19 • Un peccato familiare

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Gaspar Gotha sedeva oltre una scrivania in legno massiccio, impugnando la pesante stilografica quasi si trattasse di un pugnale

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Gaspar Gotha sedeva oltre una scrivania in legno massiccio, impugnando la pesante stilografica quasi si trattasse di un pugnale.

Dal loro ultimo incontro negli uffici del Princeps, sembrava che il Reggente fosse invecchiato: lo si poteva ancora definire bello, coi capelli biondo cenere legati in una coda stretta e gli occhi diffidenti, dal taglio aristocratico; ma il suo incarnato era tendente al grigio, le guance incavate come se stesse perdendo peso.
Qualcosa non stava andando come doveva.

Accanto a Gaspar, un Artificio stringeva al seno un plico di documenti, le iridi verdi scintillanti di adorazione. Gliene porse uno. «È dei Grosvenor. Un'altra richiesta per il loro schiavo Selvatico», disse. «Vogliono renderlo un Trasformato, come premio per i servizi resi alla famiglia».

Le dita di Gaspar, anziché afferrare il foglio, si ritrassero. «No».

«Ma padrone», cominciò l'Artificio, «questa è la terza volta che...».

«Ho detto di no, Sara», ripeté lui, gelido. «C'è altro?».

L'Artificio parve rimpicciolire. Gli offrì un altro foglio. «Questa è da parte di una famiglia di civili. Non hanno titoli, ma si sono distinti come soldati nella Guardia. Il primogenito desidera sposare la sua Compagna, dunque chiedono...».

«Basta così». Gaspar posò la stilografica, le labbra arricciate in una smorfia. «Lascia tutto sulla scrivania e vattene».

Sbattendo gli occhi nel tentativo di trattenere le lacrime, Sara fece come le era stato ordinato. Se c'era qualcosa di più stucchevole di un Artificio compiacente, quello era un Artificio innamorato. E per un attimo, Kain pensò a lei, alla Selvatica di Gareth: se quel bastardo di suo cugino le avesse risposto con asprezza, dubitava che sarebbe rimasta in silenzio. Ricordava con curiosa precisione i rovi dietro i suoi occhi grigi: doveva essere delizioso crogiolarsi tra quelle spine, cercando di spezzarle. Arrivare a ciò che nascondevano, alla ferma gentilezza che per un momento gli aveva dimostrato in quel corridoio.

Io non credo che tu sia pazzo.

Sentì la maledizione della sua famiglia solleticarlo, ma la respinse con decisione. Doveva concentrarsi sul vampiro di fronte a lui, sulla ragione per cui si trovava lì.

«Non sapevo che odiassi i Trasformati», commentò in tono leggero. «Questo ti farà guadagnare punti agli occhi di mio padre».

«Pare che questa città non si regga su altro», rispose Gaspar, irritato. «Credevo che i nobili disprezzassero il sangue annacquato, invece non fanno altro che desiderare il siero per i loro giocattoli. È ridicolo».

Kain si staccò dal muro cui era appoggiato, per portarsi di fronte a lui. «Vero», concordò bonario. «Ma è il dono dei Gotha, nonché la sola ragione per cui il vostro piccolo clan è rimasto al potere tanto a lungo». Si avvicinò fin quasi a toccare il tavolo, costringendo Gaspar a piegare la testa per continuare a guardarlo negli occhi. Piccoli giochi di dominio, che lo disgustavano e lo divertivano a un tempo. «Ora, se non ti spiace, vorrei parlare del nostro accordo».

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