1 • Dolore e memoria

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C'era una misteriosa eleganza nel modo in cui i riccioli neri e lustri della donna si erano sparsi sulla coperta cremisi, nella parvenza di un sole oscuro che sorgeva in un cielo di fiamma

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C'era una misteriosa eleganza nel modo in cui i riccioli neri e lustri della donna si erano sparsi sulla coperta cremisi, nella parvenza di un sole oscuro che sorgeva in un cielo di fiamma. La pallida nuca era esposta, rivelando il delicato promontorio di una vertebra, che apriva la strada al morbido arco di una schiena bianca e dalle linee invitanti.

Un braccio era posato languidamente sulle lenzuola, il pugno chiuso, quasi ad afferrare un sogno; mentre l'altro era abbandonato sul ventre dell'amante, un Artificio dal corpo nervoso e dai decisi tratti arabi.

Le gambe di lui trattenevano ancora quelle di lei, in un intreccio che lasciava ancora intendere con quanto fervore si fossero cercate fino a qualche ora prima.

Seduto su una poltrona bassa, circondato da un caos di fogli appallottolati e diversi mozziconi di sanguigna, Kain Leinster osservava la disposizione delle ombre su quei corpi arresi. Ne studiava l'intensità e la forma, gli incavi dove queste si facevano più scure e le piane dove invece andavano smorzandosi, secondo rigide leggi di luce.

Concentrato com'era sulla propria disamina, quasi non si accorse della porta che si apriva con lentezza, in un breve cigolio di reticenza. «Kain?» domandò una voce bassa, incerta.

Lui si voltò, scorgendo una chioma di un biondo cinerino oltre lo spiraglio. «Sono qui», rispose piano, per non disturbare il sonno dei due amanti.

Rowena rimase ancora sulla soglia, titubante. «Posso?»

Lo chiedeva ogni volta, sebbene non avesse alcun bisogno di farlo; da che si ricordava, infatti, Kain non le aveva mai rifiutato l'ingresso nel suo mondo. «Certo», rispose, inclinando un poco il capo per osservarla meglio.

Sua sorella sgattaiolò nella stanza in punta di piedi, richiudendosi la porta alle spalle senza fare alcun rumore. Indossava un abito verde, dalla gonna larga e la vita così stretta da lasciar intendere quanto il suo corpo fosse terribilmente esile.

Non portava calze né scarpe, ma Rowena non sembrava mai trasandata; qualunque fosse il suo abbigliamento, finiva sempre col somigliare a una delle ninfe di Waterhouse.

Lo raggiunse in fretta, ben attenta a non calpestare neppure uno di quei fogli sparsi sul pavimento, quasi fossero infinitamente preziosi anziché soltanto carta stropicciata.

Kain non aveva mai dovuto spiegarle quella sua particolare ossessione, quella lotta continua e senza speranza contro il proprio limite, e che neanche lui riusciva a comprendere fino in fondo.

Rowena gli si sedette in grembo, raggomitolandosi contro il suo petto come un gattino e indifferente al fatto che anche lui indossasse poco o nulla. Lanciò un'occhiata verso i due amanti, curiosa, soffermandosi un po' di più sulla donna.

«E' così bella», mormorò, la voce dolce appena scalfita dall'invidia. «I Craven hanno dei capelli splendidi, non trovi?»

Kain si portò la sigaretta alle labbra, ormai ridotta a meno di un pollice. Inspirò un'ultima boccata di fumo, poi si allungò verso il tavolino per premerla contro il vetro del posacenere. Espirò lentamente. «E' vero», convenne, laconico.

Dies CinerumWhere stories live. Discover now