Dolci ricordi

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Isola Fuyuka.
Una settimana prima.

Non sapevo che dire. Ero sorpresa, basita, quasi commossa.
«Tu... tu hai... tutto questo... è per me?» gli chiesi, ancora sconvolta. Facevo fatica ad immaginare che lo spettacolo che avevo di fronte fosse reale. E soprattutto che fosse destinato a me.
Non mi guardò. Si limitò a fissare dritto davanti a sé e a sogghignare. Sembrava divertito dal mio stupore. Stupore che però era del tutto lecito. Anzi, se lo sarebbe dovuto aspettare.
Di fronte a noi c'era un hotel di lusso, completamente deserto al suo interno. Non c'era nessuno, nemmeno il personale. Aveva scacciato tutti gli abitanti di quell'isola, terrorizzandoli e minacciandoli. E tutto perché quel giorno era il mio compleanno. E, anche se Law non me lo aveva detto a voce, voleva che io avessi un giorno speciale. Era riuscito a mandare via i residenti di un'intera isola. Per me. Che cosa gli era successo? Come mai faceva tutto questo, all'improvviso? Non era da lui. Non era da lui fare gesti così eclatanti, né dare importanza ai compleanni. Quindi, perché lo faceva? Era davvero lui a volerlo? O era stato costretto da qualcuno? Magari nel suo corpo si era introdotto un parassita alieno che l'aveva reso malleabile e dolce come il miele. Oppure era semplicemente impazzito. Se era così, dovevo ammettere che la sua "versione pazza" mi piaceva.
Una folata di vento gelido mi penetrò fin dentro le ossa e mi costrinse a stringermi nelle spalle. Era un'isola invernale, il freddo si faceva sentire. Il Capitano mi fece un rapido cenno con la testa in direzione della porta e ci avviammo verso l'ingresso dell'albergo. Quando varcai la soglia, quasi mi si slogò la mascella per l'ampiezza con cui spalancai la bocca. Era uno spettacolo incredibile. Davanti a noi c'era una stanza enorme con otto divani bianchi disposti in forma di due quadrati – ognuno di essi faceva da "lato" che ne delimitava il perimetro – attorno a dei tavolini da aperitivo. Al centro della stanza, penzolante dal soffitto, c'era un enorme lampadario ornato d'oro e con gocce di cristallo che illuminava l'intera hall, impreziosita da quelli che ero sicura fossero quadri antichi e da pavimenti in marmo. Non avevo mai visto un hotel di lusso, non in quel mondo almeno. Anche se, per quanto mi riguardava, potevamo anche andare in una topaia sporca e puzzolente. Mi sarebbe andato bene lo stesso, pur di festeggiare il mio compleanno in allegria e con i miei amici.
«Ognuno si scelga una camera e si vada a preparare! Ci rivediamo qui alle otto in punto!» ordinò Penguin, contento come non mai.
«E per quanto riguarda voi due,» si rivolse a Maya e Omen, posando una mano sulle loro spalle, mentre il resto della ciurma si dileguava ai piani di sopra. «Tenete d'occhio l'orologio, mentre siete impegnati a fare altro. Non potete tardare, dobbiamo festeggiare il compleanno della nostra Cami!» esclamò ammonendoli, ma facendo loro l'occhiolino subito dopo.
Dovevo ammettere che sentire un mio compagno dire "la nostra Cami" mi aveva scaldato il cuore, e non poco. Fu la frase ideale per riscaldarmi in mezzo a quella bufera di neve.

Scesi la rampa di scale molto lentamente. Quella era una delle poche volte in cui mettevo i tacchi e dovevo stare attenta a non cadere. In più, per una volta che ne avevo l'occasione, volevo fare un'entrata in scena degna di una principessa. Fremevo di agitazione, ma ero contentissima. In fondo alla scalinata mi aspettavano tutti i miei compagni. Ero in ritardo, come al solito, ma quella volta era un ritardo pianificato. Mi fissavano tutti con sguardo meravigliato, in particolare Shachi e Penguin, che erano sempre i Sanji della situazione, se non fosse stato per il poco tatto nel comunicare il loro apprezzamento.
Presi un respiro profondo e con un gran sorriso finii di scendere gli ultimi tre scalini. Non ero né inciampata, né caduta. Questo era un gran traguardo per me. Raggiunsi i miei compagni, che non risparmiarono i complimenti – soprattutto i due sopracitati e Ryu – e mi fecero gli auguri. Li ringraziai un po' imbarazzata, ancora non potevo credere che avessero organizzato tutto quello per me. Quando la folla si aprì, lo vidi. In fondo, dietro a tutti gli altri, c'era il mio Capitano. Era vestito nello stesso modo in cui era vestito a Punk Hazard, con il cappotto lungo e nero e i jeans blu maculati. Aveva perfino lo stesso cappello di sempre. Però aveva poggiato la sua nodachi su uno dei tanti divani della hall. Mi stava sorridendo. Non era il suo solito ghigno arrogante, era un sorriso più morbido, ma sempre impertinente. Mi avvicinai a lui e gli sussurrai un "grazie" sentito.
«So che dovrei sempre indossare la mia divisa, ma per stasera possiamo fare un'eccezione?» gli domandai con voce suadente.
«Vuoi far penare i miei uomini anche oggi, con questo vestito?» chiese lui a sua volta, con un po' di arroganza.
Abbassai la testa nel tentativo di scrutare il mio abbigliamento. Per l'occasione, avevo messo un vestito che avevo comprato qualche mese prima in una delle isole su cui eravamo sbarcati. Dovevo ammettere che era un vestito abbastanza provocatorio e sexy. Era di un rosso vivo, come le scarpe, di seta, lungo e abbastanza scollato, con un ampio spacco che mi lasciava scoperta tutta la coscia destra. Per fortuna ero riuscita a nascondere la cintura metallica sotto l'abito e si intravedeva appena. Dal momento che mi era rimasta la cicatrice dopo la colluttazione con i cacciatori di taglie su Lyborn e quel giorno non volevo che mi si vedesse, avevo comprato una giarrettiera dello stesso colore e tessuto per coprire lo sfregio. Non era affatto maliziosa come si poteva pensare, anzi, io l'avevo trovata molto carina. La fascia era a balze e vi era perfino un piccolo fiocco con dei minuscoli Swarovski al centro. Mi piaceva come mi stava, mi faceva sembrare più matura, più sensuale, più donna.
Sogghignai divertita. «Cosa c'è? Non ti piace? Oppure è troppo persino per te?» volli sapere, con una punta di provocazione negli occhi.
A quel punto alzò un sopracciglio e si avvicinò a me. Eravamo a pochi centimetri di distanza. Lo vidi allungare una mano verso la mia coscia e afferrare la giarrettiera con un gesto repentino. Per evitare che la strappasse fui costretta a fare un passo verso di lui. Data la mia goffaggine, aumentata sensibilmente con i tacchi, dovetti appoggiarmi alle sue spalle per non cadere a terra come un sacco di patate. Lo guardai esterrefatta. Che diamine stava cercando di fare!? Voleva uccidermi? Se così fosse stato, avrebbe potuto farlo anche senza tutta quella messa in scena. Una cosa era certa: se mi avesse strappato la giarrettiera lo avrei ammazzato prima io.
Diede una fugace occhiata alle mie mani, che tolsi immediatamente dalle sue spalle per non rischiare l'amputazione, e poi tornò a fissare me. Eravamo ancora più vicini. Sentivo il suo respiro sulla fronte – a causa della nostra differenza d'altezza – e potevo vedere i suoi occhi grigi guizzare divertiti. La sua mano tirava ancora la stoffa della giarrettiera. Doveva essere stato quello il momento in cui ci avevano scattato la foto. Quegli ignobili reporter non avevano capito niente. Se non altro avevano avuto la decenza di non farsi notare e di non venire a rovinarmi la festa, ad esempio chiamando la Marina.
«Sei un pirata. Non hai bisogno di nascondere le tue cicatrici. Anzi, dovresti andarne fiera,» soffiò serio, ma allo stesso tempo divertito. Poi, con un rapido e delicato movimento della mano, mi fece scivolare la giarrettiera fino alla caviglia. Come avesse fatto non ne avevo idea. Era un mago. Aveva davvero le dita magiche come pensavo. Dopo l'iniziale stupore, mi piegai e spostai la gamba per raccoglierla da terra.
«Tieni. È tua. Se ci tieni tanto, te la regalo,» sussurrai con maliziosità, porgendogli il pezzo di stoffa rossa.
Sbuffò una risata e per un po' nessuno dei due disse niente. Ci limitammo a guardarci con provocazione e complicità.
«E comunque, se la metti così, anche io devo farti un appunto sul tuo abbigliamento.» Mi guadagnai lo sguardo incuriosito del chirurgo. «Non si indossa il cappello in un luogo chiuso, è maleducazione,» lo avvertii, agitandogli l'indice sotto il naso.
«E poi, è il mio compleanno. Almeno per oggi devi soddisfare le mie richieste. Non nascondere il viso sotto una visiera,» aggiunsi infine, con un tono un po' più dolce di quanto mi sarei aspettata. Evitai di toccarlo, però. Le sue reazioni erano sempre imprevedibili e non volevo rovinare quel momento, né perdere qualche arto. Sebbene avesse lasciato da parte la sua Kikoku, avrebbe potuto fare chissà quale magheggio ed io mi sarei ritrovata la testa al posto del lampadario. Ero un chirurgo, e mi servivano tutte le parti del corpo al posto giusto.
Gli diedi un'ultima, eloquente occhiata, prima di girarmi e dirigermi verso il piano bar, che era già stato preso d'assalto dai miei due compagni di bevute. Prevedevo che sarebbe stata una serata interessante.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now