UN AMORE PROIBITO Cuori Spezz...

By _StarFreedom_

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Damon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi a... More

NEWS
PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Allyson
Capitolo 4 Damon
Capitolo 5 Allyson
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Allyson
Capitolo 10 Damon
Capitolo 11 Allyson
Capitolo 12 Damon
Capitolo 13 Allyson
Capitolo 14 Damon
Capitolo 15 Allyson
Capitolo 16 Damon
Capitolo 17 Allyson
Capitolo 18 Damon
Capitolo 19 Allyson
Capitolo 20 Damon
Capitolo 21 Allyson
Capitolo 22 Damon
Capitolo 23 Allyson
Capitolo 24 Damon
Capitolo 25 Allyson.
Capitolo 26 Damon
Capitolo 27 Damon
Capitolo 28 Allyson
Capitolo 29 Damon
Capitolo 30 Allyson
Capitolo 31 Damon
Capitolo 32 Allyson
Capitolo 34 Allyson
Capitolo 35 Damon
Capitolo 36 Damon
Capitolo 37 Allyson
Capitolo 38 Allyson
Capitolo 39 Damon
Capitolo 40 Damon
Capitolo 41 Damon
Capitolo 42 Allyson
Capitolo 43 Allyson
CAPITOLO 44 Damon
CAPITOLO 45 Allyson
Capitolo 46 Damon
Capitolo 47 Allyson
Epilogo Allyson
UN AMORE PROIBITO - VITE LONTANE
Nuova Storia solo per VOI

Capitolo 33 Damon

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By _StarFreedom_

   La strada sembra interminabile, come lo è il silenzio che riesce a echeggiare nelle mie orecchie. Nemmeno una parola è uscita dalle nostre bocche. Cody, alla guida, non ha fatto nessuna delle sue solite battute; l'osservo stringere in maniera nervosa il volante al quale sembra in qualche modo aggrapparsi. Stavo per insultarlo appena i nostri sguardi si sono incontrati, per prenderlo a calci nel culo per averla accompagnata fin qui. Guardo il riflesso di lei che compare nello specchietto, mentre il suo sguardo si smarrisce nel paesaggio che scorre indisturbato al nostro passaggio. In realtà non credo che gli abbia dato molta scelta, conoscendo la sua testardaggine l'avrà messo alle strette; sarebbe stata capace di venirci anche da sola, ne sono sicuro. Dio quanto è ostinata. Non ho mai conosciuto una ragazza come lei: cocciuta, arrogante e così fastidiosa, impicciona per giunta.

Trattengo il fiato mentre faccio mentalmente una lista dettagliata di tutti i suoi difetti. Quelli che mi attirano a lei come una calamita, ammetto a me stesso, e quasi mi sfugge un sorriso. È la sua perfetta imperfezione a mandarmi fuori di testa. Sta diventando un problema dal momento che mi basta solo guardarla negli occhi perché tutte le mie difese vengano annullate. La rabbia si dissipa nel nulla come neve al sole che inevitabilmente si scioglie, mi ritrovo a essere vulnerabile, in bilico, sospeso in qualcosa che non conosco.

Prendo il cellulare che continua a vibrare da quando siamo partiti da Indianapolis.

«Dovresti rispondere», dice Cody con un cenno del mento verso il telefono.

«Pensa a guidare», abbaio, lo spengo e lo infilo in tasca. So bene quale discorso vuole farmi mia madre. Lo stesso di quando sono dovuto partire, perché è andato tutto a puttane. Passo le mani fra i capelli, come se in qualche modo la tensione che sento accumularsi potesse svanire. La parola "Clinica Psichiatrica" mi martella nella testa, intrappolata e vorrei farla uscire per sentirmi più leggero, ma non posso è lì per ricordarmi che tutto mi sta sfuggendo dalle mani. Non permetterò a nessuno di toccarla... è già successo, sta tuttora pagando per colpa degli altri. Se solo... merda! Sbatto furioso il pugno sul cruscotto. Non la vedo ma la sento sussultare di paura alle mie spalle per il mio gesto.

«Andrà bene», tenta di dire Cody.

«Certo, sta andando tutto a meraviglia, non trovi?», ironizzo. «Ferma la macchina!», gli ordino. Tempo di posteggiare in un'area di sosta e sono fuori dall'abitacolo in cerca di aria, che sento venir meno a ogni respiro. Piego il corpo in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia. Il destino continua a servire la sua mano vincente contro la mia vita che impotente, la guardo come un dannato spettatore. La strada, lo stridio degli pneumatici, la macchina, lei... si proietta tutto nella testa, vorresti fermarlo, poter tornare indietro come faresti se fosse un film. Invece devi guardare restando in silenzio perché è la tua vita. Un secondo interminabile e lo schianto, i vetri sparsi ovunque sull'asfalto... il sangue... troppo sangue.

«Ehi...», mormora dietro di me. È come se mi svegliassi e sentissi solo ora la sua mano sulla schiena. Mi volto verso Allyson.

«Sì, sto bene», dico monocorde, la mente ancora in balia dei ricordi che questa volta non riesco a rimettere al loro posto.

«Non stai bene... e.... sì, insomma, non devi vergognarti...», quando capirà che deve smetterla di farmi da balia? Inchiodo gli occhi nei suoi, sono stanchi, tristi e faticano a rispecchiare la mia immagine. Capisco che dalla mia bocca non sono uscite quelle parole, la ragione sembra per la prima volta aver avuto la meglio su di me. Mi fissa in attesa che dica qualcosa.

«Devi mangiare», esclamo quasi rimproverandola.

«Non ho molta fame», dice.

«Non ti ho chiesto se hai fame, ho detto che devi mangiare!», sentenzio.

Ci fermiamo in un'area di servizio nei pressi di Rochester, a metà strada da "casa", anche se in verità nulla di ciò che è rimasto a Medford riverbera il concetto. Cody si allontana per far benzina, Allyson si guarda attorno, il sole sembra essere del mio stesso umore, nascondendosi dietro nuvole che minacciano pioggia. Sollevo il cappuccio e ci addentriamo nella tavola calda, prendiamo posto di fianco all'enorme vetrata che si affaccia sulla strada. La cameriera con affisso alla divisa a righe bianca e rosa il nome di Tracy, fa scoppiare ripetutamente la gomma da masticare allo stesso tempo che ci domanda cosa prendiamo. Sono quasi tentato di dirle che mi sta alquanto irritando.

«Io prendo solo del caffè e....», prova a dire Al, ma l'anticipo.

«Uova strapazzate e un hamburger con patatine; tre porzioni così», appunta il tutto sul blocco per poi togliersi dai coglioni.

«Non dovevi ordinare, tutta quella roba anche per me», si lamenta mordendosi il labbro. Lo fa ogni qualvolta è in imbarazzo.

Cazzo, non riesco a non guardare la sua bocca piena torturata fra i denti.

«Certo che dovevo e la mangerai», poggio i gomiti sul tavolo sporgendomi verso di lei. «Non mi sono dimenticato», le ricordo, il solo pensiero mi contorce lo stomaco se solo mi fermo a riflettere che il tutto è ricominciato per causa mia. Cody ci raggiunge, lo fisso per un attimo. Cazzo, sembra quasi più turbato di me. Di solito mi avrebbe fatto incazzare con le sue stronzate per cercare di distrarmi, invece è perso chissà dove. Poco dopo la cameriera torna servendoci la nostra ordinazione. Allyson scosta ripetutamente il cibo con la forchetta, una piccola porzione di uova finisce nella sua bocca per poi passare altri cinque minuti a giocare con il resto del mangiare nel piatto, la mano sorregge la sua testa che sembra pesarle... troppo.

«Dove vai?», chiedo, vedendola alzarsi dal tavolo.

«In bagno... devo solo andare in bagno», distoglie lo sguardo dal mio e la seguo fino ad aspettare che scompaia dietro la porta. La raggiungo senza esitare. Una donna strabuzza gli occhi vedendomi entrare nel bagno delle donne. La sento tossire e mi fiondo verso la porta.

«Apri!», colpisco la porta in metallo che ci separa.

«Dam... per favore.», supplica.

«Ho detto di aprire questa cazzo di porta, Al, non te lo ripeto», ringhio furioso. Ascolto il gancetto di metallo che sbatte, aspetto, non si apre ed entro. Le lacrime scorrono copiose sul suo volto, la schiena poggiata alle piastrelle imbrattate di scritte. La tiro verso di me. Solleva le braccia al cielo.

«Lasciami», singhiozza.

«L'hai rifatto?», scuote il capo in senso di diniego, sospiro con sollievo.

«Ma... ma devo, non riesco... io non posso controllarmi.», confessa.

«Sì che ci riesci, respira, sono qui», maledico me stesso, mentre gli occhi a fatica riescono a guardarla ridotta in questo stato.

«Esci, ti prego, lasciami sola!», urla quasi tormentata da sé stessa. Le mani tremano fra la chioma ribelle.

«Scordatelo, fai quello che devi», la sfido incrociando le braccia al petto.

«Tu... tu non capisci... non sai che», farfuglia in preda al panico. Non so cosa fare per calmarla. Saetto lo sguardo dai suoi occhi che si stringono doloranti in due fessure, le labbra sono strette in una morsa. Sbatto la porta alle mie spalle chiudendola, premo il mio corpo contro il suo, le mani imprigionano il viso.

«Shhh...», sussurro contro la sua bocca mentre mi perdo nel suo sguardo. Sfioro appena il labbro superiore con il mio, sospira, ripeto il gesto accompagnandolo con il tocco della lingua. Un brivido percorre la schiena quando le sue labbra inseguono le mie in piccoli baci che mutano uno dietro l'altro. Leggeri, morbidi si richiamano in una danza che aumenta il proprio ritmo. Le lingue si cercano, con il timore di perdersi per come si rincorrono. Il suo sapore che si mescola al mio, i respiri che si sincronizzano, le sue mani che stringono in un pugno il tessuto della maglia sulla schiena. Non riesco a fermarmi, è come una droga, un bacio che non può avere fine, perché mi riporterebbe a questa schifosa realtà che non sono pronto ad affrontare. Con lei, in questo bacio, è qui che riesco a sentirmi a "casa". Ci stacchiamo lentamente, gli occhi si cercano sino a trovarsi. «Stai meglio?», domando poggiando la fronte alla sua.

«Sì, credo di sì», mormora fra i denti. Come se fosse un gesto spontaneo, la prendo per mano, la seconda volta in un giorno. La guardo di sottecchi con imbarazzo e le lascio la mano, facendo finta di doverle infilare in tasca. Che diamine mi sta prendendo? Non trovo risposte, non mi rendo conto di non averle mai trovate da quando si tratta di Allyson Evans.

«Ce l'avete fatta», commenta con un gesto plateale della mano Cody. «Io siedo dietro, ho bisogno di riposare», aggiunge.

Ci scambiamo qualche sguardo con Al mentre prende posto sul sedile del passeggero di fianco al mio. È.... è strana, forse è per quella stronzata della mano, no, non può essere per quello. La stazione radio trasmette una canzone che attira la sua attenzione, d'istinto solleva il volume e la sento canticchiare sottovoce. Senza farmi notare la osservo, le parole del ritornello sembrano in qualche modo pesarle mentre le ripete, con gli occhi che vagano su un cielo che inizia a piangere per noi.

«Vedo che hai cambiato gusti musicali», dico facendola trasalire dai pensieri.

«Cosa?», sorride, creando quelle piccole fossette che le incorniciano alla perfezione le labbra. La mente fa un viaggio oltre un limite verso il quale non mi sono ancora spinto con lei. La fantasia scalpita se penso alle cose che mi piacerebbe farle, a come sia così pura e innocente, come una tela bianca tutta da dipingere e voglio essere io a sceglierne i colori. «Mi ascolti?», domanda. Inclino il capo verso di lei.

«Sì», schiarisco la voce che si strozza in gola per i pensieri della mia testa contorta. «Sì, dicevi?», diventerebbe rossa se solo sapesse a cosa pensavo, incomincerebbe a balbettare rendendo il tutto ancora più sexy, come sembra riuscire a esserlo solo lei sotto i miei occhi.

«Sto cercando di ampliare le mie vedute, ma non accantonerò mai e poi la musica classica», fa una pausa, come se stesse cercando dei ricordi. «Mi ha presa per mano accompagnandomi lungo il mio percorso... solo su quelle note liberavo la me interiore per disegnare, per essere... essere lontana da tutto ciò che mi circondava», confessa in un sussurro. Se penso al disegno, l'ultima volta che le mani hanno toccato un foglio è stato quando ho disegnato lei, sentivo il desiderio di dar voce a qualcosa che non comprendevo. La matita scorreva tracciando il volto che ho qui al mio fianco. Un sorriso catturato nel mio stesso ritratto. È quasi un ricordo lontano, la luminosità del suo volto quando sorrideva in quel modo... quando ancora non si era imbattuta in me.

Parcheggio sotto il palazzo dopo aver lasciato Cody al campus, è ormai sera inoltrata.

«Allora», si stringe nelle spalle, la vedo malgrado la penombra, «ti ho chiesto se eri pronta a sapere. Hai risposto di sì», le ricordo fissando un punto di fronte a me. «Non sei obbligata a farlo, ma se vorrai ti aspetto a casa mia più tardi», non aspetto che mi risponda, anche perché non so cosa voglio realmente sentirle dire. Scendo dalla macchina e senza voltarmi entro nel palazzo. Non saprei da dove incominciare, non l'ho mai detto a nessuno a parte Cody che era lì con me... be', ovviamente anche quelle due teste di cazzo sanno perfettamente come è andata. Apro un frigo in cui mancano solo le balle di fieno per assomigliare al deserto, lo richiudo e mi volto verso la finestra che si affaccia sulla sua.

La luce è accesa, le tende sono tirate, l'intravedo spogliarsi e sbatto il palmo della mano sul banco della cucina. Se non abitassi io qui ma un pervertito? Resterebbe qui a guardarla indisturbato godendosi lo spettacolo.

Cazzo, Al, impreco ma al tempo stesso non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua schiena semi nuda, la pelle chiara sembra riflettere giochi di luce creati dai lampioni.

Verrà? Domando a una stronzetta andata in pensione.

Forse ha pensato bene di non rompere i coglioni in una giornata come questa. Vorrei tanto sapere come ha scoperto di Arleen. Solo pronunciare mentalmente il suo nome è una fitta al petto, una ferita che non guarirà mai, un segno indelebile che ha marchiato a vita l'anima. Sprofondo sul divano e la televisione via cavo non trasmette nulla che riesca a distrarmi. Sto diventando paranoico, ho quasi creato un solco che va dal divano alla finestra. La luce ancora accesa conferma che non verrà. Non la biasimo. Perché sapere? Perché sorbirsi anche i miei problemi? In me si innesca la paura come una bomba. L'immagine di lei riversa sul water è il primo pensiero che attraversa la mente. Scatto verso la porta, la apro senza neppure guardare, sbatto contro qualcosa... anzi, contro qualcuno... lei seduta col sedere a terra che mi guarda irritata.

«Piccola, stai bene?», mi mordo la lingua ma ormai il danno è fatto, la parte di me che la vuole proteggere lotta contro il marcio per vincere.

«Andavi da qualche parte?», domanda tirandosi in piedi e dandosi una sgrullata ai pantaloni della tuta, con un gattino con la testa gigante che sorride stampato sulla tasca posteriore. «Che guardi?», indico il disegno. «È.... è una tuta comoda che ho da anni... e smettila di deridere i miei personaggi d'infanzia», puntualizza accigliandosi. Gli occhi finti minacciosi, le braccia incrociate sotto il seno, è ormai sul sentiero di guerra.

«Vuoi stare sul pianerottolo o preferisci entrare?», dico con tono ironico abbozzando un sorriso. Mi oltrepassa sollevando il capo con una superiorità che sa bene non appartenerle. «E questo come si chiama? Sai, non sono molto pratico, i cartoni credo di averli abbandonati almeno dieci anni fa», imita una risata forzata.

«Hello Kitty, e giuro che se dici una sola parola a riguardo me ne vado», mi addita. Sollevo le mani in segno di resa e godo la leggerezza dell'atmosfera prima che tutto svanisca in uno schiocco di dita.

«Credo che ci siamo, no? Se sei qui è perché vuoi veramente sapere», le dico per temporeggiare, lei annuisce, si siede sul divano e io prendo posto di fronte a lei, sul tavolinetto. «Come hai scoperto di Arleen?», le domando. Incomincia a farfugliare qualcosa sul nostro primo bacio al campo, al nome che aveva letto sul display del telefono al quale non aveva prestato attenzione. Racconta di una scatola nell'armadio di Christian, mio padre, ne rimango sorpreso vista la sua totale indifferenza. Parla di una foto che ritraeva me e Arleen. Spiega in modo confuso e nervoso di un messaggio sul mio cellulare. «Hai toccato il mio telefono?», tuono inarcando un sopracciglio.

«Dormivi e non la smetteva di suonare e.... e quando ho letto che era lei ad avertelo mandato io... io ero gelosa», ammette. Scatto in piedi camminando avanti e indietro per la stanza.

«Ti avevo chiesto di fidarti.», sbraito. «Ma non potevi, vero? Hai preferito mille volte dare fiducia ad Alec», le rinfaccio al ricordo di lei che saliva in sella alla sua moto.

«Non è vero!», si alza in piedi, gli occhi spiritati, le narici dilatate e il respiro che accelera. «Volevo solo usare Alec... per te...», corruccio la fronte. «Volevo le risposte

che tu non mi avresti mai dato; se non fossi andata a Indianapolis ora non saremmo qui a fare questo discorso», serro la mascella per trattenere la rabbia che sento montare per la delusione e con un gesto della mano la invito a continuare. Prosegue spiegandomi della sua ricerca nell'annuario scolastico, il cognome Parker sotto la foto di Arleen, il collegamento con me, il confronto con Cody, fino alla decisione di voler avere delle risposte. «Dovevo sapere cosa nascondevano i tuoi occhi», dice in un flebile sussurro.

Scuoto la testa troppo, affollata di pensieri che gridano per uscire: «Non interrompermi, perché se dovessi fermarmi non so... non so se troverei la forza di continuare», annuisce e con lo sguardo la seguo mentre si rimette seduta. Decido di rimanere in piedi, anche se le gambe si fanno sempre più molli. «Sapevo di tua madre, li avevo visti con i miei occhi flirtare in ufficio un paio di settimane prima dell'incidente. Una sera, dopo che è uscita dal lavoro l'ho seguita fino a casa sua. L'ho pregata, scongiurata di lasciare in pace mio padre... la nostra famiglia», la vedo impallidire, agitandosi sul divano come se non riuscisse a stare seduta. «La sua risposta è stata una risata. Non dimenticherò mai quello sguardo, sapeva già che avrebbe vinto lei, mi sono umiliato e non è servito a nulla. Ho mentito a mia madre, a mia sorella e non riuscivo più a guardare mio padre negli occhi», sento la stessa rabbia montare all'istante richiamata dai ricordi. «Non potevo affrontarlo, perché gli avrei spaccato la faccia e tutto sarebbe venuto a galla, mentre una parte di me sperava che rinsavisse. Che fosse solo una sbandata. Noi eravamo noi la sua famiglia, non ci avrebbe abbandonato. Continuavo a ripetermi questa stronzata ogni santo giorno, fino a quando non ce n'è stato più bisogno», mormoro amaramente. «Quella notte avevamo una gara... una gara particolare, era truccata», confesso incontrando i suoi occhi per la prima volta da quando ho iniziato a parlare. «Bret aveva organizzato tutto, io e Alec dovevamo perdere, saremmo stati pagati il doppio delle puntate. Solo che Alec non è stato fedele all'accordo. Lui ha stravolto ogni cosa. Nella gabbia è andato tutto storto, abbiamo vinto e siamo scappati con i soldi già intascati; gli sbirri avevano fatto irruzione per una soffiata e io me la sono svignata con Cody», cerco di passare in rassegna ogni dettaglio di quella sera, ricordo persino cosa indossavo, la luna talmente grande che quasi illuminava a giorno la notte. «Ci siamo nascosti per un po' nella periferia. I telefoni staccati per non essere rintracciati. Il tempo sembrava non passare mai. Sentivo addosso una sensazione che non avevo mai provato... la paura. Penetrava dentro di me provocandomi angoscia senza capirne il motivo... un sesto senso», confesso in un sospiro. «Dopo due o forse tre ore, siamo tornati indietro alla ricerca degli altri. Avevo acceso il telefono che non la smetteva di lampeggiare per i molteplici messaggi che arrivavano... tutti di Arleen. Le mani tremavano al timore di leggerli. Ho aperto il primo. Gli occhi hanno letto una verità che già conoscevo. Diceva che li aveva visti mentre scopavano sulla scrivania del suo ufficio. Il sangue mi ribolliva nelle vene allo stesso tempo che provavo a chiamarla, ma il telefono squillava a vuoto», serro le mani in due pugni. «La strada poco illuminata, due fari alti puntati dietro di noi, un secondo e il mio sguardo si scontra con la macchina di Alec che procede nella corsia opposta alla nostra. Vedo lei alla guida... mi volto d'istinto ancor prima di sentire lo stridio degli pneumatici sull'asfalto, la macchina dietro di noi la sperona sul lato guida innescando una carambola che sembrava non avere fine. La lamiera si contorceva a ogni giro che l'auto faceva su sé stessa», trattengo il respiro che mi si mozza nel petto bruciando per il dolore. «Ho corso verso di loro, l'altra auto era sparita nel nulla. Lei era per metà fuori dalla macchina... ricordo ancora il suo braccio steso sul grigio dell'asfalto. La chiamavo, gridavo il suo nome... stringevo la sua mano nella mia, allo stesso tempo che Cody chiamava l'ambulanza», tiro un pugno contro la finestra, i vetri cadono in pezzi sotto i miei occhi, Allyson non batte ciglio, rapita nel mio passato. «Non doveva essere con Alec, lui sapeva che con certa gente non si scherza... stavano cercando lui perché ci aveva traditi, era lui quello che si sarebbe dovuto trovare in un letto d'ospedale. Invece si è fatto appena un mese di riformatorio. Solo perché è il figlio dello sceriffo. Ho aspettato per sette lunghissimi minuti che il buio si colorasse delle luci lampeggianti dell'ambulanza, mentre ogni secondo si portava via Arleen e insieme a lei anche la mia vita...», rivoli di sangue mi percorrono la mano fino a marchiare il pavimento, dove i piedi hanno messo radici. Sono lì, vicino a quel letto di ospedale, il bip incessante delle macchine è nella testa, suona per ogni battito del suo cuore che lottava. Il telefono, un messaggio: "SOLO UN AVVERTIMENTO, NON SCHERZIAMO" Avevo letto il messaggio che mi aveva girato Bret, inviatogli da chi aveva causato l'incidente. «Ha riportato danni al lobo spazio temporale, perdita di memoria a breve termine... così l'hanno definita», dico con le forze che sento ormai mancare.

«Alec sapeva che lo stavano cercando?», chiede impaurita.

Un ghigno compare spontaneo sul mio volto: «Certo che lo sapeva. Ha sfidato le persone sbagliate per il suo ego smisurato, per dimostrare che lui era meglio degli altri... solo che il prezzo di questo schifo di gioco l'ha pagato mia sorella», tuono. «Cody mi ha trascinato via di lì prima che finissi per prenderlo a pugni... aveva toccato le persone sbagliate», digrigno i denti per la nausea che riaffiora al ricordo di quello che ho passato.

«Nessuno... nessuno di loro... la nomina», esclama a metà fra un'affermazione e una domanda.

«Ho dovuto proteggerla per sicurezza dalle persone che ci minacciavano... tutti la credono...», non termino la frase che la sua mano si porta alla bocca. «Siamo scappati da qui, nuova città, nuova vita, solo per l'illusione di dire di averne una». Due anni di sofferenze, finte speranze che graffiano per rivendicare quel passato.

«Tuo padre» abbozzo un sorrisetto sghembo.

«Vive con il rimorso di aver ucciso la sua stessa figlia», dico con noncuranza. Se non ci avesse tradito tutto questo non sarebbe successo, se lei non avesse visto, sarebbe stata a casa al sicuro.

«Non puoi dire sul serio?», scatta in piedi.

«Non ti azzardare a difenderlo, in una settimana non ha trovato il tempo di venire a trovarla perché quella cagn...», faccio schioccare la mascella fermandomi prima di concludere la frase. I suoi occhi si sgranano sotto le parole che la colpiscono ugualmente. Bussano ripetutamente alla porta, resto a guardarla, vorrei trovare qualcosa di giusto da dirle, ma non c'è nulla di giusto o sbagliato... c'è solo il torpore di un'anima oscura che non troverà mai pace... la mia. Vado verso la porta, la sua mano sfiora il mio braccio.

«N... Non aprire... non aprire, per favore», restiamo a guardarci, occhi negli occhi, l'unico luogo in cui posso nascondermi, il solo dove gli incubi mi abbandonano.


*SPAZIO XOXO*

Allora? Avete capito ora perché il padre di Damon ad Allyson nomina solo un figlio?

Avete capito ora perché lui ha cambiato nome e l'odio che prova verso la madre di lei? 

Chi sarà alla porta? Posso dire ufficialmente che UN AMORE PROIBITO ha indizio ora....

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