Sangue freddo

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C'era da dire che essere invisibile agli occhi di quei maledetti cacciatori di taglie era un enorme vantaggio. Ero riuscita a condurli al ponte, ora dovevo "semplicemente" cercare di spingerli in acqua con le ultime energie che mi restavano. Però, iniziavano ad essere stanchi anche loro, e sospettavo che prima o poi avrebbero ceduto.
Mi avevano gridato "Strega!" un paio di volte. Questo mi aveva riportato alla mente il primo incontro che avevo avuto con i sei pirati, nella mia sala da pranzo. Anche Usop mi aveva additato come una strega, e questa storia doveva finire. Non ero una strega, né tantomeno un'eretica: ero semplicemente una persona che aveva avuto sfiga ed ora si stava avvantaggiando della propria particolare – e precaria – situazione per salvarsi la pelle.
Stavo combattendo con il più grosso, che ora si trovava in difficoltà. Del resto, quei due non vedevano me, vedevano solo un'ascia che si muoveva apparentemente da sola, e questo bastava per farli andare in confusione. Loro non sapevano dove colpire, mentre io sì.
Schivai l'ennesimo colpo a vuoto che lanciò il cacciatore di taglie e contrattaccai. L'uomo parò il mio attacco con la sua mazza chiodata, ma io non demorsi: mi allontanai con un balzo, tirai fuori dallo stivale uno dei pugnali – che ero riuscita a recuperare nella corsa selvaggia verso il ponte – e lo colpii alla mano. La sua arma cadde inevitabilmente a terra e lui si lasciò sfuggire un lamento di dolore. Raccolsi la mazza e non mi feci problemi a buttarla in acqua. Ora era disarmato e spaesato. Il suo amico provò ad aiutarlo scagliando colpi a casaccio con la sua spada, ma non fu né furbo, né efficiente. Rimisi il coltello nell'apposita tasca e, con la parte piatta dell'ascia, colpii il cacciatore più grande un paio di volte, per stordirlo: prima allo stomaco, poi al viso. Gli resi pan per focaccia quando gli feci sputare saliva, così come avevo fatto io durante la battaglia di Rethgif. Quando ritenni di averlo intontito abbastanza, lo spinsi di lato, verso il parapetto di pietra del ponte. Perse l'equilibrio, ma non cadde. Aveva bisogno di un ulteriore aiuto, a quanto pareva. Feci appello a quelle che erano le mie ultime forze, gli diedi un'altra spinta e, nel momento in cui sembrò essere più instabile, mi abbassai, gli afferrai i piedi e gli tirai su le gambe. L'altro uomo, nel tentativo di aiutare il suo compagno, sferrò un rapido colpo di spada che schivai all'ultimo momento, per miracolo, scansandomi sulla destra. Involontariamente, colpì proprio l'amico, che emise un ultimo rantolo di dolore prima di cadere giù. A debita distanza, lo osservai precipitare per una trentina di metri, finché non lo vidi sparire sotto il pelo dell'acqua. Feci una smorfia, sinceramente dispiaciuta per l'uomo, che era andato giù di testa. Se non altro non avrei avuto sensi di colpa, visto che la responsabile per la sua presunta morte non ero io.
«Noel!» gridò disperato il suo compare, che come me aveva osservato il suo "tuffo" sporgendosi dalla ringhiera. Seguirono una serie di pesanti insulti rivolti a me, promesse di vendetta per i suoi due compagni caduti – l'ultimo letteralmente – e imprecazioni estremamente rabbiose e poco eleganti.
Strinse la daga che aveva nella mano e si scagliò con violenza nella mia direzione. Aveva capito come fare per colpirmi. In un altro momento avrei anche potuto esclamare "era ora!", ma ne andava della mia vita, e non mi sarei di certo complimentata perché quella sottospecie di organismo monocellulare allo stato larvale era riuscito – dopo secoli – a capire che doveva puntare alla mia Mr. Smee. Colpiva con così tanta rabbia e forza che pensavo che mi avrebbe spezzato l'ascia e forse anche un polso. Ero indietreggiata di molto per parare i suoi attacchi, ora eravamo all'inizio del ponte. Non ci voleva. Se non potevo spingerlo in acqua, non lo avrei mai battuto. Tutto ad un tratto sembrava che avessi risvegliato un demone. Non mi dava nemmeno il tempo di contrattaccare. Potevo solo continuare a difendermi finché non si fosse stancato troppo. Al primo spiraglio di tregua, dovevo attaccarlo e finirlo una volta per tutte.

Continuammo a combattere per un paio di minuti. A qualcuno come Rufy sarebbero sembrati pochi, ma per me furono due minuti lunghissimi, di strenua resistenza.
Colpiva, colpiva e colpiva, senza smettere mai. Cominciavo a pensare che avrei ceduto prima io di lui. Avevo il fiatone, e stavo sudando. Quando fui sul punto di cedere, lo vidi. Esitò. Stava iniziando a perdere energia anche lui. Non aspettai nemmeno un secondo e lo attaccai. Indietreggiò di qualche passo. Era ricurvo in avanti, il machete abbandonato in una mano ora toccava terra. Lo colpii alla testa con la parte piatta delle lame dell'ascia e lui cadde da un lato, appoggiandosi al parapetto del ponte. Scosse la testa rapidamente cercando di riprendersi, sputò e poi si rimise dritto, pronto a colpire di nuovo. Stavolta, però, non glielo avrei lasciato fare. Dovevo mettere un punto a quella storia, e in fretta, anche.
Ci scontrammo, il tocco delle nostre lame produsse un rumore sordo. "Ora o mai più" mi dissi. Spinsi con tutta la mia forza e lo feci arrivare al bordo del ponte. Lui guardò giù per un attimo, poi fece qualcosa di inaspettato. Iniziò a far vorticare il suo machete, costringendomi a fare lo stesso con la mia arma. Riuscii sorprendentemente a parare l'attacco, ma la sua lama scivolò sulla mia gamba e mi fece uno squarcio orizzontale sulla coscia destra. Mi lasciai sfuggire un gemito gutturale di dolore. Ero stata stupida ed imprudente a decidere di sbarcare vestita solo con una canottiera e dei pantaloncini corti. Ora, però, mi aveva fatto decisamente incazzare. Feci qualche passo indietro, fino ad arrivare al corrimano dall'altro lato del ponte – che non era molto largo – per prendere la rincorsa. Poi, premetti il pulsante con il numero 4 sul bastone dell'ascia e puntai alle caviglie di quello che ben presto sarebbe diventato uno dei tanti malcapitati. Le lame si staccarono dal resto dell'arma e la catena si attorcigliò attorno alla sua caviglia sinistra. Proprio in quell'attimo corsi verso l'uomo, che aveva osservato la scena con un'aria molto perplessa e stupita e, quando gli fui molto vicina, tirai Mr. Smee verso di me. Perse l'equilibrio e si ritrovò gambe all'aria, con la schiena appoggiata sul parapetto del ponte. La sua spada era stata scaraventata a qualche metro da noi. Non sprecai altro tempo ed iniziai a spingerlo con la spalla destra per buttarlo in acqua. Sembrava che stessi tentando di sfondare una porta, ma in realtà la situazione era ben più imbarazzante, visto che avevo il gomito sul suo sedere. Tuttavia non ci badai molto e continuai a spingere. Le sue mani erano aggrappate alla pietra della ringhiera, non avrebbe mollato tanto facilmente. Ma nemmeno io lo avrei fatto, non ora che ero sul punto di riuscire nella mia impresa. Con un ultimo sforzo premetti la mia spalla contro il corpo del cacciatore di taglie più che potei e, contemporaneamente, feci una cosa orribile. Colpii la sua mano con l'ascia. Nel momento in cui la lama toccò le sue dita, emise un grido di dolore. Gli tranciai indice e medio di netto e il sangue cominciò a sgorgare copioso dalle sue ferite fresche. Staccò istantaneamente la mano dal parapetto, mentre io ebbi un conato. Però, dovetti rimandare a dopo tutto il mio disgusto e concentrarmi su quel momento. Perché, ora che non aveva più una presa salda sulla ringhiera, con un'ultima, potente spallata potei farlo cadere giù dal ponte.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now