Invadenza

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Base dei Rivoluzionari. Posizione e nome sconosciuti.
Due mesi dopo.

Buttai fuori tutta l'aria che avevo in corpo con un potente sbuffo. Un sottile strato di sudore ricopriva la mia pelle, il cuore pulsava veloce e il mio petto si alzava ed abbassava velocemente, facendomi ansimare. Mi voltai alla mia destra e notai compiaciuta che anche il biondo che giaceva accanto a me era nella mia stessa situazione. Feci scivolare il corpo accanto a quello del Rivoluzionario, presidiando il suo cuscino con la testa. Lui si girò a guardarmi. Per qualche secondo, il suo sguardo risultò imperscrutabile, poi le sue labbra si aprirono in un ghigno.
«A quanto pare c'è stata un'invasione nemica,» commentò, avvicinandosi di più a me e puntando le iridi sulla mia bocca.
Risi, come quasi sempre quando ero in sua compagnia. In quei due mesi il nostro rapporto era cambiato. Ci eravamo avvicinati ed eravamo diventati più intimi, anche letteralmente parlando. Ma ciò che c'era tra noi - di qualsiasi cosa si stesse parlando - non era più solo a livello fisico. Si era innescato qualcosa, senza che sapessi come, e adesso mi sentivo connessa con lui anche sul piano mentale. No, in realtà avevo sempre sostenuto che le nostre menti fossero affini. Era più una connessione a livello spirituale, una cosa che non riuscivo a comprendere e che sospettavo che il biondo ignorasse. Forse mi stavo facendo troppi film mentali e l'unica a provare certe sensazioni ero io tra i due.
Avvicinai ulteriormente il viso al suo, poi catturai il suo mento con la mano e lo costrinsi a girare la faccia in modo tale da potergli sussurrare qualche parolina provocante all'orecchio.
«Preparati a subire un attacco devastante,» lo avvisai maliziosa.
I suoi occhi si illuminarono. Adoravo provocarlo, così come lui adorava provocare me.
Posai un dito tra lo spazio che intercorreva fra le sue clavicole e lo feci scorrere delicatamente verso il suo petto e poi verso il suo addome. Mi fermai appena dopo aver superato l'ombelico, nel punto in cui il suo corpo cominciava ad essere nascosto dalle coperte. Mi guardò interrogativo, come a chiedermi perché mi fossi arrestata proprio sul più bello. Se avessi avuto tempo da perdere gli avrei spiegato che uno dei motivi era che avevamo appena fatto sesso e che doveva darsi una calmata, perché era diventato veramente insaziabile. Ma non potevo biasimarlo per quello, visto che in realtà lo ero diventata anche io. Non mi riconoscevo più. Da uno come Sabo avrei potuto aspettarmelo, ma da me... Avrei voluto smettere, avrei voluto fermarmi, solo che non ci riuscivo. Non dipendeva da me. Non ero più io a controllare gli impulsi. Sapevo solo che il mio corpo sembrava non averne mai abbastanza e che la mia mente concordava. Non riuscivo a resistere al biondo. E mi sentivo impotente per questo.
Tuttavia, dal momento che avevo fretta, mi girai dalla parte opposta e rotolai fino al bordo del letto.
«Sono le cinque e mezzo. Alle sei devo andare da Dragon,» gli spiegai, sicura che mi stesse ancora fissando con un'espressione a metà tra il deluso e l'ebete.
Mi misi a sedere e raccolsi tutti gli abiti sparsi per terra nelle vicinanze, dopodiché iniziai a rivestirmi. Quando si trattava di Sabo, ma più che altro dell'attività che svolgevamo insieme, perdevo completamente la cognizione del tempo. E se non volevo presentarmi da Dragon in ritardo, dovevo sbrigarmi. Alle mie spalle, udii il Rivoluzionario fare lo stesso.
«Io invece devo andare da Koala. Dobbiamo fare il resoconto della nostra ultima missione.»
Mi voltai per un istante verso di lui. Stava saltellando sulle punte dei piedi nel tentativo di rimettersi i pantaloni.
«Intendi la missione sull'isola con gli alberi a forma di spirale?» chiesi, sporgendomi oltre il materasso per cercare i miei stivali, che non riuscivo a trovare da nessuna parte.
«Già.» Dal rumore metallico che provenne dalle mie spalle, dedussi che si stava allacciando la cintura.
«Come si chiamava?» domandai distrattamente, sempre alla ricerca delle mie scarpe.
«Non me lo ricordo,» fece con indifferenza.
Emisi quello che poteva essere considerato un mugugno d'assenso. Era tipico di lui non ricordarsi i nomi. Se li dimenticava sempre, più in fretta di quanto riuscisse a spostarsi Kizaru. E quando - per puro caso - se li ricordava, spesso e volentieri li sbagliava e li reinventava. Mi venne da ridere al pensiero del povero "Petz", a Dressrosa. I paesaggi, però, non se li scordava mai. Quando ritornava dalle sue missioni ogni tanto mi raccontava cosa aveva visto, ed era capace di descrivere i posti in cui era stato con una tale passione e precisione che sembravano apparire davanti a me come se fossi stata presente anche io sul luogo, come se quei ricordi fossero miei. E tutto diventava così suggestivo e vivido. Il suo era un dono. Sapeva ricreare nelle menti delle persone interi scenari e far sì che li vivessero e respirassero.
«Quando ho finito da Dragon potrei venire ad aiutarvi, se ne avete bisogno,» proposi, sempre continuando a cercare i miei stivali, che sembravano essersi smaterializzati nel nulla. In realtà, la mia era una proposta leggermente interessata. Non avevo voglia di passare la serata da sola. Sapevo già che mi sarei annoiata, e perfino stare a compilare delle carte sarebbe stato meglio delle ore di solitudine che mi si prospettavano davanti. Avevo bisogno di stare in compagnia. Certo, sarei potuta andare al bar, ma di sera c'era sempre tanto chiasso e l'ambiente non era troppo godibile. Avrei anche potuto chiedere a Jasper di trascorrere la serata con me, ma sospettavo che in qualche modo la nostra conversazione si sarebbe tramutata in un dibattito riguardante qualche pratica medica particolare. Era così entusiasta di venire a conoscenza di nuove informazioni, era praticamente una macchina da guerra. Immagazzinava dati senza sosta, come un automa; e non ne aveva mai abbastanza. Io, invece, di parlare di medicina - non credevo che lo avrei mai pensato - non ne potevo più. In parte mi faceva stare male, perché non sapevo se sarei mai tornata a praticarla, e mi serviva una piccola pausa, per "depurarmi", schiarirmi le idee e rilassarmi. Quindi, anche Jasper era escluso. Mi restavano solo Sabo e Koala.
«Non c'è bisogno che ti scomodi. È tutta roba noiosa, preferisco risparmiarti questa tortura,» mi disse il biondo, risvegliandomi dai miei pensieri. «Però, possiamo fare qualcosa di divertente dopo che avrò finito,» suggerì con malizia.
Sebbene fossi girata di spalle, ero sicura che stesse ghignando. Alzai gli occhi al cielo, scossi la testa e sbuffai una risata. Se con il dottore in erba il discorso ricadeva sempre sulla medicina, con il fratello di Rufy ricadeva sempre sul sesso. Non che mi dispiacesse troppo: Sabo era uno che si stufava facilmente delle situazioni, e il fatto che dopo due mesi non si fosse ancora stufato di me e delle nostre notti - ma anche mattine e sere - di fuoco, mi rendeva in qualche modo orgogliosa e felice. Non avrei saputo spiegare il perché, però.
«Non è che hai visto i miei stivali?» indagai, continuando a cercare i miei anfibi scomparsi misteriosamente. Non c'era bisogno che replicassi alla sua offerta, entrambi sapevamo perfettamente quale fosse il mio pensiero a riguardo. Era più urgente trovare le mie scarpe.
«Prova a guardare sotto il letto,» mi consigliò distrattamente.
Mi sporsi e scostai il lenzuolo. Eccole lì. Dovevo avercele spinte senza accorgermene, nell'impeto del momento di passione intercorso tra me e il Rivoluzionario. Non che ciò mi sorprendesse. Era sempre così. Le recuperai e me le infilai, poi mi diressi svelta verso la porta. Dovevo farmi una doccia prima di vedere il Grande Capo.
«Allora? Come rimaniamo?» chiesi al mio interlocutore, che era in piedi e si stava mettendo il cappello a cilindro.
«Passo io quando ho finito.»
Annuii senza aggiungere altro, dopodiché uscii e me ne tornai in camera mia, sperando che nessuno mi vedesse transitare per il corridoio.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now