49. 𝐒𝐨𝐦𝐧𝐢𝐬, 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐈 (Newt)

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«Newt!» chiamò la voce di un bambino in lontananza «Dai, scendi da lì!»

Il magizoologo aprì gli occhi. Sotto la sua schiena percepì una superficie solida, tiepida: probabilmente era sdraiato a terra. Ma come diamine ci era finito?
Si sentiva esausto, privo di ogni forza, svuotato. A malapena avvertiva gli impulsi del suo corpo. Era cosciente di pochissime cose: la luce dei lampi, un forte odore di terra bagnata, gocce di pioggia. Il resto risuonò come una voce dentro un abisso. Tutto troppo lontano da raggiungere.
Archiviò quelle... beh, qualsiasi cosa fossero. Sbattè più volte le palpebre, cercando di abituarsi alla luce bianca.

Luce bianca?

Si mise a sedere di scatto, cominciando a guardarsi freneticamente attorno, in cerca della voce che lo aveva svegliato. Doveva pur provenire da qualche parte.
«Cosa...»
Si guardò le mani, sperando che tra le sue dita potesse nascondersi qualche informazione che avrebbe potuto aiutarlo a rispondere alle mille domande che gli ronzavano in testa.

Perché era lì? Cosa era successo? Era morto, per caso?

Si sentiva una creatura spaesata rinchiusa in una qualche sorta di gabbia. E per lui, un uomo che aveva dedicato la vita a liberare creature imprigionate, quella era la sensazione più orribile tra tutte.
L'aria pareva non esistere, lì. Ciononostante Newt riusciva a respirare. Il che era decisamente un ottimo segno, data la situazione.
Constatò ben presto come anche il più minuscolo granello di atmosfera sembrasse intenzionato a volerlo schiacciare. Perfino ogni secondo che trascorreva in quel luogo pareva un macigno sulle sue spalle.

Perché? Semplicemente a certe domande non esiste risposta. O, se esiste una risposta, è talmente vaga da poter essere paragonata ad un silenzio.
Quando finalmente lo zoologo riuscì nell'impresa di abituarsi alla luce candida scoprì, con suo immenso stupore, di essere seduto su un soffice tappeto d'erba.

Si alzò barcollando, come un bambino intento a muovere i suoi primi passi. Controllò i vestiti perfettamente puliti, guardò ai suoi piedi alla ricerca di qualsiasi cosa a lui familiare.
«Pickett...?» chiamò tastandosi le tasche, in un ultimo, disperato tentativo.
Ma non trovò nulla. Nemmeno la sua valigia o il suo piccolo amico o la sua bacchetta.
Solo Newt Scamander e quel posto sconosciuto.

Sospirò. Un sospiro esasperato, avvilito, contaminato dall'ansia che aveva cominciato a ribollirgli in corpo.

"In che razza di posto mi trovo?"

Cercò di mantenere i nervi saldi come avrebbe fatto un Auror e iniziò a visualizzare i particolari di quel luogo. Un giardino, senza ombra di dubbio. Un ampio spazio verde cosparso di trifogli e denti di leone, molto curato. Newt cercò di mettere a fuoco anche i dettagli più distanti. Vide in lontananza una casetta modesta: due piani, pareti di pietra, qualche frasca e una stalla. Strabuzzò gli occhi, incredulo. Guardò un'altra volta le creature che si stavano crogiolando nel fieno. Animali robusti e maestosi, simili a cavalli piumati con due grosse ali e un becco perfettamente lucido. Ippogrifi. Non ebbe più alcun dubbio. Ecco perché quel posto gli era parso a tratti vagamente familiare...

Casa Scamander. La casa dei suoi genitori.

Una fitta nostalgica gli attanagliò il cuore, come un fulmine a ciel sereno. "Sono a casa", pensò, e un'ondata di calore gli strisciò nelle membra.

Fu costretto a destarsi subito da quel momento. Il motivo? Udì un'altra voce, questa volta leggermente più acuta di quella che aveva sentito quando si era svegliato.
«Perché invece non vieni tu a prendermi?»
Si voltò. Davanti a lui un vasto frutteto riempiva tutta quanta l'area. A prima vista avrebbe dato l'impressione di un bosco, tanti erano gli alberi di mele concentrati in quel campo. Eppure, tra tutti quei giganti, Newt si preoccupò di cercare il melo più basso. Fu qualcosa di istintivo, paragonabile ad un intuizione.

Sotto la pioggia (a Fantastic Beasts Fanfiction)Where stories live. Discover now