20 • Anime sole

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Non avrebbero dovuto trovarsi lì

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Non avrebbero dovuto trovarsi lì.

Gareth osservò la roccia mutilata dai trapani, le ferite inferte alla terra da chiodi d'acciaio e cariche esplosive. Come topi infestanti, i Selvatici avevano grattato e rosicchiato, scavando la loro Galleria del Vento nel buio ovattato del sottosuolo. Lacrime rosse di ruggine colavano dalla pietra sventrata, mentre fasci di cavi scoperti percorrevano le pareti come fibre muscolari messe a nudo.

L'aria era pesante, cattiva, come il fiato rancido di un moribondo. Non erano i benvenuti.

Gareth non aveva idea di come i Selvatici avessero potuto vivere tanto a lungo sottoterra: senza il cielo a scandire il battito del tempo, gli sembrava di trovarsi in uno dei suoi incubi, un labirinto d'ombre dal quale era impossibile fuggire. Avrebbe volentieri affrontato la Guardia con la sola arma dei suoi denti pur di tornare a respirare, pur di tornare fuori.

Era poi così strano, così incomprensibile che il Generale avesse tradito la sua gente per la promessa di tornare a sentire il vento sulla pelle?

Lui stesso faticava a trattenersi dal tornare indietro. Eppure continuava a camminare, maledicendo quegli stivali troppo stretti che non gli appartenevano, strappati da chissà quale cadavere. Una parte di lui avrebbe preferito proseguire a piedi nudi, ma la gentilezza di Helena aveva un valore, un peso.
E in cuor suo aveva scoperto di non volerla ferire.

Si guardò intorno, ma la situazione sembrava tranquilla. Per quanto gli costasse ammetterlo, Gabriel era stato previdente: aveva mandato in avanscoperta i suoi migliori soldati, perché aprissero la strada; poi venivano i civili, spaventati ma abbastanza in forze per combattere; e infine seguivano altri soldati, vecchi ma saldi veterani che si occupavano di trasportare i feriti e di chiudere la fila.

Gareth camminava vicino a Gabriel, in parte perché era il suo miglior combattente, in parte perché, ne era certo, il soldatino voleva tenerlo d'occhio. Qualche volta, quando lo scopriva a osservarlo, Gareth si schiaffava sul viso il suo sorriso più angelico, certo d'irritarlo; ma iniziava a essere stanco di quel gioco.
Avrebbe preferito spaccargli il muso e intimargli di smetterla.

Inspirò a fondo, ma l'odore di polvere e umidità non lo aiutò. Era nervoso, insofferente; sintomi che conosceva bene e che erano i prodromi di qualcosa di molto spiacevole: la fame. Si sforzava di non pensarci, di ricordare a se stesso che poteva sopravvivere per giorni senza nutrirsi; ma era difficile tenerlo a mente quando ciò che più desiderava al mondo si trovava a pochi passi di distanza, solleticando la sua fantasia.

Anche Shari sembrava stanca: nonostante mantenesse il passo sicuro dei soldati, si sistemava spesso lo zaino sulle spalle, quasi non ne sopportasse più il peso; o si scacciava i capelli dalla fronte, ficcandoseli dietro le orecchie senza riguardo per quelle ciocche sanguerame. Scoprendo il collo, quel tanto che bastava per torturarlo.

La voleva.

Nonostante ciò che aveva fatto, nonostante l'avesse tradito più volte di quante riuscisse a contarne, lui la voleva. La voleva così tanto da immaginare, durante le brevi pause che Gabriel concedeva loro, di avvicinarsi a lei. Sarebbe bastato un sussurro, la richiesta di parlare un momento da soli, lontano dallo sguardo diffidente del soldatino dagli occhi verdi.

Dies CinerumWhere stories live. Discover now