1. 𝐃𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝'𝐚𝐮𝐭𝐮𝐧𝐧𝐨 (Newt)

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Era autunno. Lo si vedeva: il platano picchiatore era agitato e spoglio, fuori pioveva a dirotto, le foglie ingiallite si posavano delicatamente sui prati e venivano accarezzate dalle gocce di pioggia. I pochi alunni rimasti ad Hogwarts correvano frenetici nei corridoi, sperando di arrivare in orario a lezione. La notizia di Parigi e di un possibile futuro attacco di Gellert Grindelwald aveva già fatto il giro dell'intero mondo magico, e molti genitori preferivano tenere a casa i loro figli, perché fossero al sicuro.

Newt Scamander se ne stava silenzioso nella stanza offertagli da Albus Silente insieme al suo migliore amico Jacob Kowalski, un babbano (o No-Mag, come dicevano in America). Erano lì solamente da un giorno: ricevuto l'invito di Silente i due avevano lasciato la casa di Newt a Londra per spostarsi verso la scuola.

Tutto il trambusto degli studenti nei corridoi gli ricordò i suoi anni a Hogwarts. Ma non voleva ricordare, non quando aveva appena perso Leta, una delle uniche persone al mondo che erano riuscite a capirlo e apprezzarlo nella sua timidezza, nel suo amore per la magizoologia e nella sua quasi incapacità di aprirsi a qualsiasi forma di vita umana...
Forse stava un tantino esagerando, tuttavia rimaneva il fatto che Newt non fosse proprio il tipo di persona che si potesse definire socievole. Leta era stata come un faro nella notte per lui e ora quella fonte di luce si era spenta. Per sempre.

Il magizoologo aveva tanti pensieri nella testa, tanti dubbi e preoccupazioni, e aveva decisamente bisogno di qualcosa da fare. Perciò decise di scendere nella sua valigia a vedere come se la passavano le creature.
«Jacob, ti dispiace se ti lascio qui da solo per un po'? Non ci metterò mol...»
«No no, amico, fai pure.» Fu questa la risposta che Newt ricevette dal pasticciere. Se ne stava lì seduto sul letto, con gli occhi bassi, il sorriso spento. Nelle ultime settimane era dimagrito notevolmente, e forse non si notava molto, ma i suoi baffi erano cresciuti. Tuttavia il suo migliore amico, il paffuto e sorridente Jacob che aveva conosciuto a New York, sembrava volato via, forse trasportato dalla brezza autunnale. La ragione di ciò Newt la conosceva: l'uomo era ancora devastato. Queenie, la sua amata, era passata al lato oscuro poco tempo prima, dopo aver attraversato quelle maledette fiamme blu che avevano ucciso...

"Basta", si disse Newt.
"Non devi pensare a Père-Lachaise, a Parigi o a Leta.
Pensa alle tue creature. Hanno bisogno di te."

Così, con un turbine di pensieri che scuoteva il mare nella sua mente, il magizoologo scese nella valigia, chiudendosela alle spalle.

L'ambiente era disordinato come sempre. Gli attrezzi erano sparsi dovunque: dai retini alle pentole, dai mestoli ai barattoli vuoti e non. Nel piccolo capanno vi erano la scrivania piena zeppa di carte, appunti, disegni e penne stilografiche posizionata sulla sinistra, e vicino ad essa gli armadietti con le pozioni e i più svariati ingredienti magici. In uno scomparto nell'armadietto sporgevano libri vecchi e ingialliti, insieme ad alcune delle prime bozze del suo libro, "Animali Fantastici e Dove Trovarli". L'unica cosa che conferiva luminosità all'ambiente era una piccola lampadina appesa con un filo vicino ad una piccola gabbietta che pendeva dal soffitto di legno. Tutto quanto era al suo posto.
L'unico elemento cambiato in tutto quell'ambiente era lui.

D'istinto prese uno specchio che era poggiato sulla scrivania e si guardò. Apparentemente anche Newt sembrava quello di sempre: il nido di capelli biondo rossicci e scarmigliati, le lentiggini che ricoprivano tutto il suo viso, gli occhi piccoli e verdi che considerava il riflesso del suo essere... tutto era esattamente come doveva essere. Ma gli specchi non vedono ciò che si nasconde nel profondo di una persona. E quello specchio non poteva vedere il mosaico della sua anima ormai ridotta in pezzi.

Ricordare la battaglia a Père-Lachaise, ricordare quelle fiamme blu che avevano spazzato decine di vite quella sera e che si erano portate via Leta Lestrange... faceva male. Più male della morte stessa.
Avevano ancora troppe cose da dirsi, lui e Leta... La convinzione che tutti quei discorsi e quelle parole sarebbero rimaste sospese in aria e dimenticate chissà dove contribuiva ad aumentare il dolore.

Si sentì come richiamato tutto d'un tratto. Posò lo specchio che aveva ancora tra le mani e fissò il piccolo ritratto che giaceva silenzioso nell'angolo sinistro della scrivania. Era l'unica cosa rimasta di Leta: non avevano nemmeno una tomba su cui piangerla o su cui sperare che stesse bene anche dove si trovava in quel momento. C'era solo quella foto. Rappresentava il sorriso luminoso e il viso raggiante, i capelli castani di seta ornati dai fiori e gli occhi profondi di una donna che se ne era andata e non sarebbe più tornata.

Ricordava il giorno in cui aveva ricevuto quella fotografia. Gliel'aveva mandata suo fratello Theseus due anni e mezzo prima per posta, con un piccolo biglietto:

Caro fratellino,
Io e Leta ci sposiamo finalmente! Non sai quanto siamo felici, quanto io sono felice! Il matrimonio sarà il 6 giugno, tra due anni. Abbiamo preso del tempo per dedicarci alla preparazione. Tuttavia ci serve un testimone e mi piacerebbe fossi tu a farlo. Pensaci su, ok?
- Theseus
(P.S.: Leta voleva farti sapere che le manchi)

Non sapeva come stava suo fratello, ma poteva immaginarlo. Aveva perso la donna che amava, in fin dei conti... Anche Newt aveva perso la donna che aveva amato, ma i suoi sentimenti si erano affievoliti negli ultimi anni, dopo New York e tutto il resto. Prese una rosa rossa che aveva conservato apposta in un piccolo vasetto di vetro e la poggiò delicatamente davanti alla foto, senza dire una parola, lasciando parlare le lacrime che gli rigavano le guance.
«Mi dispiace... mi dispiace tanto, Leta... » fu tutto quello che riuscì a dire, ma le sue parole erano confuse tra i singhiozzi e i rimpianti, che coprivano persino i respiri. Il dolore, come un ladro silenzioso, gli aveva strappato via anche la voce.

Sentì un piccolo suono, come uno squittio, provenire dal taschino del suo cappotto blu. Pickett, il suo piccolo asticello, stava soffrendo con lui.
«Che c'è? Ti manca?» Pickett annuì tristemente. «Già, anche a me» tirò su con il naso e si girò verso la porta che conduceva agli habitat delle creature. Vide Dougal, il suo demiguise, spuntare proprio davanti ad essa.
«Dougal... da quando sei qui? Sai che non devi usare l'invisibilità per fare scherzi» lo ammonì, con il tono più severo che riuscì a trovare. La scimmietta dalla pelliccia candida e dai giganteschi occhi blu lo tirò per i pantaloni e gli abbracciò la gamba sinistra. Newt lo guardò bene: alla fin fine non era poi così solo come pensava. Aveva le sue creature, suo fratello, i suoi amici. Condividere il dolore con loro avrebbe comportato un minor peso da sopportare per lui. Si asciugò le lacrime e prese Dougal per "mano", se così si poteva dire.
«Coraggio. Andiamo di là a trovare gli altri».

*Spazio Autrice*

Le persone che amiamo non ci lasciano mai veramente, ma vivono e vivranno sempre dentro al nostro cuore.

(Sirius Black)

Sotto la pioggia (a Fantastic Beasts Fanfiction)Where stories live. Discover now