26. Feel Again

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- Ecco io... - borbottò, prendendosi la testa tra le mani e lasciandosi a sua volta cadere su una panchina lì accanto, abbastanza lontano per non essere visto da lei. - Io l'ho portata in un locale non distante da qui perché avevo letto che ci sarebbe stata una serata karaoke, ma quando siamo arrivati lì, c'erano soltanto dei tizi di mezza età che avevano alzato un po' troppo il gomito. Un uomo senza uno degli incisivi le ha anche dedicato una serenata. - mi spiegò, e io dovetti raccogliere tutta la mia forza di volontà per non ridergli in faccia. - Oh, ma aspetta, il meglio deve ancora arrivare. Dopo essercene andati dal locale, l'ho portata a fare una passeggiata al chiaro di luna e ho comprato per entrambi un milkshake al cioccolato. -

- Beh, questa non mi sembra una cosa negativa. - alzai le spalle, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.

- No, non lo è stata finché non mi sono sporto verso di lei per baciarla e le ho rovesciato l'intero frappé sul vestito. - mi spiegò, amareggiato.

A quel punto, una risata non me la potei più risparmiare. Il mio amico era davvero un ragazzo dal cuore d'oro, ma quando era nervoso combinava un casino dietro l'altro, non c'era nulla da fare.

Tipo quella volta, in prima media, in cui aveva fatto cadere un intero barattolo di vernice verde menta in testa alla signora Wickerly, la nostra professoressa di arte, perché Suzie Kinckaid lo aveva salutato dal fondo del corridoio, facendolo emozionare al punto da perdere l'equilibrio e urtare l'armadio su cui si trovavano i colori. Era stata una scena piuttosto esilarante, in realtà.

- E lei che ha fatto a quel punto? - domandai, cercando di fermare le mie risate.

- Ha spalancato gli occhi per lo sconcerto, ma poi ha sorriso e ha detto che non c'era nessun problema, che tanto quel vestito era vecchio e non le piaceva veramente. - sospirò profondamente, sempre più sconsolato. - Solo che io non sono più riuscito a guardarla in faccia per tutta la serata. -

Io scossi la testa e gli rivolsi un caldo sorriso. - Va' da lei, razza di idiota. -

- Ma se faccio di nuovo qualcosa di stupido? - borbottò, facendo il broncio.

- L'unica cosa stupida che puoi fare è lasciarti scappare quella ragazza. - risi brevemente.

- E cosa dovrei dirle? "Scusa se ti ho portata in un covo di ciccioni ubriachi e arrapati e poi ti ho rovesciato addosso un milkshake mentre tentavo di baciarti"? - si lamentò, infilandosi le mani nei capelli.

- Beh, non lo direi esattamente in questo modo, ma scusarti e chiederle un'altra opportunità sarebbe un buon inizio. -

- E Mike? - chiese ancora, con voce da bambino.

- A lui ci penso io. Ora alza il culo, prima che ti mandi da lei a calci. - ridacchiai, dandogli una pacca sulla schiena e guadagnandomi un sorriso sentito.

- Non stressarlo, Luke. - si raccomandò ancora una volta, alzandosi e incamminandosi verso la ragazza della biblioteca. Com'è che si chiamava? Andrea? Alicia? Aaah, che importava, non ero mai stato bravo con i nomi.

Mi alzai a mia volta e proseguii il mio cammino, continuando a domandarmi cosa potessero nasconderci Moe e Michael di così sconvolgente, sempre più deciso a scoprirlo.

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- Eccoti, finalmente! - esclamai, senza fiato dopo aver praticamente corso su per le scale, vedendo il mio amico sdraiato sullo sgangherato divano di pelle della soffitta.

- Complimenti, Dora l'Esploratrice. - bofonchiò lui svogliatamente, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.

- Per prima cosa, - ansimai io. - sono stufo di tutti nomignoli stupidi con cui mi chiamate. E seconda cosa, hanno diffuso nell'aria una tossina per rendere acidi tutti quelli con cui parlo? - sbottai, sedendomi accanto a lui e facendo il broncio.

Shiver || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora