perché, se non fosse per mio padre, non mi lega nessun ricordo felice e sono certa che non ci metterei più piede. Mi sento come un satellite che vaga in una galassia troppo grande, alla ricerca di un pianeta, come se dovessi trovare ancora il mio posto nel mondo.

«Devi dirmi qualcosa?», chiedo e lo sento sospirare alla mia domanda.

«Damon non ha preso la sua macchina per venire qui», confessa mentre ci addentriamo nel locale.

«Cosa vuoi dire con questo?», domando confusa allo stesso tempo che scendiamo alcuni piani per andare dritti dove tutto avrà inizio.

«Non credo sia in condizioni di combattere», risponde passandosi una mano fra i capelli. Aumento il passo con il cuore che mi salta in gola, penso al peggio, ai suoi demoni che me lo porteranno via per sempre se non lo fermiamo. «Lo troveremo prima», dice rassicurandomi. La sala è gremita di gente, è diverso dal Masters, qui ci sono persone vestite di tutto punto che passano di mano in mano consistenti mazzette di banconote. Al centro una gabbia, la sua prigione dalla quale lo devo liberare. «Vieni», Cody mi prende per mano mentre ci facciamo spazio fra la gente, la musica inizia, le luci ai lati della sala si spengono lasciando illuminato solo il ring.

«Dobbiamo trovarlo», esclamo presa dal panico.

«Lo troveremo», cerca di nuovo di tranquillizzarmi, ma lo vedo che è preoccupato quanto me. «Vedo Jack», dice allungando il passo, do qualche spallata per seguirlo. «Dov'è Damon?», chiede con un cenno del mento verso Jack nel suo completo firmato che non si scompone più di tanto mentre è intento a contare i soldi.

«Nel retro, ma non ci andrei se fossi in te», dice scoccandomi un'occhiata, come se quell'avvertimento fosse riferito a me. Lascio la mano di Cody e anche se non conosco il posto non sarà difficile fare il giro della sala fino a scorgere una qualche porta che si affaccia sul retro di questo lussuoso schifo. Guardo in mezzo alla folla di gente camminando quasi attaccata alla parete e vedo una porta con un maniglione antipanico. Corro e la spingo sbucando su un lungo corridoio. Il cuore martella nel petto a ogni passo,

vedo una luce in fondo, più mi avvicino e più sento delle voci... la sua. Mi affaccio su quello che sembra un bagno, lo sento ridere, cammino seguendo la sua voce che arriva come tanti piccoli spilli che mi penetrano nella pelle. Faccio un lungo respiro prima di spalancare la porta dalla quale provengono gli schiamazzi, la apro in uno schianto.

«Ops», esordisce Joselyn avvinghiata alla vita di Damon mentre è seduta sul marmo del lavabo del bagno.

«Al...», mormora lui sorpreso. I suoi occhi sono spenti, rossi e le pupille sono dilatate. Troppo.

«Vattene, Jo!», tuono. Stringo forte la maniglia della porta. Lei ride e Damon in uno scatto se la scrolla di dosso.

«Non starai facendo sul serio?», si lamenta tirandosi su la maglietta verso la spalla e facendo scivolare giù la gonna a coprirle giusto il fondoschiena.

«Allyson, devi... devi andartene», dice sporgendosi verso di me cercando di riacquistare un'espressione dura. «Come vedi ho da fare ora, piccola», aggiunge con sarcasmo. Vuole ferirmi e ci sta riuscendo ma non mi importa, sopporterò anche questo se servirà a tirarlo fuori dalla fossa nella quale ha deciso di sotterrarsi.

«Sei strafatto!», lo addito con disprezzo.

«Esatto e quindi?», mi provoca inarcando un sopracciglio.

«Sei un codardo, ecco cosa sei, Sanders», lo istigo a mia volta, sento la mascella schioccare in un gesto automatico sotto le mie parole.

«Vattene!», ringhia.

«No!», rispondo avanzando verso di lui.

«Al, rassegnati, lui ha scelto me», cinguetta Jo.

«Tu non puoi chiamarmi così!», supero Dam scagliandomi su di lei. La strattono per la maglia quasi strappandogliela mentre la obbligo a scendere dal piano in marmo. Con un gesto della mano butto a terra tutta la merda che ha fatto prendere a Dam.

«Sei solo una puttana!», abbaia alle mie spalle, mi volto in uno scatto ma Damon la preme con il corpo contro la parete.

«Sparisci dalla mia vista. ORA!», scandisce digrignando i denti. Fa un passo indietro. Josy mi guarda abbozzando un sorriso malefico.

«Perché non le racconti di Cindy, Sanders? Perché non lo fai?», guardo Dam impallidire all'istante, serrare le mani in due pugni e incominciare a tremare. Spingo lontano da lui... da noi. Mi scocca un'ultima occhiata prima di andarsene mentre barcollando continua a borbottare qualcosa. Mi volto verso Dam ancora nella stessa posizione che fissa la parete di fronte a lui. Gli prendo il volto tra le mani cercando che il suo sguardo smarrito possa trovare il mio.

«Sono qui», gli sussurro dolcemente all'orecchio.

«Non dovresti», biascica mentre continua a tremare. «Me la sono appena scopata», confessa affondando il coltello nello squarcio del mio cuore.

«Lo so», ammetto con un nodo in gola che quasi mi soffoca per il dolore che provo.

«Perché sei qui?», dice incastrando il suo sguardo nel mio dal quale non lo lascio scappare.

«Perché mi sono innamorata di uno stronzo, ecco perché», ammetto a entrambi. Prova ad allontanarsi dalla mia presa, ma lo tiro di più a me. «Guardami, Dam, io ti amo e questo non potrai mai cambiare, nessuno potrà», mi prende i polsi risalendo fino alle mani che intreccia alle sue.

«Non puoi amarmi, non dopo quello che ho fatto e che...», non gli lascio il tempo di finire la frase, mi prendo tutte le colpe che escono come parole dalla sua bocca mentre poso le mie labbra contro le sue. È immobile, le sue labbra sono dure, mi graffiano appena, allo stesso tempo che continuo a dargli piccoli baci che gli dicono che sono qui, che non andrò via, che lo voglio come non ho mai voluto nessuno. Lo sento rilassarsi, premere le mani contro i miei fianchi, socchiudere la bocca dove la lingua scivola contro la sua che trovo calda e ruvida che inizia a inseguire la mia. Incliniamo entrambi la testa dalla parte opposta mentre la rabbia, il dolore e la confusione si mescolano a quel bacio avido che ci spezza il fiato, il cuore riesco a sentirlo rimbombare nelle orecchie e veniamo travolti dal casino perfetto che ci unisce. Non ci sono cose giuste o sbagliate, non esiste bianco o nero, bene o male, esistiamo solo noi nell'eclettico caos che formiamo. Il suo bacio rallenta, le mani scivolano via dai miei fianchi e perdo l'equilibrio cadendo sopra di lui, il tonfo del suo corpo contro il pavimento mi immobilizza.

«Damon», dico. I suoi occhi sono chiusi. «Damon!», urlo scuotendolo per le spalle inermi. «DAMON!», grido talmente forte da sentire la gola bruciare, insieme al sapore amaro delle lacrime che rigano il volto mentre i miei pugni colpiscono furiosi il suo petto.

«Allyson», alzo gli occhi verso Cody sulla soglia della porta che li sgrana passandosi le mani in testa.

«Chiama aiuto... Chiama... Chiama qualcuno!», urlo ancora una volta continuando a cantilenare il suo nome, nella speranza che quelle pozze verdi si inchiodino su di me, perché non può essersene andato, perché non può aver deciso di abbandonarmi... di abbandonare la nostra promessa che ci saremmo sempre ritrovati.

SPAZIO XOXO:

Quanto mi odiate?

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