UN AMORE PROIBITO Cuori Spezz...

By _StarFreedom_

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Damon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi a... More

NEWS
PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Allyson
Capitolo 4 Damon
Capitolo 5 Allyson
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Allyson
Capitolo 10 Damon
Capitolo 11 Allyson
Capitolo 12 Damon
Capitolo 13 Allyson
Capitolo 14 Damon
Capitolo 15 Allyson
Capitolo 16 Damon
Capitolo 17 Allyson
Capitolo 18 Damon
Capitolo 19 Allyson
Capitolo 20 Damon
Capitolo 21 Allyson
Capitolo 22 Damon
Capitolo 23 Allyson
Capitolo 24 Damon
Capitolo 25 Allyson.
Capitolo 26 Damon
Capitolo 27 Damon
Capitolo 28 Allyson
Capitolo 30 Allyson
Capitolo 31 Damon
Capitolo 32 Allyson
Capitolo 33 Damon
Capitolo 34 Allyson
Capitolo 35 Damon
Capitolo 36 Damon
Capitolo 37 Allyson
Capitolo 38 Allyson
Capitolo 39 Damon
Capitolo 40 Damon
Capitolo 41 Damon
Capitolo 42 Allyson
Capitolo 43 Allyson
CAPITOLO 44 Damon
CAPITOLO 45 Allyson
Capitolo 46 Damon
Capitolo 47 Allyson
Epilogo Allyson
UN AMORE PROIBITO - VITE LONTANE
Nuova Storia solo per VOI

Capitolo 29 Damon

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By _StarFreedom_

«Tu non stai scherzando, Dam, vero? Vuoi che io sia un segreto?». Cosa sto combinando? Domando a me stesso non riuscendo più a distogliere lo sguardo da lei. Accidenti.

«Ascolta, Al...», lei indietreggia di qualche passo finendo quasi per inciampare su una delle sedie capovolte sul pavimento.

«Non voglio ascoltare più nulla», dice con la voce rotta, anche se nessuna lacrima scivola lungo il suo volto incredulo. L'azzurro dei suoi occhi si incupisce sempre di più, allo stesso tempo che tiene la testa bassa rivolta a terra. Le braccia strette sotto il petto.

«Allyson...», sussurro avanzando verso di lei. L'aula per fortuna non prevede altre lezioni, dal momento che siamo qui ormai da venti minuti e nessuno è venuto a cacciarci.

«Sono stata solo una stupida», esclama gesticolando animatamente con l'indecisione di tagliare l'aria che ci circonda con i suoi stessi movimenti e quella di perdersi nella chioma di onde imperfette che le incorniciano il viso. «È ovvio che nessuno deve sapere di me...», indica sé stessa ed è come se avesse persino timore di toccarsi, le mani le tremano. «L'ingenua Allyson con Damon Sanders. È persino folle dirlo a voce alta», scuoto la testa di fronte alle sue stronzate. Come può avere così poca stima di sé stessa? Se mi guardassi attorno in questo Campus, non troverei nessuna che le somigli. Il suo sorriso radioso, la sua costante voglia di sapere, quello sguardo che sembra capirti pur non conoscendoti abbastanza.

«Non hai capito, Al, stai».

Merda.

Perché non sono bravo con le parole? È una lotta continua fra quello che sento e non riesco ancora a capire, fra la parte di me molto poco razionale e lei... cazzo, lei è lo scompiglio più totale di tutto.

«Sto cosa?», mi incalza. «Se tutti sapessero di me ti rovinerei la media, vero? Non potresti più, insomma, non potresti andare con...», arrossisce dalla vergogna.

«Non potrei più scoparmi le altre?», sobbalza e inchioda gli occhi ai miei. «È questo che pensi?», domando in un soffio.

Perché non dovrebbe?

Bentornata, ci mancavi solo tu in questo momento a rendermi tutto più semplice. Dico mentalmente a quella stronzetta che non perde di certo occasione a ricordarmi quanto io sia stato tremendo con lei.

Solo con lei? Dev'essere periodo di Saldi.

Ora mi hai veramente stancato.

«Cosa dovrei pensare? Insomma... non so nemmeno cosa siamo...», i suoi piedi camminano verso la grande finestra che si affaccia sul giardino del Campus. Osservo il suo volto smarrito cercare qualcosa fra i grandi alberi che si stagliano verso un cielo dove le prime nuvole incominciano a coprirne parte di un celeste quasi perfetto.

«Non servono nomi per definirsi», provo a dire e butto fuori l'aria per alleggerirmi. Non mi sono mai trovato a dover affrontare argomenti del genere con nessuna. Erano tutte di passaggio, compresa Ethel; stavamo insieme, è vero, ma forse era solo lei a vederla in quel modo.

Questo non mi limitava di certo ad andare con le altre, mentre ora, soprattutto dopo quello stupido bacio, dopo averla vista in lacrime per colpa di Alec, non sono più riuscito ad andare con nessuna. Persino quel giorno al Masters, dopo vari bicchieri di vodka e una Ethel svestita, i miei occhi vedevano solo i suoi non appena li socchiudevo. Ma la cosa peggiore era la sensazione che sentivo farla da padrona dentro di me. Era quella a confondermi.

«Due persone o stanno insieme oppure no è molto semplice, Dam», dice facendomi trasalire dai pensieri mentre osservo le sue spalle ricurve che portano il peso di risposte che non posso darle.

«Al, non posso dire agli altri che sei la mia ragazza e credimi... Merda... non è per quello che pensi tu. Non me ne fotte un cazzo delle altre, sono qui», stringo forte i pugni, le parole sono esplose sulle labbra.

«Allora per cosa, Damon? Per cosa? Spiegami, perché io credo di impazzire», sbraita voltandosi verso di me.

Nessuna espressione delinea il suo volto. È come una tela bianca che incomincerà a prendere forma in base a quello che continuerò a dirle.

«Devo tenerti lontana da quello che faccio», spiego. Corruccia la fronte come se non capisse. «Le lotte, devi starne fuori. Nessuno deve sapere di... di te, per questo».

Non è un gioco, si ha a che fare con persone poco raccomandabili, gente che solo perché li hai fatti perdere, amano vendicarsi su ciò a cui tieni di più. La cicatrice nella mia anima ne è la risposta.

«Allora perché continui se è così pericoloso?». Perché... Perché... Troppe domande.

«Fa parte della mia vita, ormai», mi limito a rispondere.

«Non... Non devi farlo per forza», una scintilla sembra comparire nei suoi occhi. Come se avesse trovato la soluzione a tutto.

«Non ho scelta, Allyson», abbozzo un sorriso sbieco che compare richiamato dalla tensione che sento accumularsi sempre di più.

«Abbiamo tutti una scelta». Perché mi sono ficcato in questo casino? Rimprovero a me stesso, sapendo bene che non potrei mai e poi mai raccontarle una versione di un Damon Sanders che deve rimanere sepolta.

«A volte non esistono sfumature, Al. A volte nella vita è tutto bianco e ti dai una possibilità, puoi dipingerci sopra ogni cosa. Altre, invece, è solo il nero a prevalere e niente... niente potrà coprire quel colore».

Il telefono squilla e lo sfilo dalla tasca vedendo che è mia madre a chiamarmi. Rifiuto la chiamata e spengo il cellulare.

«Non puoi pensarla veramente così, sul nero puoi gettarci sopra la vernice che vuoi e ricominciare da zero», mi piace come l'arte ci accomuni così tanto da farci perdere nelle nostre stesse parole fatte di metafore, dietro le quali c'è un mondo intero che si nasconde.

«Certe cose, Allyson, non potranno mai essere cancellate, finché avrò fiato saranno lì ad aspettarmi», concludo la frase in un sussurro appena percettibile e quasi spero che non mi abbia sentito.

«Io voglio aiutarti», dice e mi bastano quelle parole e i suoi occhi per capire che siamo andati troppo oltre con questa conversazione.

«È per questo che non ti apro la porta sul mio passato», indico il suo volto mentre sento i muscoli del mio contrarsi. «Per la pietà che leggo nei tuoi occhi».

Esco dall'aula con il rumore dei suoi passi che mi seguono. La sua mano mi sfiora il braccio e il mio corpo reagisce all'istante fermandosi. Sei fregato, amico! Un dito medio immaginario risponde per me alla mia stronzetta.

«Cosa vuoi, Al? Non possiamo saltare entrambi la prossima lezione», esclamo come se per tutto questo tempo non avessimo neppure parlato. È più facile far finta di nulla che affrontare la realtà, a volte, fingere che i problemi non siano dietro l'angolo ad aspettarti e che la tua vita sia perfetta.

«Non provo pietà per te, io volevo...», sollevo le mani in segno di resa.

«Chiudiamo qui questo discorso. Ora devo andare», la sento farfugliare il nome di Joselyn ma non ci bado, la parte di me che non fa fermate per ragionare mi spinge ad allontanarmi da lei il prima possibile.

Prendo il telefono dalla tasca ricordandomi della chiamata di mia madre e compongo il numero dopo averlo riacceso.

«Dam...».

Non la lascio terminare di concludere la frase che subito ribatto secco: «Cosa vuoi?», mi mordo la lingua non appena sputo velenosamente quella domanda, ma come al mio solito è troppo tardi.

«Volevo solo sapere come stavi», balbetta. Quasi rido per il tempismo della sua domanda.

«Bene. Tutto a posto, c'è altro?», va talmente bene, mamma, che sto frequentando la figlia di quella puttana che ci ha rovinato la vita. Vorrei aggiungere, ma lo tengo per me.

«Sai, Arleen», il cuore perde un battito al suono del suo nome, insieme al ricordo dell'ultima volta che le ho fatto visita, «è riuscita a ricordarsi della collana, sai?», dice entusiasta.

«Come?... Cosa... cosa ha detto?», mi fermo vicino alla panchina sulla quale mi siedo per le gambe che hanno preso a tremare da sole. È una catenina con un ciondolo a forma di cuore, all'interno due nostre foto. Gliel'avevo regalata il giorno in cui ha varcato la soglia di quella dannata clinica.

«Ha detto che gliel'ha regalata un suo amico», sbuffo sconfitto, passo la mano fra i capelli lasciando scivolare con quel gesto la speranza alla quale mi ero per un attimo aggrappato.

«Dam, è un progresso...», tenta di dire.

«Non tornerà più. Arleen non potrà più essere la figlia che avevi».

La mano stringe il legno della panchina dove sono seduto, le nocche sbiancano. Le parole sono dure, colpiscono e trafiggono come una lama appuntita, allo stesso tempo che le pronuncio.

Ho bisogno di dar voce a quei pensieri che da due anni a questa parte continuo a scacciare via invano.

«Lei, ce la farà, non so quando ma Arleen tornerà da noi», sussurra con la voce che si incrina e contro la quale non riesco a resistere. Chiudo la chiamata senza neppure salutarla.

«Vorrei poterci credere anche io», esclamo ad alta voce.

Mi alzo e vado alla terza ora di lezione. Attraverso i corridoi sotto le imponenti arcate che fiancheggiano il Campus. Bret esce dai bagni e non appena entro nel suo campo visivo mi viene incontro. Spero che Ethel non sia andata a piagnucolare da lui per la discussione di questa mattina. Aspetta, sarebbe l'ideale per scaricare la giornata che si è tramutata, come al solito, in una merda. Un buon motivo per aprirgli la faccia.

«Sanders», dice a pochi passi da me.

«In persona», rispondo ironico allargando le braccia.

«Jack ti stava cercando», spiega e aggrotto la fronte non capendo cosa c'entri lui con Jack del Masters.

«Sentiamo, perché avrebbe cercato te? Comunque, avevo il telefono staccato», incrocio le braccia in attesa di una sua risposta.

Fa schioccare la mascella compiaciuto: «Come, non te l'ha detto?»

«A quanto pare no. Illuminami, genio», chiedo, sapendo bene che i muscoli e gli steroidi hanno risucchiato parte del suo cervello.

«Alec è fuori dalle lotte», rido fragorosamente, come se non lo sapessi dopo averlo messo col culo per terra di fronte a tutti.

«È ovvio che non faremo più coppia, questo lo so anche io», aggiungo divertito.

«Non hai capito, ha chiuso col giro».

Merda. I pensieri corrono veloci e la risposta compare alla mente in uno schiocco di dita. «Allyson», quasi tuono non rendendomene conto.

«Allyson, cosa?», domanda lui sorpreso.

«Che cazzo vuoi, Bret? Era solo questo che volevi dirmi? Non ho tempo da perdere». Ecco che cosa ha in mente il bastardo per entrare nelle grazie di Al. Figlio di puttana.

«Sono io che prenderò il suo posto. Jack ti chiamava per informarti», inarco un sopracciglio e inclino appena la testa come se avesse parlato in una lingua a me sconosciuta.

«Col cazzo. Si dev'essere bevuto il cervello», sbraito prendendo immediatamente il telefono dalla tasca.

«Non decidi tu le regole, non le hai mai decise... ricordi?», i nostri sguardi si scontrano e lottano per noi a chi può incenerire l'altro per primo.

«Se mi fai perdere solo una...», avanzo minaccioso fino a essere a un millimetro dal suo brutto muso, «una fottuta gara, non avrai altro giorno da rimpiangere per tutta la tua vita», ringhio e l'oltrepasso dandogli una spallata.

«Domani sera a Boston», urla dietro le mie spalle e mostrandogli due dita medie che si sollevano in aria lo saluto.

Non sarò io a decidere le regole, ma sono il nome che è sulla bocca di tutti. L'unico che non ha mai perso un incontro malgrado possa essere uscito fuori dal ring trascinandomi. A lezione di storia, un corso che ho dovuto aggiungere per avere più crediti per la borsa di studio, intravedo Cody e lo raggiungo prendendo posto al suo fianco.

«Ehi, amico, che faccia che hai», sollevo la mano per zittirlo. Di certo non sono il classico ragazzo che si nasconde dietro un finto sorriso.

«Bret è dentro», esclamo scoccandogli un'occhiata di intesa.

«E così è riuscito a entrare nel giro», dice non molto sorpreso.

«Era quello che aspettavi, no?», aggiunge. Già, era proprio quello che aspettavo, anche se gli ho fatto credere il contrario.

«Sì, ma non credevo che sarebbe dovuto uscire Alec. Il bastardo è uscito per infilarsi per primo in mezzo alle gambe di All....», una gomitata al fianco mi impedisce di finire la frase. I miei occhi si voltano verso destra dove la vedo prendere posto al fianco della parete, come se volesse quasi scomparire attraverso di essa. «Fantastico», lascio cadere le mani sul banco.

«Dovresti spiegarle ogni cosa se tieni a lei», dice Cody aprendo il libro di testo che ovviamente non ho perso tempo a portarmi appresso.

«Lei deve restare fuori da tutto, compreso il mio conto in sospeso con questi pezzi di merda. Devono pagare... se solo quella sera non mi avessi fermato...», sibilo furioso al solo ricordo.

«Staresti marcendo dietro le sbarre. Quindi ringraziami di averti salvato il culo», il preside entra in aula attirando l'attenzione di tutti i presenti.

«Ragazzi, volevo presentarvi l'insegnante che sostituirà per un periodo il professor Thaker, la signora Steward», in uno scatto mi volto prima verso Allyson poi verso il mio amico. Il destino sembra non aver mischiato bene le mie carte questa mattina, visto che tutto sembra crollarmi addosso come se fossi la pedina di un domino. La guardo fare il suo ingresso nel suo completo firmato che mai si sarebbe potuta permettere. I capelli lucenti ondeggiano morbidi a ogni passo che ha rubato alla mia vita. Il sangue mi ribolle nelle vene e lo sento non raggiungere più il cervello dove non c'è più spazio per la ragione.

«Siediti», mi tira per il braccio Cody e senza rendermene conto sono già in piedi con gli occhi puntati sul mio passato.

«Sanders», mi richiama il preside.

Scendo le scale dell'aula mentre il mio sguardo non smette di percorrere la sua misera figura da capo a piedi: «Non sapevo che adesso potessero insegnare anche delle comuni segretarie», ironizzo a pochi passi da lei.

«Come si permette, signor Sanders? La signora Steward ha tutte le credenziali per...», prova a spiegarmi, ma di certo le mie orecchie sono perse ormai lontane dalla realtà.

«Le credenziali per scoparsi uomini sposati?», ringhio.

«Damon.», biascica appena lei, come se si fosse appena svegliata dal peggiore dei propri incubi, realizzando chi si trova davanti. «Già sono proprio io, lo stesso che ti ha vista piegata a novanta sulla scrivania di mio padre», sento quelle parole bruciare come acido sulla lingua mentre le pronuncio.

«Adesso basta, Sanders!», urla il preside.

Lo guardo con sufficienza: «Vuole per caso espellermi?», la mia non è una domanda ma una minaccia. Rido amaramente verso di lei dove il viso ha preso il colore dello stesso abito che indossa. Rosso: come la vergogna di una lettera scarlatta che dovrebbe portare incisa sul petto. Il silenzio incombe nell'aula ma riesco a sentirla, a sentire lei, ascolto il suo respiro affannato come se stesse sul punto di esplodere.

Mi volto e la vedo precipitarsi giù per le scale come un fulmine e fiondarsi oltre la porta. I suoi passi rimbombano nel corridoio e anche se una parte di me dice di seguirla, la reprimo con tutte le forze. Il dolore che preme sul petto, lo stesso che avevo messo da parte per tutto questo tempo, è comparso come un destro ben assestato che mi travolge facendomi vacillare.

Salto le successive ore di lezione, per ritrovarmi rinchiuso come un carcerato nell'ufficio del rettore.

«Damon, ho chiuso un occhio per la lotta che c'è stata nel parcheggio poche settimane fa», spiega con pacatezza da dietro la sua scrivania. Non è cambiato poi tanto da quando veniva in compagnia di sua moglie in quella che un tempo era casa mia. «Ma non puoi rivolgerti così ad un insegnante», resto in silenzio ad ascoltarlo perché è stato l'unico a stare vicino a me e a mia madre quando eravamo in ospedale dopo l'incidente di Arleen. «Capisco che non è facile trovartela davanti, ma non puoi rovinare la tua vita e quella di chi ti sta intorno per un errore che non è tuo», tamburello le dita sui jeans, trattenendomi dal rispondergli.

«Abbiamo finito?», chiedo soltanto, facendo leva con le mani sulle ginocchia per tirarmi in piedi.

«Damon, non voglio più vederti in questo ufficio. È chiaro?», annuisco e mi avvio verso la porta. «Quando vuoi sei il benvenuto a casa nostra», dice poco prima che esca.

Dovevo andare a trovarlo il primo giorno che sono arrivato al Campus. Per lo meno è quello che avevo promesso a mia madre, per ringraziarlo della borsa di studio che si era tanto preoccupato di farmi avere, ma non l'ho fatto. Non voglio avere favori da restituire a nessuno, ma solo una lunga lista di chi li deve al sottoscritto. Butto un occhio all'orologio: «Cazzo è tardissimo», dico pensando all'incontro con Joselyn. Mi avvio verso l'auto e il mio sguardo cerca Allyson in mezzo agli altri studenti, ma non c'è, non è qui. È strano da spiegare, ma è come se riuscissi a percepire la sua presenza. Chissà dove sarà. Avrei dovuto seguirla, invece il mio orgoglio e i miei problemi continuano a sbarrarmi la strada. Mando un messaggio a Cody non appena salgo in macchina, chiedendogli di cercarla lui per me e di farmi sapere il prima possibile.

Devo parlarle.

Dovresti anche scusarti.

Forse.

Facciamo progressi.

Ingrano la marcia, pigio forte sull'acceleratore e i cavalli che scalpitano sotto il mio culo riescono a far scorrere la giusta dose di adrenalina di cui ho bisogno. Poco dopo, parcheggio proprio di fronte a Colleen's e Joselyn è di fianco alla porta che mi aspetta. Scendo dalla macchina con la curiosità che quasi mi precede.

«Sei in ritardo», tamburella il dito indice sull'orologio al polso. Butto un occhio al mio con finta convinzione.

«Ah sì? Avevamo un appuntamento? Perché non ricordo di averti dato un orario», dico beffandomi del suo atteggiamento che inizia a irritarmi.

«Sei tu che vuoi delle risposte», esclama e fa per andarsene, ma l'afferro per il braccio.

«Non così in fretta. Allora, cosa ha in mente tuo fratello?», domando senza molti preamboli.

«È meglio se entriamo», dice ammiccando un sorriso che non capisco. Ci sediamo in uno dei tavoli in fondo alla sala. La cameriera viene subito a riempire le tazze di caffè.

«Allora?», continuo spazientito.

«Sai, Alec sapeva che saresti tornato», sgrano gli occhi sorpreso. Nessuno sapeva del mio ritorno in città tranne Cody, ma lui non gliel'avrebbe mai riferito.

«Quindi?», insisto e il suo sorriso si allarga sempre di più.

«Quindi un mese di riformatorio è duro da dimenticare», spiega, ricordandomi dell'arresto avvenuto la sera dell'incidente.

«Non ha scontato abbastanza per quello che ha fatto», ribatto facendo schioccare la mascella.

«Sai benissimo che la colpa non è stata del tutto sua, ma comunque non siamo qui per questo», risponde in un modo del tutto nuovo ai miei occhi che è come se la stessero guardando per la prima volta. «Allyson è solo un altro dei vostri giochetti, sin dall'inizio... solo che tu non lo sapevi», resto in silenzio cercando il senso in quelle parole. «Sapeva che avresti perso la testa per quella santarellina, per me è stato un gioco da ragazzi avvicinarla, esserle amica e farla cadere fra le sue braccia».

«Ma che cazz...», sorride compiaciuta tenendo fra le mani un libro sul quale picchietta fastidiosamente le unghie smaltate.

«È bastato dirle di starti lontano per innescare in lei la curiosità, alla fine, Dam, hai fatto quasi tutto da solo», continuo comunque a non capire.

«Sei più stupida di tuo fratello se credi che lei sceglierà Alec», l'hanno presa in giro per tutto questo tempo. Il suo rapporto con lui era basato su uno stupido gioco per cercare di colpire me.

«Continuerai a fare tutto da solo, fidati», prosegue in tono minaccioso.

«Sei anche peggio di lui. Questa storia finisce qui e ora!», ordino, sbattendo il pugno sul tavolo. In lei non vedo nessun accenno di timore comparirle in volto. Scuote il capo sogghignando.

«Non hai ancora capito, Damon. Tutto è appena cominciato...», si protrae verso di me, abbastanza da sentire il suo profumo che in questo momento mi rivolta lo stomaco. Devo fare appello a tutto al mio controllo per non metterle le mani addosso dato che è una ragazza. «I tuoi occhi la guarderanno stare con chi le toglierà la verginità... e quello non sarai di certo tu», sussurra e i suoi occhi cadono sulle mie labbra.

«Sei disgustosa, mi fate ridere. Darò ad Alec la lezione che merita e né tu, né nessuno potrà fermarmi questa volta. Sarai tu a sederti al fianco di un letto di ospedale», le prometto con la rabbia che sento montare.

«Sei sempre così convinto di avere tutti sul palmo della tua mano...», si mette comoda sulla sedia e spinge il libro che ha sotto il naso verso di me.

«Non dovresti pensare di vincere sempre», aggrotto la fronte mentre i miei occhi lo guardano.

«Aprilo nel mezzo», dice, ma mi alzo in piedi stufo del suo gioco.

«Damon, ti conviene aprirlo, credimi», continua picchiettando sulla copertina. Guardo lei poi il libro e lo apro, gli occhi cadono su una busta da lettere bianca. La prendo fra le mani, si morde le labbra divertita e mi basta buttare un occhio al contenuto per scoprirne il motivo. La gola si serra in un secondo mentre ogni muscolo si contrae nel trovarmi una parte del mio passato da dimenticare tra le mani.

«Cosa vuoi?», tuono sbattendo entrambi i palmi sul tavolo e mettendo il mio viso a un centimetro dal suo.

«Non l'hai ancora capito?», chiede cercando di sfiorarmi le labbra con il pollice, ma sollevo la testa per non essere sporcato dal suo tocco e i miei occhi incontrano quelli di Al che entra nel locale seguita da Alec. Joselyn si volta verso di loro. «Ma guarda, come l'hai spinta stavolta fra le sue braccia?». Sono nella merda.

«Non puoi farlo sul serio», sibilo fra una supplica e una minaccia.

«All'inizio volevo stare fuori da tutta questa faccenda ma poi tu... tu come al tuo solito mi hai usata. Sapevo che non valevo nulla per te, ma quello che mi ha fatto incazzare è che volevi fare ingelosire la piccola Allyson», ascolto le sue parole intrise di gelosia mentre il mio sguardo segue lei che si siede dalla parte opposta al locale, facendo finta di non avermi neppure visto anche se i nostri sguardi si richiamano l'uno all'altra. «Mi sono chiesta che cosa ti piacesse di lei che io non avessi ed eccomi qui a fare come fai tu... a prendermi ciò che voglio». Se fosse una partita a scacchi questo sarebbe il mio scacco matto. Non ho una via di uscita, incastrato con le spalle al muro e per la prima volta non so come tirarmi fuori da questo casino cercando di evitare che ci vada di mezzo Al.

Non posso sopportare di vederla con lui.

Le sue mani non la devono toccare, non deve succederle nulla, perché se accadesse sarebbe solo colpa mia, di un conto in sospeso da chiudere. «Mettiti comodo, ti spiego cosa faremo», dice Joselyn fiera di avermi in pugno.


*SPAZIO XOXO*

Avete capito? Tutto un gioco fin dall'inizio per Alec.

Un modo per vendicarsi di un mese trascorso in riformatorio.

La cara Joselyn gioca sporco. Cosa avrà fra le mani?

Siete sorprese? La storia prende vita.

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