39. Broken

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I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
In the pain, there is healing
In your name, I find meaning
So I'm holding on, I'm holding on, I'm holding on
I'm barely holding on to you.

[Broken - Lifehouse]

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Rimasi seduta sul letto ancora qualche secondo, piuttosto sconvolta dalla scena che si era appena svolta davanti ai miei occhi. Michael non si faceva vedere per un mese intero e poi appariva come se nulla fosse davanti alla mia porta e mi chiedeva di seguirlo? Ok, non eravamo mai state due persone particolarmente normali per quanto riguardava la sfera delle emozioni umane, ma questo era strano persino per me!

Venni riportata alla realtà quando sentii la porta della mia camera chiudersi con uno scatto e ricordai che Michael era già uscito e probabilmente stava camminando lungo il corridoio senza preoccuparsi di controllare che io fossi dietro di lui, quindi balzai in piedi e mi precipitai fuori, ma non feci quasi nemmeno in tempo ad uscire che me lo ritrovai davanti. Era in piedi in mezzo al corridoio, con le mani nelle tasche dei pantaloni e uno sguardo indecifrabile sul volto.

Aprii la bocca per chiedergli spiegazioni su cosa diavolo avesse in mente, ma, prima che anche solo una sillaba potesse scivolare fuori dalle mie labbra, lui si voltò e riprese a camminare a passo svelto; perciò alzai gli occhi al cielo, mi chiusi la porta alle spalle e mi affrettai a raggiungerlo, non riuscendo comunque a tenere il passo con lui. Avevo già detto che le sue gambe erano dannatamente lunghe e le mie dannatamente corte?

- Puoi per favore rallentare un pochino? - gli urlai dietro, fermandomi nel bel mezzo del corridoio e grugnendo per la frustrazione. - Le mie gambe sono venti centimetri più corte delle tue! -

Lui si bloccò di botto, irrigidendo le spalle e stringendo leggermente i pugni, ma non accennando a volersi voltare verso di me.

- Dove stiamo andando? - chiesi a quel punto, avanzando di qualche metro nella sua direzione. Michael continuò a darmi la schiena e a non rispondermi, perciò mossi ancora qualche passo in avanti, sperando che almeno allora si sarebbe deciso a dire qualcosa. Ma come sempre, ottenni solo silenzio.

- Sul serio, Mike? - sbottai, sentendo che un moto di rabbia improvviso stava rimpiazzando tutta la mia tristezza. - Mi eviti per un mese, poi appari alla mia porta dicendomi di venire con te e ora nemmeno mi parli? -

Attesi che dicesse qualcosa, qualunque cosa, con le braccia ancora incrociate al petto e le sopracciglia sollevate, ma lui si limitò a tenere lo sguardo basso e a non proferire parola.

- Sai cosa? Vattene al diavolo, Michael! - urlai a quel punto, scuotendo la testa e alzando le braccia. - Ho cercato di scusarmi con te per un mese intero e guarda come mi sono ridotta al solo pensiero di averti fatto soffrire! - proseguii, indicando il mio viso scavato e il mio corpo più asciutto rispetto ad un mese prima. - Cos'altro avrei dovuto fare? - sbottai istericamente, portandomi le mani alle tempie e fissandolo con occhi spalancati.

- Avresti dovuto dirmi tutto! - urlò in risposta, finalmente voltandosi verso di me. E anche se in quel momento ero arrabbiata con lui come non lo ero mai stata con nessun altro in vita mia, sentire la sua voce dopo quattro lunghissime settimane fu come una ventata d'aria fresca in un'afosa giornata di agosto.

- E tu avresti dovuto aprire quella maledetta porta! - strillai, sentendo la mio voce tremare e gli occhi riempirsi di lacrime. Ma non avrei pianto, non questa volta.

Vidi tutto l'astio scivolare via dal suo viso, lasciando il posto ad una tristezza che non avrei mai voluto vedere su di lui. Non per qualcosa che aveva a che fare con me.

Shiver || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora