11 • Sotto il peso di una corona

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Il ronzio della luce al neon lo stava facendo impazzire

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Il ronzio della luce al neon lo stava facendo impazzire. Era l'unico suono in quella cella angusta, una scatola di vetro in cui l'umiliazione della cattura gli era costantemente ricordata dalle lucide pareti a specchio che lo circondavano.
L'orgoglio ferito, però, era niente in confronto alla fame.

I suoi carcerieri erano stati furbi: avevano ridotto al minimo le razioni di sangue, dandogliene a sufficienza per non lasciarlo morire ma mai abbastanza perché potesse davvero riprendere le forze. La sua insonnia volontaria, poi, non aiutava; lo rendeva più debole di quanto già non fosse, ma era un prezzo infimo da pagare pur di non lasciarsi inghiottire dai suoi sogni, fin troppo vividi da quando si trovava nei Rifugi.

Durante le prime settimane di prigionia, aveva atteso il momento in cui il Generale gli avrebbe fatto visita; era certo che il padre di Camille non avrebbe resistito a guardarlo negli occhi mentre i suoi soldati gli davano una lezione, ma non era mai venuto.

In un certo senso, era stata una delusione: era impaziente di conoscere quell'uomo, di scoprire che faccia avesse il Selvatico di cui si era fidato Gaspar per il suo piano. Invece, aveva dovuto accontentarsi della compagnia di medici e truci soldati.

Era una donna a occuparsi di lui la maggior parte del tempo, un medico di mezza età che i soldati avevano chiamato Olivia. La prima volta che l'aveva vista, era entrata nella camera a specchio con passo esitante, portando con sé una borraccia d'acciaio e tutti i pregiudizi della sua gente.

Non lo aveva slegato, ma gli aveva avvicinato alle labbra il piccolo contenitore, lasciando che l'odore del sangue facesse il resto. Gareth aveva dovuto controllarsi per non bere con voracità, rischiando di versarlo; così si era concentrato sul disgusto impresso sul viso della donna, sulle sue dita tremanti. Non appena il sangue era finito, lasciandolo insoddisfatto, la donna si era allontanata da lui con un sospiro di sollievo.

Col passare delle settimane, avevano ripetuto quel rito abbastanza spesso da diventare quasi un'abitudine: lei entrava con passo indeciso, come se avesse preferito trovarsi ovunque tranne che in quella cella, ma le sue mani non tremavano più quando sollevavano la borraccia per lasciarlo bere. Non si erano mai scambiati più di qualche frase.

Se possibile, coi soldati era anche peggio: lo odiavano con muta ferocia, e per quanto avesse cercato di rivolgergli la parola o d'irritarli per ottenere qualche informazione su ciò che avveniva oltre la sua cella, non aveva ottenuto altro che occhiate minacciose o grugniti. Il Princeps che era in lui aveva dovuto riconoscere la scrupolosità del loro addestramento: non si lasciavano scalfire dalle sue chiacchiere, né dalle sue invettive.

Si limitavano a scortare i medici all'interno della stanza, e a tenerlo fermo quando i loro esperimenti richiedevano che fosse slegato. L'unica volta in cui uno di loro era entrato da solo nella sua cella, Gareth aveva creduto che intendesse prendersi una qualche rivincita su di lui; ma il ragazzo non lo aveva schernito, né lo aveva guardato con particolare disprezzo.

Dies CinerumWhere stories live. Discover now