18.

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Tenevo lo sguardo fisso sull' asfalto bagnato per evitare di scivolare.

Sentivo l'acqua schizzare ad ogni passo, sotto le suole delle mie scarpe mentre gocce di pioggia continuavano a cadere ininterrottamente bagnandomi i capelli e il cappuccio della felpa di Brent.

Avevo bisogno di tempo, per fare chiarezza dentro di me, per capire cosa provassi per lui, dopo quanto successo tra noi.

Mi sentivo del tutto incapace di concentrarmi, per la prima volta in vita mia non riuscivo a pensare, nella mia mente persisteva il vuoto ed ero incerta se fosse un bene o un male.

Mi fermai davanti al cancello del familiare edificio, mentre il resto dei ragazzi si affrettava ad entrare prima del suono della campanella.

Abbassai lo sguardo sul mio corpo, rendendomi conto del mio terribile aspetto.

Non indossavo la divisa, non avevo programmato la nottata precedente e per certi versi me ne vergognavo.

Ricordo di essermi svegliata con il  viso del mio migliore amico a pochi centimetri dal mio, dormiva sereno tenendomi la mano come per assicurarsi che non fuggissi.

Invece fu proprio ciò che feci dopo aver messo le prime cose che mi capitarono a tiro.

Un'insolito senso di colpa del quale non conoscevo la causa, mi dilaniava dentro proiettando nella mia mente immagini di quella notte, torturandomi.

Rimasi sotto la pioggia incapace di fare un passo, infastidita dal tessuto bagnato dei vestiti, appiccicato alla mia pelle, mi accorsi di stare tremando.

Intenta a fissare il vuoto intontita, mi accorsi solo dopo un bel po' di tempo dell' acqua che si riversava tutt'attorno a me, evitandomi.

Alzai lo sguardo verso un grande ombrello rosso mantenuto sulla mia testa dalla familiare mano dalle unghia mangiucchiate e le dita coperte da anelli di metallo.

Se ne stava immobile accanto a me, come se riuscisse a percepire le mie emozioni e le provasse di rimando.

Si voltò nella mia direzione osservando con un accenno di sorriso i miei vestiti grondanti d'acqua piovana.

Mi preparai mentalmente a ricevere un insulto, una battuta di cattivo gusto o qualunque altra cosa sarebbe potuta uscire dalla sua bocca.

<<Giornata di merda?>> chiese invece.

Insolitamente malinconico, privo di quella solita indifferenza che lo caratterizzava.

<<Già>> risposi tornando a guardare il vuoto.

<<Vieni con me>> disse all' improvviso dopo qualche minuto di silenzio, afferrandomi un braccio per trascinarmi.

Cercai di rimanere ferma dov'ero, divincolandomi svogliatamente dalla sua presa.

<<Non sono in vena dei tuoi giochetti Ryan>>

Continuava a sostenere il mio sguardo indicando un punto dall' altra parte della strada.

<<Devo farti vedere una cosa>>

Così lo seguii verso quello che sembrava essere un vicolo del quale non mi ero mai accorta.

Svoltammo l'angolo trovandoci davanti a ciò che sembrava un garage, la cui saracinesca era ricoperta da graffiti, alcuni erano veri e propri scarabocchi senza un apparente significato.

Decisi di non fare domande e di lasciarlo entrare per primo mentre in assoluto silenzio si guardava attorno come un bambino in un parco giochi.

Da dove ero messa, riuscivo solo a vedere l'intensa luce neon viola accecante, che allo stesso tempo faceva crescere in me una certa curiosità.

•I'M A DISASTER•Where stories live. Discover now