3 • Un castello d'illusioni

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Fu un suono sommesso a forare la tenebra del suo sonno

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Fu un suono sommesso a forare la tenebra del suo sonno. Si destò piano, a fatica, quasi stesse lottando per tornare a riva ma fosse continuamente sospinta indietro, nel buio, dalla risacca dei suoi stessi sogni.

Quando infine trovò la forza di aprire gli occhi, le parve di scorgere confusamente un'infermiera mentre appoggiava del pudding sul tavolino accanto al letto, per poi soffermarsi a controllare alcuni parametri in un monitor vicino. Si trattava di una donna alta, massiccia, dagli stinti capelli biondi e il volto rincagnato, simile a quello di un mastino. Shari la riconobbe: era una delle infermiere che l'avevano accolta al suo arrivo, la più anziana e mordace.

Rimase immobile, fingendosi ancora addormentata. Solo quando la donna scomparve oltre la porta si sentì libera di scostare la vecchia trapunta, mettendosi a sedere sul materasso sottile e bitorzoluto.

Aveva preso a evitare le infermiere quando aveva scoperto che era il solo modo per sfuggire ai loro sguardi attenti, guardinghi. La trattavano con la cortesia e la gentilezza che le erano dovute, certo, ma era impossibile non notare il gelo sotto la premura, così come il loro desiderio d'infilare la porta non appena restavano sole con lei.

Avevano paura.

La prima volta che se n'era resa conto aveva provato a rassicurare la giovane infermiera che le porgeva alcune pillole, le mani tremanti di nervosismo; ma non appena l'aveva sfiorata, questa aveva lasciato cadere il piccolo flacone, spargendone il contenuto sul pavimento.
La ragazza si era scusata goffamente e aveva ripulito quel disastro, il volto in fiamme; ma da allora non era più tornata.

Più tardi, allo specchio, Shari aveva capito cosa l'avesse turbata tanto: il signum dell'iris faceva capolino dal colletto, sfiorandole la radice della gola con le sue linee flessuose, nitide.

Un legame col mondo dei vampiri, nero e tangibile, impossibile da ignorare.

Shari sfiorò distrattamente il sigillo dei Gotha, impresso sulla pelle tesa sopra la clavicola. Non era ancora riuscita ad assuefarsi alla sua presenza, al modo in cui la definiva, tradendo quanto aveva passato.

Talvolta, nei gorghi dei suoi sogni confusi, riviveva il momento in cui l'ago aveva violato la sua carne, inoculando l'inchiostro e imponendole quel marchio di schiavitù. A nulla erano valsi urla e calci, o qualunque altro tentativo di ribellione: non si sfuggiva a un desiderio del Reggente.

Con un sospiro, Shari sfiorò il pavimento coi piedi nudi, rabbrividendo un poco al contatto con la resina sintetica. Da che si ricordava, i Rifugi erano sempre stati freddi: non importava quanta energia venisse impiegata per alimentare i caloriferi, le stanze e i lunghi corridoi sembravano inghiottire ogni tepore, dissipando qualunque tentativo di renderli accoglienti.

Afferrò un pesante scialle di lana grezza e se lo drappeggiò sulle spalle, sopra la lunga camicia da notte che le avevano fornito. Poi, si sciacquò il viso in un piccolo lavandino ossidato dall'uso, cercando di schiarire i propri pensieri.

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