Libertà

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Quella notte sognai tutte le persone a me care che avevo lasciato involontariamente indietro. Ridevano felici, proprio come l'ultima volta in cui li avevo visti, quando ero rimasta per giorni priva di conoscenza dopo lo scontro con Doflamingo. Sembravano stare bene, e questo in qualche modo mi tranquillizzò. Non che ci avessi messo poco per addormentarmi. Ci erano volute cinque ore, e per tutte quelle cinque ore Sabo era rimasto con me. Mi ero praticamente addormentata all'alba. Nonostante la compagnia del biondo, che aveva fatto molto di più di quanto chiunque avesse potuto immaginare, le voci non erano svanite. Se mi ero addormentata era stato solo perché ero esausta e avevo ceduto fisicamente prima che potessi farlo mentalmente. Ad un certo punto le mie palpebre si erano chiuse da sole e io mi ero lasciata trasportare tra le braccia di Morfeo. Mi ero svegliata quattro ore dopo, ancora più rintontita di prima, seppure sollevata, almeno in piccolissima parte. Sabo si era addormentato accanto a me, anche lui stanco e pure un po' ubriaco. Non avevo potuto vederla, ma ero sicura che fosse stata una scena piuttosto tenera. Al mio risveglio, però, se ne era già andato. Così mi ero alzata, mi ero tolta la cintura, mi ero fatta una doccia e mi ero fissata allo specchio per cinque minuti. Non sembravo neanche più io. Sembravo l'ombra di me stessa, quello che era successo la sera precedente mi aveva sconvolta oltre ogni misura. Due moleste occhiaie violacee erano comparse sotto ai miei occhi, che erano infossati ed incavati nel volto. Sembravano affaticati, tristi ed anche un po' vuoti; le sclere erano rimaste arrossate dalla notte prima e a causa della stanchezza dovuta alla scarsa quantità e qualità del mio sonno di quei giorni. Ma un paio di secondi prima di addormentarmi avevo deciso che non mi sarei lasciata sopraffare dal dolore, dalla tristezza o dalla nostalgia. Perché io non ero più questa persona. Le voci che continuavo a sentire nella mia testa erano fastidiose, ma ce n'era una che era più forte di tutte le altre e mi spingeva a non abbandonarmi allo sconforto. Era la mia. Mi incitava a non mollare. Avrei vinto, avrei superato tutto, così come avevo fatto con il resto degli spiacevoli episodi che avevo dovuto vivere in quegli anni.
Ecco perché subito dopo avevo preso un respiro profondo, mi ero vestita, mi ero pettinata ed ero uscita dalla mia stanza come se nulla fosse accaduto.

«Ti dico che è proprio così,» insistette l'uomo-pesce. Io facevo ancora fatica a credere che fosse vero. Anzi, mi pareva assurdo.
«No. Non... non può essere.» Continuai a scuotere la testa a occhi spalancati.
«Fidati di me, una buona volta.» Cominciò ad infastidirsi. «So riconoscere l'Haki dell'Osservazione,» aggiunse poi, incrociando le braccia e fissandomi con sguardo torvo.
Per quanto lo trovassi distante da me e da quelli che erano i miei modi di agire, avevo comunque deciso di andare da lui per cercare spiegazioni e risposte, perché - mi costava molto ammetterlo - era la persona migliore a cui rivolgersi quando si trattava di queste cose. Così, piuttosto controvoglia, mi ero recata nella minuscola sala dove si tenevano le riunioni tra gli individui più influenti dell'Armata Rivoluzionaria. Ora, non era esattamente minuscola, ma rispetto agli standard di quella Base era piuttosto ristretta, anche a causa di tutti gli scaffali pieni di documenti disordinati che c'erano nella stanza. Mi ricordava vagamente l'archivio che c'era nella mia scuola. C'erano persino banchi e sedie in legno, e anche una specie di cattedra. Pensare che Dragon si sedesse dietro di essa era quasi esilarante.
«Sì, ma come...» Mi portai le falangi alla tempia, confusa e ancora rintontita dalle presenze che mi rimbombavano in testa. «Come è possibile?»
Fece una blanda alzata di spalle. «Non lo so.»
Stava iniziando ad esasperarsi. Non era un tipo molto paziente, soprattutto quando era convinto di avere ragione e l'interlocutore che aveva davanti al momento continuava a negare quella che per lui era l'evidenza. Ma in quel caso avevo motivo di credere che l'opinione che stava sostenendo non fosse affatto un'ovvietà.
«Ho sentito dire che può essere risvegliata involontariamente da un individuo dopo che questi ha subito un grande trauma,» spiegò dopo qualche secondo di silenzio.
Mi appoggiai con le gambe al tavolo dietro di me, nella speranza che potesse sostenere il mio peso e il peso di quei rumori selvaggi che stavano avendo luogo nella mia mente.
«Sì, l'ho sentito dire anche io,» gli feci eco, pensierosa. Messa su quel piano, la sua teoria strampalata non era poi così assurda.
«Credi che siano stati gli incubi a risvegliare in me l'Ambizione?» domandai, alzando lo sguardo e fissandolo con titubanza. Facevo ancora fatica a pensare che fosse una cosa possibile. Anzi, per me era inconcepibile. Non poteva essere vero. Io provenivo da un altro mondo, e lì non esisteva l'Haki. Di conseguenza era impossibile che io avessi acquisito - anche per "sbaglio" o per caso - un tale potere. C'era qualcosa di strano. La faccenda non mi tornava.
In risposta alzò di nuovo le spalle. Supponevo che in realtà ne sapesse quanto me. Decisi di non fare altre domande per non rischiare di alterarlo, ma mi concessi un lungo sospiro. Sorprendentemente, sentii sospirare anche il mio interlocutore.
«La tua è un'Haki speciale. Non ho mai avuto a che fare con un'Ambizione di questo tipo,» considerò, perso nei suoi pensieri. Aggrottai la fronte, stupita dalla sua constatazione.
«Ti permette di andare oltre le mere presenze. Puoi sentire le persone, captare i loro pensieri,» aggiunse subito dopo con aria assorta. Aveva iniziato a lisciarsi la punta dei baffi con l'indice ed il pollice. Lo fissai assottigliando gli occhi.
«In che senso? E come fai a saperlo?» chiesi con un filo di voce. Se prima ero confusa, ora lo ero ancora di più. Sentivo il cuore martellarmi nel petto. Cominciavo ad agitarmi, e questo non era un bene. Perché più mi agitavo e più le voci nella mia mente si facevano forti.
«Lo so e basta,» tagliò corto. Era seccato. Ma io avevo tutto il diritto di domandargli qualsiasi cosa mi passasse per la testa riguardante quella storia. Anche se sospettavo che nemmeno lui fosse a conoscenza di troppi dettagli. Dovevo fidarmi. Era l'unica opzione che avevo.
«Quindi, come facciamo? Come gestiamo questa situazione?» volli sapere, staccandomi dalla cattedra alla quale mi ero appoggiata. La mia testa aveva decretato che ne aveva abbastanza di supposizioni e teorie campate per aria. Avevo bisogno di risposte concrete e pratiche.
«Intensificheremo gli allenamenti,» affermò solenne.
Storsi il naso. Non era esattamente quello che volevo sentire. Il pensiero che avrei dovuto passare più tempo insieme a lui di quanto dovessi già fare non mi faceva gioire. Mi avrebbe massacrata.
«Se mi ascolterai e farai ciò che ti dico, ti insegnerò a padroneggiarla, in modo da poterla sfruttare in battaglia,» continuò poi, assumendo un'espressione severa e guardandomi come un genitore che tenta di convincere il proprio figlio a non commettere più la marachella di cui si è appena macchiato il bambino.
Sbuffai ed annuii, rassegnandomi al fatto che sarei dovuta scendere a patti con il diavolo; o, in questo caso, con Hack, che poteva essere perfino peggio.
«Puoi aiutarmi, vero Hack-san?» quasi lo implorai. Una ruga di preoccupazione era comparsa in mezzo alla mia fronte. Non sarebbe servito a niente chiederglielo, ma in un momento così delicato avevo bisogno di conferme.
«Io posso,» dichiarò convinto, fissandomi negli occhi. «Sta a te decidere quello che vuoi fare.»
Capii subito ciò che intendeva. Tentava di dirmi che avrei dovuto essere io la prima ad aiutarmi. Tentava di dirmi che quella, per quanto difficile, era la strada più giusta da prendere. Certo, avrei dovuto starlo a sentire e avrei dovuto accettare anche qualche compromesso. Talvolta avrei dovuto fare dei sacrifici, ma se avessi deciso di intraprendere quel cammino, sarei stata bene. E, soprattutto, sarei diventata più forte. Questo bastava per convincermi. Dovevo farlo. Avevo bisogno di farlo.
«Allora? Accetti la mia proposta?» Hack aveva iniziato a sbattere il piede per terra, impaziente di ricevere una risposta. Supponevo che avesse cose più importanti da fare che stare a badare ad una ragazzina.
Sorrisi, annuii e feci un piccolo inchino con il capo, in segno di gratitudine e rispetto. Dopodiché, ipotizzando che quella conversazione fosse giunta al termine, mi congedai e mi diressi a passo svelto verso l'uscita della stanza. Come l'uomo-pesce, anche io avevo delle cose da fare.
«Risolverai il tuo problema,» affermò, facendomi arrestare e voltare verso di lui. Sul suo volto stava iniziando a comparire un piccolo ghigno, come se per lui quella fosse una sfida. Aveva un'aria calma e rilassata, perfino spavalda, che ha solo chi è sicuro di poter vincere. Il mio sguardo convinto parlò per me. Quella chiacchierata mi aveva ridato un po' di fiducia, sebbene ancora stentassi a credere che quanto mi aveva detto il rivoluzionario fosse vero.
«Inizieremo domani.»
Feci un rapido cenno d'assenso mentre abbassavo la maniglia della porta. Dovevo andare a dirlo a Sabo. Dovevo comunicargli che avevo una potenziale soluzione per il mio problema.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now