Vecchie conoscenze

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La scogliera, rocciosa e frastagliata. E poi il cielo, terso e limpido, di un celeste così puro da infondere pace e tranquillità persino agli animi più tormentati. Furono queste le ultime cose che vidi. I miei ultimi pensieri andarono alla mia famiglia, che non avrei mai più rivisto e che non avrei più neanche sperato di rivedere. Avevo paura, ma ero di gran lunga più dispiaciuta. Avrei voluto che le cose fossero andate diversamente? Sì, certo. Nessuno vorrebbe morire nel bel mezzo di un'avventura, nessuno vorrebbe morire mentre sta inseguendo un sogno. E, di certo, nessuno vorrebbe andarsene prima di aver portato a termine l'obiettivo che con tanto ardore si è prefissato e per il quale ha compiuto tanti sacrifici. Ma io avevo già avuto una seconda occasione, era stata proprio la Stella a darmela, involontariamente. Quindi, quella era la fine della mia corsa. Ancora qualche secondo e poi non ci sarebbe stato più niente. Io stessa non sarei stata più niente. Chissà se qualcuno avrebbe sentito la mia mancanza o si sarebbe ricordato di me, con il passare degli anni. Se qualcuno avrebbe tenuto vivo il mio ricordo, o se questo sarebbe sbiadito con il tempo.
Com'era strano il destino, proprio adesso che stavo iniziando a riacquistare la voglia e la forza di vivere, il mio cammino si interrompeva. Non avevo fatto grandi cose, non avevo mai amato davvero, non avevo visto il mondo – nessuno dei due in cui ero stata – e non avevo del tutto realizzato i miei sogni, ma in fondo ero contenta così. Perché, anche se quella di morire non era stata una mia scelta, le mie ultime azioni lo erano state. Ero stata io a scolpire e determinare il mio destino, e se quel destino mi aveva portata lì, allora non potevo essere triste. Come mi aveva insegnato Tom, il carpentiere, non bisogna mai rinnegare ciò che abbiamo creato, perché questo significherebbe rinnegare noi stessi. Sulle mie labbra comparve un impercettibile sorriso. Avevo lasciato tante cose incompiute, e di certo ero molto spaventata, ma sarei lo stesso morta in pace con me stessa.
Chiusi gli occhi, preparandomi all'impatto con l'acqua. Mi sembrava di stare cadendo da una vita. Mi sembrava di aver visto albe e tramonti interminabili, di aver sentito freddo e poi caldo, e di aver sentito profumo di talco. Chissà perché, con tutti i profumi che esistevano, avevo sentito proprio quello.

Precipitavo, precipitavo e precipitavo ancora. Erano solo pochi secondi, eppure quei secondi furono infiniti. O forse ero già morta e non me ne ero accorta. O magari quello era solo un brutto sogno troppo vivido, come quello che avevo fatto su Dressrosa. Se così fosse stato, pregai di svegliarmi il più presto possibile da quell'incubo. Oppure mi trovavo in una sorta di realtà virtuale, come in un videogioco e, se fossi morta, sarei tornata incolume alla vita reale. Non lo sapevo. In fondo, la morte, che sia vera o meno, non dà molte certezze.
Il cuore mitragliava contro il mio sterno, con più coraggio di quanto non avessi io. Non voleva arrendersi all'evidenza. Non avrebbe desistito tanto facilmente. Forse aveva capito che quelli sarebbero stati i suoi ultimi battiti. Ogni fibra del mio corpo aveva paura, ma sapevo che avrebbe combattuto. Che avremmo combattuto. In fondo, cosa avevamo da perdere? Non c'era rimasto più niente a cui aggrapparsi, se non il battito del mio cuore, l'unica cosa che ancora potevo sentire chiaramente. Finché la vita non avesse abbandonato il mio corpo, non mi sarei arresa.
Presi un ultimo, profondo respiro, prima di impattare con l'acqua. Presto i miei polmoni si sarebbero riempiti di quel liquido salino e tutto il mio corpo sarebbe stato inghiottito in quell'immensa distesa blu.

Chiusi gli occhi. Le mie narici furono invase sempre dallo stesso odore. Talco. Sentivo profumo di talco. Forse era proprio questo l'odore della morte.

Ad un tratto, all'improvviso, la mia caduta si arrestò.

Riaprii gli occhi di scatto, aspettandomi di trovarmi in un letto o qualcosa di simile. Ma sopra di me c'era solo il cielo. Lo stesso cielo azzurro e limpido di poco prima. All'appello non mancava neanche la scogliera rocciosa e frastagliata. Ero sempre nello stesso posto, ma non ero annegata. Ero sospesa a mezz'aria. Ma come avevo fatto? Cos'era successo? Perché non ero morta?
«Il tempo passa, ma tu non cambi mai. Anzi, direi che sei diventata ancora più goffa».
Una voce mi risvegliò temporaneamente dal mio stato di torpore. Solo in quel momento notai che due braccia forti e sicure mi stavano sorreggendo. Il proprietario di quelle stesse braccia, che riconobbi subito e che tanto avevo desiderato rivedere, mi aveva impedito di capitombolare in acqua e mi aveva appena salvato la vita.
Iniziai a buttare fuori l'aria dalla bocca, sospirando di sollievo. In pochi secondi, i miei sospiri si trasformarono in un riso sommesso. Sebbene avessi il fiato corto a causa della ferita e della paura, mi lasciai andare ad una risata liberatoria.
«E tu sei sempre il solito pennuto arrogante e un po' sadico, a quanto vedo» risposi, in un sussurro. Non sapevo nemmeno come fossi riuscita a parlare. Ero senza fiato, il mio corpo era più fiacco che mai, ma mi sentivo leggera come una piuma, tanto ero sollevata. Non ero morta – perlomeno, non ancora – ma avevo perso almeno dieci anni di vita e, qualora fossi sopravvissuta, avrei dovuto trascorrere altrettanti anni da uno psicoterapeuta per rimuovere quel brutto trauma dai miei ricordi.
«Dovevo fare un'entrata ad effetto» si giustificò lui.
Raccolsi parte delle mie ultime energie per staccarmi dal suo petto e guardare in basso. Le sue fiammeggianti ali gialle e blu, fiere e maestose come sempre, sbattevano con una tale potenza da creare dei cerchi sulla superficie dell'acqua. Non che fossimo tanto distanti dal mare, a occhio e croce non eravamo a più di un metro dall'immensa distesa blu. Non si poteva dire che era impaziente di salvarmi. Aveva aspettato proprio l'ultimo secondo. Ma lui se lo poteva permettere. Del resto, anche la prima volta che avevo volato con lui mi aveva propinato quasi la stessa scenetta.
«Mi sei mancato, Marco la Fenice» gli annunciai, sorridendo.
Non potevo vedere il suo viso, ma ero sicura che stesse sorridendo arrogantemente anche lui. In quel momento, notai una cosa che fece allargare ancora di più il mio sorriso.
«Allora l'hai ricevuta» affermai soddisfatta. Alzai con fatica il braccio, che si rivelò essere più pesante di quanto pensassi, e posai la mia mano sul ciondolo che pendeva dal suo collo. Il ciondolo con la fenice, quello che gli avevo fatto come regalo di compleanno.
«Quando quel News Coo me l'ha portata insieme al biglietto, non potevo credere che fossi stata proprio tu. Eppure, eccoti qui» disse con voce calma e serena «Beh, grazie. L'ho apprezzata. E grazie per esserti ricordata del mio compleanno».
«Non c'è di che» risposi io. Appoggiai la testa sulla sua spalla. Non per affetto, ma perché mi girava terribilmente. Ansimavo e il mio corpo tremava, ma nonostante questo ero felice.
«Vedo che anche tu hai una collana nuova» affermò, riferendosi al ciondolo con la mia iniziale dipinta di arancione. Come aveva fatto a notarla così in fretta?
«Non ti si può nascondere niente» dichiarai, sorridendo, per quanto la mia condizione mi concedesse. Non ero nemmeno sicura di stare sorridendo davvero, forse mi stavo immaginando l'intera scena.
«Mi dovrai raccontare come sei approdata qui e perché ti sei unita al chirurgo» disse divertito, poi fece una pausa. Rimasi molto stupita dalle sue parole. Come diavolo aveva fatto ad intuire che mi ero unita a Law? Era forse veggente? Onnisciente? Iniziava a spaventarmi un po'. Forse ero morta e lui era un angelo. Le ali c'erano. Mancava solo l'aureola, ma magari ce l'aveva e io nel delirio non l'avevo notata. Però, se ero davvero morta, perché continuavo a sentirmi così male? Perché il dolore non spariva?
«Ma prima forse è meglio tornare sulla terraferma. Che ne dici?» chiese, distogliendomi dai miei macabri pensieri «Sai, non hai una bella cera» aggiunse poi.
"Mi sembra un'ottima idea" pensai, ma non ero del tutto convinta di aver emesso qualche suono. Ad ogni modo, anche lui doveva spiegarmi un paio di cose. Tipo, ad esempio, cosa ci faceva su un'isola del genere. Ma temevo che avremmo dovuto rimandare i convenevoli e le spiegazioni a più tardi, o non ci sarebbero stati affatto, perché io ci avrei lasciato le penne, tanto per restare in tema di volatili.
«Non è facile sbarazzarsi di te, eh?» fece sarcasticamente, mentre con un paio di colpi d'ala ben assestati mi riportava – letteralmente – con i piedi per terra.
Un ghigno arrogante era ricomparso sulla sua faccia. Avrei voluto rispondergli che se non avessimo fatto qualcosa, e per giunta molto in fretta, si sarebbero tutti liberati per sempre di me, ma non avevo più alcuna forza per parlare.
«Ora ti metto giù. Ce la fai?» chiese, una volta che ebbe toccato terra. Annuii. Allentò lentamente la presa e mi posò delicatamente al suolo. Quando fui in piedi, una dolorosa fitta alla gamba mi fece piegare le ginocchia e mi costrinse a reggermi a Marco, che prontamente mi sollevò e mi sistemò, senza sforzo e senza battere ciglio, tra le sue possenti braccia.
Non avevo più la forza per trattenermi, per fingere che fosse tutto a posto, per nascondere il mio malessere. Non che la Fenice non se ne fosse accorta, non c'era dettaglio che non sfuggisse al suo occhio allenato, ma quello, per me, era il punto di non ritorno.
Abbandonai la testa all'indietro, gli occhi persi, assenti. Il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi.
«Accidenti a te, Cami. Resisti. Ti porto dal tuo capitano» affermò il biondo, iniziando a muoversi.
"No!" avrei voluto gridargli. Sarebbe stata una condanna a morte, se mi avesse portato in mezzo ai malati. Con la mia ferita, avrei contratto sicuramente quel virus maledetto. Ma non ci fu niente che potei fare per fermarlo, perché, all'improvviso, tutto iniziò a diventare sempre più sfocato, sempre più chiaro, sempre più bianco, e io precipitai in uno stato di semi-incoscienza che mi impedì di protestare, o di agire in qualsiasi altro modo.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now