Gazpar - Capitolo IV

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"Una cosa mi consola: che alla più prodigiosa delle scoperte sia stato dato il mio nome. Così, ogni volta che quei perversi e aberranti errori di Natura pronunceranno atterriti sottovoce il suo nome, pronunceranno il mio; temendola, temeranno me. E quando verranno messi a giudizio, e si contorceranno negli ultimi spasmi dell'agonia, maledicendo la mia creazione, malediranno me. E io gioirò."
- Fosco Zante, Quaderni di Laboratorio, ultima nota

L'abbiamo preso.
Cazzo sì, non ci credo ancora, devo ripetermelo un'altra volta per essere convito: l'abbiamo preso, quel gran bastardo figlio di puttana.
A dire il vero era già da un po' che il mio sesto senso era in allarme, e precisamente da quando Mo è tornato tra i vivi. Che poi, pare dai vivi non si sia mai allontanato. È tanto vivo che nell'Altrove ci ha spedito Eno, pace all'anima sua.
Comunque sia, quattro giorni fa mi è arrivata la gran notizia, per lettera: McGuffin aveva avvistato uno che poteva essere Hu nei meandri dei bassifondi di Huruq Hada, in Hisule. Avrebbe continuato a pedinarlo, riportava il messaggio, per quanto Huruq Hada sia nota per la sua peculiare abilità nel far sparire le persone più velocemente di un drillovoro affamato, specie se ci si inoltra all'interno del suq. In più, Hu dei Dodici è rinomato per la sua capacità nel fiutare eventuali pedinatori ed evanescere senza lasciare tracce.
Non avevo ancora terminato di leggere la missiva, che già avevo afferrato cappa e spada, e mi stavo scapicollando giù dalle scale della Gendarmeria Centrale, urlando a gran voce i nomi dei miei sottoposti.
Il messaggio di Ian era stato spedito una decade prima. Con un pizzico di fortuna, forse saremmo arrivati in tempo.

I viaggi in aerofante sono comodi e lenti. Se ci si deve spostare in fretta, affidarsi a un artéfice è la soluzione più semplice, anche se non propriamente la più economica.
Un paio di abracadabra, due tricchettracche, un po' di fumo negli occhi, et voilà, ci siamo ritrovati catapultati dalla civile Suus all'esotica Huruq Hada, con una ventina di gradi in più sul termometro, una trentina in meno di latitudine, e altrettante decine di danari volatilizzatesi dal mio borsello.
Mi sono scostato dal sigillo in oricalco incastonato nelle piastrelle di tufo, per consentire agli altri di raggiungermi dal Terzo Continente. Cosa che han fatto di lì a pochi secondi. Arijanne s'è accucciata per terra e ha vomitato: tale effetto non è infrequente, per i deboli di stomaco che si affidano alla Maraviglia del Celere itinerario.
Jo e Glasgo non erano mai stati tanto a Sud, e fissavano con aria a metà tra lo smarrito e l'estatico la città che si stendeva ai loro piedi (ci trovavamo infatti sulla cima di una bassa collina): l'assolata Huruq Hada, ricco polo mercantile sulle sponde occidentali dell'Hisule. Huruq Hada, con i suoi emiri e sceicchi, i suoi califfi e il suo sultano; patria di dèi profani, dove le botteghe del macellaio, del cerusico e del trumpere si avvicendano senza logica né soluzione di continuità. Huruq Hada, dove il vociare della folla si confonde con gli strepiti dei venditori ambulanti e i ragli dei trimedari. Sui piatti tetti delle bianche case è ancora possibile cogliere, di tanto in tanto, uno scintillio dorato, fugace reminiscenza della pioggia di danaro che Hu fece piovere sopra la città anni orsono.
Huruq Hada, dove, che io potessi essere gettato nella Geenna se così non fosse stato, avremmo definitivamente chiuso la partita con Hu.

Ian McGuffin ci aveva dato appuntamento in una fumosa locanda nel centro di Huruq Hada. Lo trovammo là, mentre si guardava intorno con aria circospetta, adagiato su cuscini variopinti, fingendo di fumare oppio da uno sciscia d'argento riccamente istoriato.
Per non dare troppo nell'occhio, lungo la strada avevamo acquistato un paio di turbanti, un burqa per Arijanne e un tappeto, per avvolgerci dentro gli attrezzi del mestiere che in fretta e furia avevamo recuperato dalla Gendarmeria: un paio di balestre, siringhe e sedativi, un'asta di Fløngën... e soprattutto, un'ampolla colma di zante.
Arijanne ci aspettava fuori dal locale, sia per fare da piantone, sia perché le donne non sono ammesse all'interno delle fumerie e dei luoghi di ritrovo per uomini. Gran cosa, l'Hisule occidentale. Burqa a parte.
Io e i miei compari ci siamo accomodati, prendendo silenziosamente posto accanto a Ian. Costui ci ha guardati per un breve istante, poi con il bocchino dello sciscia ha indicato un poco più in là. Ho seguito con lo sguardo il suo gesto, e il mio cuore ha fatto un tuffo carpiato triplo da dodici cubiti d'altezza. Che il demonio mi dannasse se quello non era Hu dei Dodici. Senza baffi spioventi e con i capelli praticamente a zero poteva avere buone chances di passare inosservato a occhi meno attenti, ma io avevo passato notti intere a inseguirlo in sogno, e conoscevo meglio la sua immagine della la mia riflessa allo specchio. Anche perché non sono una gran bellezza, e le superfici riflettenti se posso le scanso.
A renderlo più riconoscibile c'era poi la sua strana mania di girare a torso nudo, indossando solo delle lunghe brache di seta a sbuffo.
Mi sono voltato verso Ian, ammiccando in segno di ringraziamento e d'intesa, ma era sparito. La cannula dello sciscia penzolava, fumigante e abbandonata, oscillando lentamente avanti e indietro.
Ho guardato Jo e Glasgo, che di rimando si sono stretti nelle spalle con fare rassegnato.
Quel McGuffin è meglio avercelo come amico.
Cercando di dare meno nell'occhio possibile, abbiamo estratto tutto dal tappeto. Quindi, con la sicurezza data dalle infinite sessioni di simulazione, io e gli altri abbiamo agito in concerto.
Hu sedeva di tre quarti rispetto a noi, perso nei fumi dell'oppio e dei cannabinoidi di cui il suo sciscia era pregno. Senza che nemmeno se ne rendesse conto, gli balzammo addosso.
Glasgo gli si gettò sopra, quatto e letale come uno zaffo volante candaliano, immbobilizzandolo mentre lo bendava per impedire che potesse teletrasportarsi altrove. Nel contempo, Jo agitava la lunga asta, in cima alla quale aveva appeso la fiala di zante.
Il mio compito, siringa alla mano, era quello di iniettargli del sedativo, e farlo rapidamente. Ne avevo scelto uno a prova di immunizzazione: succo di loto, limone e penthanol; un ventesimo di oncia stende un aerofante. Per precauzione, gliene sparai in vena tre decimi abbondanti.
Prima che potesse rendersi conto di quel che gli stava accadendo, Hu dei Dodici era scivolato dalle braccia del dio Oblio a quelle di Morfeo.

AgapantoWhere stories live. Discover now