24. You

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Salii le scale facendo due gradini alla volta, ed arrivando in cima completamente senza fiato. Mi fermai sul pianerottolo, piegandomi e poggiando le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere aria a sufficienza per parlare; poi recuperai la chiave dal suo solito nascondiglio ed entrai cautamente nella soffitta.
Se il mio rifugio erano gli spalti, avevo capito immediatamente che quello di Michael era lì, isolato dal mondo, ma circondato dagli strumenti musicali che tanto amava.

Notai subito il ragazzo che stavo cercando al centro della stanza; mi dava la schiena e se ne stava in piedi, con la testa piegata leggermente in avanti e le mani nei capelli, ancora bianchi e neri. Avanzai titubante verso di lui e lo sentii respirare profondamente più volte.

- Vattene, Luke. - sibilò, rimanendo fermo nella sua precedente posizione. Alle sue parole, mi bloccai soltanto per un secondo, ma poi ripresi a camminare a passo più deciso verso di lui. - Ti ho detto di andartene! - ringhiò ancora.

Arrivai esattamente alle sue spalle e rimasi indecisa su cosa fare per qualche istante, optando, infine, per seguire nuovamente il mio istinto. Alzai le braccia e gli circondai timidamente la vita, poggiando contemporaneamente la guancia in mezzo alla sua schiena. Non sapevo esattamente perché lo avevo fatto, ma come il contatto con il suo corpo aveva aiutato me a scacciare gli incubi, magari quello col mio lo avrebbe aiutato a calmarsi. - Mi dispiace. - sussurrai, in tono talmente basso da non essere sicura che fosse udibile.

Lo sentii distendersi per un attimo e rilasciare un lungo sospiro, ma poi si irrigidì nuovamente, staccandosi in modo brusco da me. Si voltò per guardarmi in faccia e, quando lo fece, notai immediatamente i suoi lineamenti induriti dalla rabbia e le sue spesse sopracciglia corrugate in modo quasi innaturale. - Che ci fai qui? - domandò, a denti stretti.

- Volevo... volevo solo controllare che stessi bene. - balbettai, confusa dal suo comportamento ostile. Capivo che fosse turbato dall'incontro appena avvenuto con Georgia, ma non aveva senso che ora facesse così con me. Io non avevo fatto nulla di male.

- Ti sembra che io stia bene, Moe? - urlò, facendomi indietreggiare ed abbassare lo sguardo, scuotendo impercettibilmente la testa. - E cos'era quella cosa a tavola? -

Alzai nuovamente gli occhi su di lui, e realizzai subito che si stava riferendo alle nostre mani intrecciate. - Io... non lo so, ho visto che eri a disagio e volevo... soltanto aiutarti in qualche modo. - balbettai ancora, vedendo la sua espressione restare uguale a prima.

- Tu odi il contatto umano. - sputò lui, dilatando le narici. - Eppure mi hai preso la mano e poco fa mi hai abbracciato. Perché? - domandò, sempre in tono irato.

Rimasi spiazzata dalla sua domanda, non sapendo precisamente quale risposta avrei dovuto dargli. Probabilmente, perché una risposta non la avevo nemmeno io.

Perché lasciavo sempre che lui mi toccasse? Perché il contatto umano con lui non mi creava un senso di repulsione? Io, semplicemente, non lo sapevo.

Restai in silenzio cercando qualcosa da dirgli, ma lui fu più rapido di me. - Tu provi compassione! Ecco perché hai borbottato quel "mi dispiace", poco fa. Io ti faccio pena. - soffiò, spalancando gli occhi e respirando rapidamente. - Luke ti ha raccontato tutto di lei, non è vero? - rise amaramente, avvicinandosi e facendomi arretrare ulteriormente.

Non avevo mai visto Michael in quello stato. Si era comportato male con me numerose volte, ma non era nemmeno minimamente paragonabile a quello a cui stavo assistendo in quel momento. - Da quanto tempo lo sai? - domandò, in tono perentorio.

- Non so... nulla di Georgia. - bisbigliai, sperando che il mio tono fosse abbastanza convincente.

Michael rise nuovamente, senza ironia. Una risata cattiva, accompagnata da occhi da pazzo. - Io non ho mai detto il suo nome. -

Shiver || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora