UN AMORE PROIBITO Cuori Spezz...

By _StarFreedom_

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Damon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi a... More

NEWS
PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Allyson
Capitolo 4 Damon
Capitolo 5 Allyson
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Allyson
Capitolo 10 Damon
Capitolo 11 Allyson
Capitolo 12 Damon
Capitolo 13 Allyson
Capitolo 14 Damon
Capitolo 15 Allyson
Capitolo 16 Damon
Capitolo 17 Allyson
Capitolo 18 Damon
Capitolo 20 Damon
Capitolo 21 Allyson
Capitolo 22 Damon
Capitolo 23 Allyson
Capitolo 24 Damon
Capitolo 25 Allyson.
Capitolo 26 Damon
Capitolo 27 Damon
Capitolo 28 Allyson
Capitolo 29 Damon
Capitolo 30 Allyson
Capitolo 31 Damon
Capitolo 32 Allyson
Capitolo 33 Damon
Capitolo 34 Allyson
Capitolo 35 Damon
Capitolo 36 Damon
Capitolo 37 Allyson
Capitolo 38 Allyson
Capitolo 39 Damon
Capitolo 40 Damon
Capitolo 41 Damon
Capitolo 42 Allyson
Capitolo 43 Allyson
CAPITOLO 44 Damon
CAPITOLO 45 Allyson
Capitolo 46 Damon
Capitolo 47 Allyson
Epilogo Allyson
UN AMORE PROIBITO - VITE LONTANE
Nuova Storia solo per VOI

Capitolo 19 Allyson

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By _StarFreedom_

 Apro gli occhi e vedo le sue spalle scomparire dietro la porta della camera. Resto un istante a fissare la porta che ci separa e vado nella mia stanza. Incrocio le braccia al petto a disagio e mi guardo intorno. Non manco da molto, eppure sembra passato così tanto tempo da quando trascorrevo le mie giornate seduta alla scrivania di fianco alla finestra, mentre lasciavo i pensieri perdersi attraverso il cielo e i suoi colori che mutavano col passare delle ore. La mia testa è così affollata di domande verso quel ragazzo così strano. Non riesco a stare ferma, passeggio avanti e indietro per la stanza e alla fine cedo.

Ho bisogno di risposte.

Percorro il corridoio in punta di piedi e butto un occhio giù per le scale, la luce del salotto è spenta, mio padre dev'essere già andato a dormire. Il pugno sospeso a mezz'aria trema a pochi centimetri di distanza dalla porta di legno bianco laccato. Lo sento parlare con qualcuno ma decido di bussare ugualmente.

«Avanti», dice subito. Apro lentamente la porta entrando nella penombra della camera, illuminata dalla sola luce dei lampioni che filtra dalla finestra. Damon è sdraiato sul letto, si sorregge sui gomiti e riesco a scorgere i muscoli tesi sotto il tessuto della felpa. Con la schiena appoggiata alla porta e le mani dietro a impugnare ancora la maniglia, decido di farmi coraggio.

«Ho... Ho interrotto qualcosa?», chiedo con lo sguardo che scivola sul cellulare che ha ancora stretto fra le mani.

«No, era solo Cody e per giunta, alla fine, mi sono dimenticato di dirgli che sono a Boston», risponde con tranquillità. «Hai bisogno di qualcosa?», aggiunge sarcastico mettendosi a sedere con le gambe divaricate e i gomiti appoggiati sopra di esse.

Per un istante mi fisso le punte dei piedi che picchiettano frenetiche sul pavimento, mentre sento il suo sguardo percorrere lungo il mio corpo. È difficile da spiegare il modo in cui lo percepisco, è come se ogni fibra o cellula si animi di vita propria.

«Perché mi hai baciata?», chiedo in un sussurro.

«Perché ti ho baciata?», ripete con la voce carica di ironia. È stata una pessima idea, rimprovero a me stessa, mi ero illusa che la chiacchierata in macchina e la sua apparente gentilezza avessero cambiato qualcosa. Stiamo parlando di Damon e lui è così. Quanto posso essere patetica? «A me è sembrato che anche tu mi abbia baciato», aggiunge e il mio sguardo scorge le sue Converse a pochi centimetri da me. Sollevo lentamente gli occhi fino a raggiungere il suo volto. Si protrae verso di me, poggiando i palmi delle mani sulla porta ai lati della mia testa intrappolandomi.

«Allyson...», sospira e il profumo di menta e liquirizia riempie il mio respiro, riconoscendo il sapore che riesce a lasciare nella mia bocca. Mi mordo il labbro al ricordo del nostro ultimo bacio, dove il cuore martellava nel petto mentre annaspavo in cerca di quell'aria che lui mi stava strappando.

«Perché?», la sua mano mi accarezza la guancia scivolando sul collo, dove l'indice scorre lentamente su e giù e i brividi si propagano come fiamme in tutto il mio corpo. Deglutisco a fatica, la bocca è arsa e il suo sguardo richiama la mia attenzione. Quelle pozze verdi giada penetrano fin sotto alla pelle, si inchiodano su di me accompagnati da un sorriso sbieco.

«Mi piace il profumo della tua pelle», mormora annusando il mio collo e il corpo si schiaccia sempre di più contro la porta. «I tuoi capelli sono così morbidi», ne tiene una ciocca fra le mani e guardo le dita toccarla come fosse così preziosa per la delicatezza di quel gesto. «E tu, tu Allyson sei così...», il suo naso sfrega contro il mio, il pollice tortura la mia bocca con movimenti lenti dove le labbra, guidate da quel tocco, si rilassano fino a soffermarsi su quello inferiore che cattura fra i denti. Un gemito sfugge al mio controllo. Scende sul mento con piccoli baci e io sono paralizzata. Non riesco più a emettere un solo fiato, sono pervasa da sensazioni nuove, estranee al mio corpo e sono in trappola. Soffia e succhia lentamente la pelle del collo e con la mano sposta appena la maglia raggiungendo la spalla.

«Damon», sussurro provando ad attirare la sua attenzione. L'altra mano raggiunge l'orlo della maglia e il cuore in quell'istante inizia una corsa inaspettata. «Damon», lo sento ansimare fino a sentire la sua mano fredda a contatto con la pelle del fianco. «Fermati. Damon, BASTA!», lo spingo e mi ricompongo, assicurandomi che ogni parte sia coperta e non più esposta al suo sguardo.

Aggrotta la fronte confuso e inclina la testa per cercare di capire.

«Cosa succede? Credevo che piacesse anche a te», esclama passandosi la mano fra i folti capelli neri. «È per Alec?», digrigna i denti nel pronunciare il suo nome. Scuoto la testa, non riesco a parlare; vorrei, ma perché dovrei dirglielo?

Che senso avrebbe?

«Allora? Sei venuta qui per cosa?», continua e la vergogna mi trascina a fondo. Credeva che volessi... Non ci posso credere. Ma forse dovrei dato che lui è "Il ragazzo-da-zero-impegni-solo-sesso".

«Io Damon...», si siede sul letto senza che i suoi occhi mi abbandonino.

«Tu cosa? Cosa, Allyson? Sei forse vergine?», ride sommessamente come se non ci credesse. Resto in silenzio chinando il capo, poi mi volto per uscire. «Aspetta», i suoi passi raggiungono le mie spalle dove le mani si poggiano leggere. «Tu, sei davvero vergine, Allyson? Tu e Alec non avete...», non gli lascio terminare la frase.

«No, mai. Buonanotte, Damon», la sua presa mi lascia andare, incredula per le mie parole. La porta della mia camera sembra così lontana che non appena la richiudo alle mie spalle, scivolo su di essa sedendomi a terra. Incomincio a ridere senza un senso logico, forse persino la parte di me più razionale trova divertente la mia assurda rivelazione.

«Complimenti, Allyson, hai detto a Damon che sei vergine», esclamo ad alta voce e mi appresto anche ad applaudirmi. Ora avrà qualcosa in più con cui prendersi gioco di me. Volevo solo capire cosa avesse provato nel baciarmi, basta. Mi sollevo da terra scacciando con tutte le forze i pensieri stupidi che si stanno insinuando in me.

Uno stupido bacio e nient'altro.

Il terzo stupido bacio.

Sbuffo e, come un'inguaribile romantica, mi ritrovo di fronte alla finestra a fissare le stelle mentre le labbra si piegano in un sorriso spontaneo al pensiero di quei baci strappati.

Sì, me li ha strappati.

Rubati.

Incantanti.

«Ally. Ally, svegliati sono le dieci passate», mi stropiccio gli occhi, le palpebre pesanti si aprono a fatica. Mi sono addormentata sul piumone, in balia della tempesta che si è abbattuta sulla mia anima. Sbuffo e scendo dal letto, lego i capelli in una crocchia veloce. Quando mi volto, vedo un foglietto sul pavimento vicino alla porta. Lo raccolgo e leggo: Grazie.

Mi stringo nelle spalle non capendo e scendo al piano inferiore, dove mio padre mi aspetta in cucina.

«Il tuo amico è andato via presto questa mattina», dice poggiato alla cucina sorseggiando il caffè fumante.

«Già», mi limito a rispondere, con un amaro in bocca che non riesco a spiegare o che forse è più semplice non capire.

«Ho parlato con tua madre, ti aspetta questa sera», spiega con tono pacato. Spalanco gli occhi increduli.

«Non puoi dire sul serio?», e la mia voce sale di due toni.

«Allyson, basta! È tempo che le dai un'altra possibilità», ribatte sedendosi al tavolo con me. «Mangia», aggiunge. Scosto il piatto da sotto il naso.

«Non ho più appetito», non posso crederci che l'abbia fatto. «Perché? Come puoi farmi questo? Ci ho provato», le lacrime scorrono ormai copiose sul volto. «Non può comportarsi come...», i singhiozzi soffocano le parole.

«Come una madre?», solleva gli occhi al cielo con il peso dei ricordi che gravano ancora sulle sue spalle. «Aveva solo ventidue anni quando ti ha avuta. Sapevo sin dall'inizio che non sarebbe mai rimasta al mio fianco, ma l'amore per lei era così forte da rendermi egoista. Sono stato io a permetterle di andarsene», riprende fiato, con le mani intrecciate fra loro dove il suo sguardo è intrappolato. «Non ho lottato perché l'avevo consumata, privandola della sua libertà, di quell'indipendenza che non aveva più potuto avere».

Guardo l'uomo davanti a me, mio padre. Non riesco a seguire il filo del suo discorso che lo rende colpevole dell'assenza che ha creato un vuoto troppo grande nella mia vita e che, ancora oggi, aspetta invano di essere colmato.

«Cosa stai dicendo? È lei che ci ha lasciati, è lei che...», scuote il capo con amarezza.

«Non poteva fare altrimenti. Allyson, l'amore è una lama a doppio taglio. Troppe cose si danno per scontate e solo quando le perdi davvero ti rendi conto di quanto possano valere. Il lavoro mi teneva sempre impegnato e lei era troppo giovane per essere la madre che avrebbe voluto. Siamo stati schiacciati da noi stessi», confessa in un sussurro che mi mozza il fiato. Scatto in piedi.

«Se ne è andata per questo? Per colpa tua?», urlo.

«Anche per colpa mia. Un rapporto finisce perché ci si arrende entrambi», con un gesto della mano spazzo via il piatto dal tavolo che cade in frantumi sul pavimento. Mio padre non batte ciglio di fronte alla mia reazione.

«E io?», indico me stessa senza riuscire a toccarmi, perché temo che in questo momento potrei cadere in pezzi se lo facessi. «Io che colpa avevo di tutto questo?», sbatto i pugni sul tavolo, il respiro accelera e mi sento smarrita, abbandonata, un'altra volta.

«Nessuna, per questo ora che sei adulta voglio che tu le dia una possibilità», gli volto le spalle e corro fuori, raggiungo il garage sul retro ed entro dentro. Grido, liberandomi da quel rancore che ho riservato solo a lei.

«Perché?», prendo le tele bianche messe in ordine di dimensione in fondo alla stanza e inizio a sfasciarle, una dopo l'altra.

Continuo fino a quando non sono esausta e i pugni stretti da troppo tempo iniziano a farmi male; gli occhi guardano i buchi impressi dalla rabbia. Non ho usato pennelli, né colori, ho lasciato il segno di me stessa, una voragine, quella che sento alla bocca dello stomaco e che si sta allargando senza raggiungere un confine che sembra non esistere. Il tempo è trascorso lento, ho sentito il peso di ogni secondo. Rientro in casa, mio padre si alza dalla poltrona poggiando un vecchio album di foto sul tavolino di fronte a lui.

«Avresti dovuto dirmelo sin dall'inizio», sentenzio.

«Non avresti capito, eri troppo piccola e avevi bisogno di almeno uno dei genitori al tuo fianco. Hai ragione, ti ho fatto odiare tua madre per averci abbandonato. Ora, se ti fa sentire meglio, puoi odiare anche me. Ma sai anche tu, Allyson, dove ti ha portato l'odio. Sai quante ore di terapia hanno fatto parte della tua adolescenza, sostituendosi a ore di sorrisi che hai negato a te stessa punendoti».

Vedo i miei occhi nei suoi colmi di lacrime che trattiene a stento e la bambina che è in me correrebbe fra le sue braccia, ma la ragazza che sono oggi gli volta le spalle, per proteggersi da altro dolore che continua a sfiorarla a ogni passo.

«Vado a prepararmi», dico salendo le scale fino alla mia camera. Sono così delusa e vuota, sì, vuota è la parola giusta. Le certezze si sono tramutate in incertezze, le verità in bugie, l'odio però, sembra essersi dissolto dal petto dove lo percepivo premere con violenza.

Per l'intero tragitto, nessuno dei due è pronto a tornare sull'argomento, ho bisogno di tempo per capire. Per riuscire a vedere le sfumature di quei colori troppo compatti e scuri che coprono ogni dettaglio del passato.

«Sono sempre tuo padre, Ally, non dimenticarlo», lo guardo con occhi nuovi e annuisco alle sue parole. La macchina si ferma di fronte alla casa che solo due sere fa ho abbandonato con la promessa di non metterci più piede. La porta si apre e vedo mia madre che si stringe le braccia attorno al corpo. Guardo la mia famiglia divisa e malgrado gli anni trascorsi, questa immagine riesce a spezzarmi il cuore per la seconda volta.

«Avvisami come torni in città», dico e mi avvio verso di lei. I suoi passi mi raggiungono ancor prima che arrivi alle scale.

«Grazie», le sue parole verso il sorriso di mio padre che si allarga sul volto.

«Entriamo dentro, si gela», la seguo e una parte di me prova ad assecondare i suoi gesti, a darle una seconda possibilità. È così che si dice, no? Non l'avevo mai fatto, il muro che avevo innalzato contro di lei era troppo alto per essere valicato e troppo spesso per essere abbattuto, ma ora, forse, posso togliere qualche mattone e lasciare che uno spiraglio inizi a filtrare.

«Allyson, sono felice di vederti», esclama il signor Parker che punta uno sguardo rassicurante verso mia madre.

«Anche per me, signor...», sorride e scuote il capo.

«Credo sia arrivato il momento di chiamarmi semplicemente Christian», dice interrompendomi.

«Anche per me, Christian», sorrido L'atmosfera non è pesante come credevo, la serata trascorre tranquilla accompagnata dai soliti discorsi fra lo studio, la politica e i Red Sox che difendo a spada tratta contro i Mets.

«Non puoi tifare per i Mets, scherziamo?», esclamo sorridendo, mentre aiuto mia madre a sparecchiare. «Attento, Christian, Ally conosce ogni inning che i RedSox hanno fatto da quando ha messo piede per la prima volta allo stadio», l'ammonisce e la bambina di quel giorno sorride allo stesso modo dentro di me, sapendo che quel ricordo è ancora vivido nella sua memoria. Passo il panno sopra il tavolo, la sua mano raggiunge la mia fermandomi.

«Non ti farò pentire di essere tornata», mi bacia la tempia e chiudo un attimo gli occhi senza che possa vedermi.

«Vado a dormire», una volta in camera, mentre mi spoglio il foglietto cade dalla tasca dei jeans e non posso fare a meno di pensare a lui. Mi chiedo dove sia e cosa stia facendo. Oh, santo cielo, Allyson, sei un disastro. Lo so, ammetto alla mia gemella guasta feste. Picchietto l'indice contro il mento.

«È sabato sera, magari è al pub sulla Main».

Che intenzioni hai? Shhh. Apro l'armadio e incomincio a lanciare sul letto la mia monotona scelta fra jeans, jeans e ancora jeans, seguita da maglioncini che differiscono solo per il colore. Sbuffo.

«Accidenti a me e al mio scarso interesse per la moda», infilo un jeans nero, un lupetto bianco, poi lego i capelli in una coda alta e mentre fisso il mio pallido viso allo specchio, decido di mettere giusto una matita nera a incorniciare gli occhi.

La giornata, anzi, la seconda giornata più brutta della mia vita ha stravolto ogni cosa, soprattutto me; sento scivolare il passato dalle spalle, è ancora lì ma so che se ne andrà via portando con sé il rancore e i brutti ricordi.

Scendo le scale infilando il cappotto, nel salone la vedo avvolta dalle braccia di Christian e mi soffermo a guardarli. Schiarisco la voce per attirare la loro attenzione.

«È un problema se esco?», mia madre apre e chiude la bocca senza emettere alcun suono.

«Vai pure, ma stai attenta», interviene lui stringendola ancora di più a sé. Sorrido e mi affretto a uscire. L'aria è fredda, quasi pungente. Guardo verso la fine della strada e penso per un istante ad Alec, a come sia sparito senza farsi più sentire nemmeno con un messaggio. È meglio così. Affermo a me stessa mettendo a tacere ogni dubbio. Cammino veloce nella via che sbuca sulla Main Street, il cuore perde un battito quando vedo quel blu elettrico spiccare nel buio della notte.

Forza, ce la posso fare. I piedi camminano da soli fino all'ingresso dell'Irish Pub dove alcuni ragazzi del mio corso, che sono fuori dal locale, mi salutano. Entro, il pub è sempre pieno e fra una spinta e l'altra raggiungo il bancone.

«Allyson?», mi volto verso Cody e nel vederlo mi sento quasi più leggera sapendo che di sicuro con lui ci sarà anche Damon.

«Ciao, alla fine siamo riusciti a evitare che quei due si picchiassero», esclamo sorridendo.

«Eh già, ma come mai sei qui? Cioè, non eri a Boston?».

Damon gli ha detto di Boston?

Gli avrà anche detto qualcosa di me?

Mi mordo il labbro per l'imbarazzo.

«Hai preso le birre?», da dietro le sue spalle compare Joselyn. I nostri sguardi si scontrano.

«Ally, sei qui», dice facendo scoppiare la gomma da masticare nella sua bocca.

«Jos», l'ammonisce Cody.

«Vuoi sederti al tavolo con noi?», domanda lei con un ghigno malefico. Raddrizzo la schiena sapendo già cosa mi aspetta a quel tavolo, ma devo vederlo con i miei occhi, anzi, devo vedere proprio il suo sguardo.

«Certo», esclamo seguendola e prendo dalle mani di Cody una bottiglietta di Budweiser. La birra fredda scende lungo la gola, ma non è fredda abbastanza, non come l'atmosfera che si crea appena mi siedo al tavolo incrociando il suo sguardo che impallidisce.

«Ciao a tutti», Bret ricambia il saluto, Ethel si acciglia e Joselyn scivola al fianco di Damon, sotto il suo braccio dove si accoccola.

«Sei andato via presto questa mattina», dico con noncuranza e mi do coraggio con un altro goccio di alcol che scolo come fosse acqua.

Joselyn corruccia la fronte e guarda Dam in modo interrogativo.

«Stamattina? Non so di cosa stai parlando», risponde e la mano stringe a sé la spalla di Josy mentre i suoi occhi non sono più due pozze di un verde giada, sono cupi, minacciosi.

«Bene, cosa facciamo?», dice Cody in un mancato tentativo di dirottare l'argomento.

«Non sai di cosa sto parlando? Davvero, Dam?», sorrido e non abbasso la guardia contro i suoi avvertimenti che lancia con la pupilla che si dilata sempre di più, rabbuiando i suoi stessi occhi.

«Davvero», ribatte lui.

«Cos'è questa storia?», chiede esasperata Joselyn da tutto questo giro di parole. Mi alzo dalla sedia.

«Fattelo dire dal tuo ragazzo», la gola brucia mentre pronuncio quella parola e mi allontano da loro, ma non gliela do vinta, non ho intenzione di scappare in lacrime. Vado a sedermi al bancone e ordino da bere.

«Vodka alla fragola, grazie», dico alla ragazza dietro al bancone. Non do nemmeno il tempo che il bicchierino di shot venga appoggiato sul piano di legno che lo butto giù tutto d'un fiato, alimentando il bruciore che divampa nel petto. Giro fra le mani il piccolo bicchiere vuoto, rido amaramente rispecchiandomi attraverso l'ultima goccia depositata sul fondo del bicchiere... lo stesso che sto toccando io in questo memento.

Sola, in un bar affollato di persone che non si accorgono della mia presenza. Trasparente come questo cristallo, inizio a sentire il vetro del mio corpo incrinarsi.

«Allyson, ti porto a casa», dice Cody comparendo alle mie spalle. Sollevo la mano e chiedo un altro giro alla ragazza intenta a servire altri ragazzi.

«Ti ha mandato il tuo amico?», gli scocco un'occhiata offuscata dai fumi dell'alcol.

«Andiamo», Mi sfiora il gomito.

«Lasciami in pace», alzo il braccio e barcollando mi sollevo dallo sgabello, afferro il bordo del bancone per sorreggermi, sento il pavimento quasi mancarmi da sotto i piedi mentre il locale si inclina appena e gira attorno a me. «P... Posso fare o farcela... si dice così... mah sì, comunque sono a posto», biascico sollevando le mani in segno di resa. «Un bacio s... solo un... bacio. Nono... t...tre baci», bofonchio ridendo e gli punto un dito contro il petto. «D... Digli c... che... che n... non può nasconder...desi...disegno, oh sì... il mio, sì... sì», aggiungo al ricordo di quello che i miei occhi avevano visto in quella cartella di cuoio sotto il materasso dalla sua camera.

«Cosa succede?», la sua voce prepotente è come una secchiata di acqua gelida che mi riporta alla realtà. Applaudo di fronte al suo sguardo infuriato che mi squadra da capo a piedi inorridito.

«Eccololololo», sento la mascella schioccare, la mano allungarsi verso di me che retrocedo di un passo rovesciando a terra lo sgabello.

«Stai esagerando», minaccia Dam con le narici dilatate.

«Oh... che palula...P-A-R», cerco di fare ordine con le parole che si beffano di me pure loro «... merda». Mi tappo la bocca per la parolaccia e soffoco una clamorosa risata che attira l'attenzione dei presenti.

«Sei ubriaca», ringhia.

«Sei... Persp...sei perspe...», sbuffo e lo addito, «quello», aggiungo dondolando sui talloni.

«Basta, ora vieni via con me», mi metto sull'attenti come un fedele soldatino con tanto di saluto militare.

«Agli ORDINI», urlo con fermezza.

Mi sento coraggiosa anche se non dovrei esserlo per come il suo sguardo mi trapassa da parte a parte come una lancia. Mi trascina fuori e con la mano saluto Joselyn che resta impietrita a osservare tutta la scena.

Sono una buona amica, oppure no, non lo so; lei era qualcosa che si avvicinava a un'amicizia vera ma Damon ha rovinato tutto, rompe ogni cosa che tocca, sì, sì, ragiono con la mia gemella interiore che è svenuta, forse per il troppo alcool, dato che non dà cenni di vita.

«Devi smetterla!», grida tirandomi per un braccio e io rido alla sua prepotenza. Ci fermiamo di fronte alla macchina. «Mi stai facendo perdere la pazienza», aggiunge esasperato e le mani affondano fra i suoi capelli. Guardo i lineamenti marcati dalla rabbia contornare il suo volto.

«H... Ho visto... ho visto il m...mio dis...egno», mormoro fissando le sue Converse nere consumate che avanzano verso di me.

«Tu cosa?»

SPAZIO XOXO:

Una Allyson ubriacata.

cosa ne pensate di questo capitolo?

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