Insonnia

325 30 24
                                    

Non riuscivo a dormire. Non solo perché l'effetto dell'antidolorifico stava svanendo e di conseguenza il dolore alla gamba stava tornando, ma anche perché ero tormentata da mille pensieri. In più, l'idea di avere un ago conficcato nella vena del braccio non mi faceva stare affatto tranquilla. Finché ero stata in compagnia di Marco ero riuscita a non pensarci, ma quando se ne era andato, lasciandomi sola, in testa avevano iniziato a vorticarmi tante cose. E in parte era colpa sua e di quello che mi aveva detto.
Aveva iniziato a raccontarmi che dopo la Guerra dei Vertici e la morte di Ace e Barbabianca, a lui e a quel che restava della sua ciurma, non era andato bene niente. Questo era prevedibile, e in parte lo sapevo. Sapevo che il tentativo di vendetta su Barbanera non era andato a buon fine e sapevo anche che tante persone li stavano cercando e inseguendo. Alcuni volevano le loro taglie, altri volevano solo avere il piacere di ammazzare dei membri di una ciurma che prima era tanto rinomata. Erano braccati e per loro non c'era un attimo di pace, ovunque andassero. Per questo avevano deciso di rifugiarsi lì, su Lyborn. Conoscevo la ciurma di Barbabianca, e sapevo bene che non erano i tipi che si tiravano indietro dinnanzi ad un combattimento. Era per questo che ero preoccupata. Marco non me l'avrebbe mai detto, né dato a vedere, e se gliel'avessi fatto presente io non l'avrebbe mai ammesso, ma io lo avevo guardato negli occhi e lo avevo visto. Avevo visto la stanchezza che aveva addosso. Era tanto stanco. Era esausto. E non sarebbero bastati un paio di giorni a letto per farlo riprendere. Sulle spalle portava un peso enorme, e non ce la faceva più. Sospettavo che avesse un po' lasciato andare tutto e che, in parte, si fosse arreso. Quella notte ero stata davvero molto in pena per lui. Non volevo che soffrisse, e non potevo sopportare che cadesse a pezzi, per quanto tentasse di nasconderlo. Dovevo fare qualcosa, ma non sapevo davvero cosa.

Inspirai a fondo l'aria che mi circondava e la buttai fuori con un potente sbuffo. Erano passati quasi due anni dall'ultima volta che avevo visto Marco, ma non era cambiato affatto. L'unica cosa che era diversa, era la sua faccia. Beh, non proprio la sua faccia, ma l'espressione su di essa. La Fenice aveva un viso vispo, che traboccava di arroganza, alla stessa maniera in cui la figura di Shanks il Rosso traboccava di ambizione. Mi ricordavo bene la prima volta che lo avevo visto, disegnato impeccabilmente in una delle tante tavole del manga. Avevo pensato subito che lui sarebbe diventato uno dei miei personaggi preferiti e che avesse un gran potenziale, ma avrei anche voluto prendere a schiaffi quella sua faccia così sfrontata e altezzosa. Sbuffai una risata e scossi la testa al ricordo. Perché, purtroppo, di quello si trattava. C'era qualcosa che non andava in lui, adesso. I suoi occhi erano spenti, stanchi, esausti. Quella dipinta sul suo volto non era più un'espressione arrogante e sicura, era l'espressione di un uomo rassegnato.
Non sapevo per quale motivo, mi chiesi se avesse festeggiato il suo compleanno. O se non lo avesse fatto perché per lui non c'era niente da festeggiare o perché nessuno se lo era ricordato, oppure perché, se anche i suoi compagni se lo fossero ricordato, erano tutti troppo impegnati a fare altro. Magari stavano combattendo contro l'ennesimo nemico che voleva le loro teste, o stavano fuggendo dinnanzi a un Ammiraglio della Marina e alle dieci navi da guerra che volevano catturarli. Marco era potuto rimanere poco e non aveva potuto – o meglio, non aveva voluto – raccontarmi molto. Ma io volevo e dovevo sapere.

Girai la testa: accanto a me, il letto a due piazze era vuoto. Deglutii e strinsi le lenzuola tra le dita, preoccupata e frustrata perché in quello stato non avrei comunque potuto fare nulla, almeno per un po'. Non sarebbe stata una mossa intelligente quella di avventurarsi in giro per Lyborn con una ferita alla gamba aperta. E poi, ero stupida solo fino a un certo punto. Quell'isola non era affatto deserta, e chissà che brutti ceffi o brutte bestie giravano di notte. Avrei dovuto capirlo dai tempi di Punk Hazard che quando Law diceva che su un'isola non c'era nessuno al di fuori di lui – e in questo caso anche del resto della ciurma – non c'era da fidarsi.
Sospirai, per la millesima volta quella sera. La pallida luce della luna illuminava la tenda, il cui ingresso non era stato chiuso. La fissai. Quella notte era piena. Era così grande, così bella, così luminosa. Fu come se fosse riuscita d'improvviso a liberarmi la testa da tutti quei pensieri angoscianti. Da quando ero finita lì, la mia intera esistenza era stata stravolta, ed erano cambiate tante cose... ma, per fortuna, il cielo era rimasto lo stesso. Questo mi infondeva un po' di speranza e mi faceva sentire più vicina ai miei cari, che avevo perduto per sempre. Mi piaceva pensare che stessimo tutti sotto la stessa volta celeste e che ciò, in qualche modo, poteva alleviare il loro dolore.

Lost girl - ONE PIECEWhere stories live. Discover now