Ritorno al sottomarino

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Finalmente avevamo lasciato Lyborn. Tutta l'equipe medica si trovava sulla scialuppa diretta al sottomarino. Esattamente come all'andata, anche al ritorno stavamo tutti in silenzio. Quando si trattava di suturare o formulare diagnosi eravamo un bel team, ma purtroppo non potevamo dire lo stesso quando si trattava di fare due chiacchiere tra di noi. Non sapevamo davvero che dirci, ogni volta era un dramma per trovare un argomento che non fosse di natura medica che stesse bene a tutti o che tutti conoscessero. Il più delle volte era una noia mortale, con loro, in sala operatoria. In più, in quell'occasione c'era di mezzo anche una bella quantità di tensione. Law aveva rimproverato i miei compagni, che si sentivano in colpa per non avermi soccorsa, mentre a me non aveva proprio più parlato per giorni; e io non avevo idea di cosa dire a tutti gli altri, perché non sapevo se erano tornati a vedermi come la "pupilla del capitano" o se erano ancora in modalità "sensi di colpa". Quindi, nel dubbio, per non litigare con nessuno, avevo deciso che sarei rimasta zitta e che avrei aspettato il momento in cui finalmente avrei potuto buttarmi a faccia in giù sul mio letto e sprofondarci dentro.
Avevo salutato Marco, l'unica ragione per cui mi dispiaceva lasciare l'isola. Forse sarebbe stato meglio accettare il suo invito e rimanere con lui, considerato che mi aspettavano i lavori forzati, non appena avessi messo piede sul Polar Tang. Mannaggia a me che non accettavo mai le offerte che mi facevano i miei amici. Ero proprio masochista.
Mi lasciai sfuggire un sospiro; e tutti – compresi i due che remavano – tranne il capitano si girarono a guardarmi. Sorrisi, per rassicurarli e per evitare di avere addosso quegli sguardi ingombranti e indesiderati. Il mio sorriso sortì l'effetto sperato, perché i miei compagni si tranquillizzarono e ritornarono a fissare l'oceano davanti a loro, anche se, data la nebbia che c'era, c'era poco da vedere.
"Che situazione del cavolo" pensai scuotendo la testa, prima di appoggiare il mento sul palmo della mano. Se prima non mi entusiasmava molto il fatto di ritornare sul sottomarino, ora non vedevo l'ora di tornarci, solo ed esclusivamente per scampare a quelle circostanze decisamente imbarazzanti. E poi, prima di buttarmi sul letto come avevo intenzione di fare, avrei davvero avuto bisogno di aprire il frigo, tirare fuori una bottiglia di vino, versarmene un'abbondante quantità nel bicchiere e berlo tutto d'un fiato.
No... a ripensarci bene, un solo bicchiere non sarebbe bastato.

Arrivammo finalmente al sottomarino. Sulla fiancata gialla c'era già la scaletta pronta per farci salire. Dal momento che la mia gamba non era in perfetta forma, non avevo idea di come avrei fatto a risalire a bordo. Ma non ebbi nemmeno il tempo per studiare una soluzione efficace, perché uno dei medici mi ordinò di aggrapparmi a lui e, senza che potessi dire o fare niente, dopo essersi assicurato che la mia presa su di lui fosse salda, iniziò a salire su per la scaletta, preceduto da Law.
«Ehm... grazie» fu tutto ciò che riuscii a mugugnare, fortemente imbarazzata dalla situazione.
«Non dire niente» disse il medico, con un po' di fiatone «Te lo devo».
Arrivammo in cima in quello che mi sembrò un attimo, mentre i Pirati Heart che erano sul sottomarino tiravano su la scialuppa. All'orizzonte, complice anche la nebbia piuttosto fitta, non si riusciva a vedere nessuno, quasi come se quella fosse una nave fantasma. Da una parte speravo davvero che fosse così, non avevo alcuna voglia di affrontare i loro sguardi accusatori e le loro domande. Volevo solo trovare un modo per riuscire ad arrivare al frigo, prendere il vino e poi sgattaiolare in camera senza che nessuno mi vedesse. Erano stati giorni intensi e pesanti, e volevo stare in pace. Se poi fossi stata anche alticcia, non sarebbe stato affatto male.
Il mio compagno mi fece scendere con delicatezza dalla sua schiena.
«Stai bene?» mi chiese, totalmente a corto di fiato, piegandosi in avanti e appoggiando le mani alle ginocchia.
«Io sì... tu, piuttosto?» gli chiesi, perplessa.
Rise, mentre l'ultimo dei medici che era appena arrivato in cima gli dava una pacca sulla spalla. Se con noi ci fosse stato Marco, sarebbe stato tutto più semplice. Perché continuavo a pensare a lui? Non aveva senso, ormai ci eravamo salutati, e di sicuro non ci saremmo rivisti tanto presto.
«Sei piccolina, ma non sei un peso piuma» scherzò, soffiando fuori tutta l'aria che aveva in corpo. In un'altra occasione mi sarei offesa per il fatto che mi avesse dato implicitamente della grassa ma, dal momento che per una volta aveva fatto un gesto gentile di sua spontanea volontà, decisi di passarci sopra. Se ci fosse stata una prossima volta, però, sarei passata sopra a lui. Con un carro armato.
«Da domani mi metterò a dieta» scherzai a mia volta, lasciando trapelare un certo fastidio.
«Non devi! Io scherzavo! Sono io che sono fuori allenamento» si giustificò lui.
Entrambi sbuffammo una risata, che fu interrotta da dei rumori sinistri a pochi metri da noi.
La nebbia nel frattempo era diventata ancora più fitta, al punto da non riuscire a vedere più in là dei nostri nasi, e quando intravidi delle sagome nella foschia che venivano verso di noi, mi spaventai – per non dire che a momenti mi venne un infarto – e istintivamente mi aggrappai al braccio del medico accanto a me, che mi guardò stupito.
Mille pensieri mi passarono per la testa, in pochissimi secondi. Avevo paura che durante la nostra assenza il Polar Tang fosse stato assaltato e sequestrato da chissà quale insulsa banda di pirati, o di cacciatori di taglie. O peggio, dalla Marina. Che avremmo fatto se avessimo ritrovato i nostri compagni morti? Che avremmo fatto se il sottomarino fosse stato preso da un Ammiraglio?
Assottigliai gli occhi, nella speranza di riuscire a riconoscere le sagome, portando allo stesso tempo una mano sul manico dell'appena ritrovata ascia. Qualora ci fosse stato il bisogno di combattere, a causa della ferita alla gamba non avrei potuto farlo al meglio delle mie possibilità, e questo mi rendeva nervosa e preoccupata al tempo stesso. In più, se eravamo rimasti così tanto a lungo sull'isola, era solo ed esclusivamente colpa mia; quindi, se ne fossimo usciti vivi, Law mi avrebbe prima torturata e poi trucidata senza alcuna pietà. Ma perché non me ne andava bene una!? Perché per una volta non poteva filare tutto liscio!?
«Capitano!» gridò qualcuno dall'altra parte della coltre di nebbia.
Lasciai la presa sul braccio del povero malcapitato – che ora era violaceo da quanto avevo stretto – e tirai un lungo sospiro di sollievo quando, tra tutte le figure ancora abbastanza sfocate, ne riconobbi una con la sagoma di un orso.
Mollai all'istante la stretta sulla mia Mr. Smee e rilassai i muscoli del corpo, che fino a quel momento erano stati tesi come corde di violino. Cielo, mi sembravo la Camilla dei primi tempi, quella che si era diretta con incertezza nella sua sala da pranzo con un righello e delle ciabatte come armi e che era svenuta miseramente quando si era accorta di avere dei pirati in casa. Che quella ferita, oltre ad intaccare pelle e muscoli, avesse anche riportato alla luce parti di me che pensavo fossero morte e sepolte?
«Cami!» Bepo mi richiamò dai miei lugubri pensieri e mi accorsi che era a qualche centimetro da me.
«Il capitano ci ha informato di cosa ti è capitato! Sono stato molto in pensiero per te! Meno male che sei sana e salva!» esclamò con gli occhi lucidi l'orso. Senza che potessi replicare, si lanciò su di me e mi abbracciò così forte che per poco non cademmo giù dall'imbarcazione.
«Ehi, Bepo, fai piano» lo rimproverò quello che ormai era diventato il mio dottore.
Quando finalmente si decise a staccarsi da me – anche perché sarei morta asfissiata, altrimenti – mi vennero incontro i miei compagni di bevute preferiti, Shachi e Penguin. Non ci fu bisogno di troppe parole con loro, ci fu un semplice e complice scambio di sguardi, che solo noi sapevamo decifrare. Quando terminammo di scambiarci le nostre brevi occhiate in codice, i due si posizionarono accanto a me, uno alla mia destra e l'altro alla mia sinistra, ed entrambi mi cinsero le spalle con il braccio. Camminammo in quella posizione per un po', diretti sottocoperta, finché non mi intercettarono Maya e Omen. A quel punto l'orca e il pinguino lasciarono la presa su di me e si avventurarono all'interno del sottomarino.
«Ehi, ragazza» iniziò Maya con un gran sorriso sul viso «Te la sei vista brutta, eh? Forza, dammi un abbraccio!» disse con enfasi, allargando le braccia. Ci abbracciammo, e sentii le sue dita strofinarmi la schiena in un gesto di conforto. All'improvviso, mi ritrovai a dover ricacciare indietro un paio di lacrime che si erano formate agli angoli dei miei occhi. Forse, inconsapevolmente, avevo bisogno di un abbraccio che provenisse da una figura materna, che mi facesse provare di nuovo il calore di una famiglia.
Omen non disse niente, si limitò a posarmi delicatamente una mano sulla spalla.
Poco dopo, sopraggiunse anche Ryu. Quando lo vidi, dovetti trattenere una risata. Aveva un mestolo in mano e indossava sia il suo grembiule che il suo cappello da chef: guai a chi glieli sfiorava.
«Ho sentito bene o vuoi metterti a dieta!? Non esiste, signorina! Finché ci sarò io su questa nave, nessuno si metterà a dieta.» dichiarò solennemente, facendomi scappare un sorriso.
«Coraggio, andiamo in cucina. Devi mangiare per rimetterti in forze» affermò poi il cuoco, dandomi una potente pacca sulla spalla. Talmente potente che mi fece perdere l'equilibrio e sbilanciare in avanti. Aggrottai la fronte e spalancai gli occhi. Stavo per cadere miseramente per terra.
«Oh!» esclamò Ryu, sorpreso e dispiaciuto allo stesso tempo, appena prima di riacciuffarmi per un braccio e rimettermi in posizione eretta.
«Scusa, era troppo forte. Mi sono lasciato trasportare dall'entusiasmo» si giustificò, imbarazzato.
«Non c'è problema» lo rassicurai, sorridendogli. Se non altro, aveva i riflessi pronti. Dopodiché, mi fece cenno di andare sottocoperta, e io lo precedetti.
«Camilla» mi richiamò, costringendomi a voltarmi «Cerca di fare più attenzione la prossima volta e vedi di non morire» mi redarguì. Alle sue parole, mi incupii un po'. Era proprio ciò che temevo: che qualcun altro potesse ribadirmi quanto ero stata stupida.
«Sì...» risposi, in un sussurro.
«Altrimenti chi mi farà da medico?» chiese poi, abbandonandosi ad una fragorosa risata. A quel punto, distesi i muscoli. Per fortuna, scherzava.
Accennai un sorriso, per poi abbassare lo sguardo subito dopo. Di colpo mi ritornò in mente quello che mi aveva detto Marco. Il suo discorso mi apparve chiaro e nitido in testa, e io sapevo che non potevo fare promesse a vuoto. Avrei vissuto? Sarei morta? Non potevo saperlo con certezza. Decisi che non volevo pensarci e mi avviai con un'espressione buia in cucina.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now