Mo - Capitolo XIII

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All'inizio erano solo voci, mormorii della plebe, di quelli che si fanno nelle stalle la sera o sotto pesanti coltri di coperte, sicuri che nessuno potrà mai udire chiacchiere tanto frivole quanto scomode.
Stando a suddetti cicalecci, Mo era vivo.
«Non ne ho mai dubitato!» sostenevano i bugiardi. «Quello è figlio di un grozo e di una strega!»
«Sono solo voci» ci tenevano a precisare i dubbiosi.
«Il cugino del cognato dello zio di mia nuora dice che il vecchio Barr giura di averlo visto: l'altra notte ha scorto nei campi una sagoma alta e possente, non poteva che essere la Bestia!» spergiuravano i pettegoli.
«Quel vecchio Barr? Barr l'Imbriacone, meglio conosciuto come Barr Barile di vino? Stiamo freschi!» ci ridevano sopra i realisti. «Una sagoma possente? Conoscendo Barr, era una bottiglia di whisky o di birra?»
Sebbene rimanga incerto cosa il vecchio Barr avesse veduto quella notte, non si può negare che le segnalazioni riguardanti Mo si fecero sempre più frequenti, giungendo in particolar modo dalle terre di frontiera, dai crocevia sperduti e dalle locande alle estreme propaggini del Terzo Continente Settentrionale. Un banchiere asserì addirittura che Mo fosse passato presso il suo banco di guadagno, una notte, per ritirare una grossa somma di denaro che qualche tempo prima un discepolo del Gigante aveva depositato.
Infine, gli avvistamenti divennero sì costanti che anche i titubanti non poterono far altro che ammettere la spiegazione più logica: Mo era davvero tornato dal regno della morte, e ora si aggirava circospetto lontano dai centri abitati, per qualche bizzarra ragione.
Ragione che chiariremo immediatamente: pare che lo scontro con Hu dei Dodici lo avesse severamente provato, costringendolo a un lento recupero delle forze. La figura mastodontica avanzava macilenta attraverso campi e sentieri la notte, per rifugiarsi in grotte, ostelli e stalle durante il giorno, al sicuro dalla luce solare. Se a qualcuno dovesse sorgere il giusto dubbio che Mo fosse stato tramutato in uno strigoi, ebbene, dipaneremo subito tale dilemma: no, non lo era stato. C'è un dettaglio che ancora non vi abbiamo svelato: Mo teneva l'occhio sinistro chiuso. A chi ebbe modo di incontrarlo quel particolare rimase impresso, giacché mai si era udito che Mo avesse subìto ferite degne di nota in combattimento. Ciò che interi eserciti non avevano potuto, Hu aveva compiuto in un solo scontro.
Per questo motivo, forse infastidito dalla luce diurna, o più probabilmente per non mostrare al mondo il fatto d'esser guercio, Mo prediligeva spostarsi durante le ore notturne. Infine, si fabbricò una benda nera fatta con stracci laceri, se la pose sull'occhio a mo' di bucaniere navigato, e tornò ad aggirarsi per contrade più trafficate. Con tutto questo, era passato quasi un anno dalla sua prima scomparsa.
Il popolo ha memoria breve (ben lo sapeva re Spanhi V) e presto quell'inusitato accadimento fu obnubilato da una nuova, più inquietante notizia: pareva che il Granduca Foyers avesse deciso, una volta per tutte, di fermare Eno la Moltitudine. I soliti ciangottii – che invero parevano assai affidabili – riferivano che i Foyers avessero speso una vera fortuna nel reclutare bruti prezzolati, artéfici, cavalieri e sabotatori da tutti i Continenti. Cosa sperasse di ottenere il Granduca con una manovra del genere è chiaro: fama, un posto nei libri di Storia, influenza politica, rispetto, onorificenze. Oltre naturalmente scongiurare l'eventualità futura che i Mirabeau potessero assoldare Eno contro i Foyers. Risaputo è che egli era una persona tanto ambiziosa quanto previdente.
Gli abitanti del Granducato giustamente si sentivano angustiati all'idea che il flagello di Eno potesse abbattersi sulle loro terre, richiamato dal loro stesso signore per di più: praticamente un suicidio annunciato. Il Granduca – ora possiamo dirlo, ingenuamente – confidava nel potere del danaro, e in ciò che l'oro dei suoi forzieri gli aveva procurato: oltre ventimila guerrieri, veterani di battaglia, radunati insieme per uccidere quello che, alla fin fine, non era che un solo uomo.

Il Karma volle arridere ai Foyers.

La vigilia dello scontro, Mo si presentò al Granduca. Entrò nella sala delle udienze dalla porta principale, senza attendere di essere ricevuto. I suoi piedi nudi rimbombavano ovattati sui tappeti istoriati stesi lungo tutta la grande sala. Il Granduca lo accolse alzandosi dal suo scranno, posto in cima a una corta scalinata patinata d'oro massiccio. Le loro teste si trovavano alla stessa altezza.
«Domani, voglio essere io ad affrontare Eno a tuo nome» disse Mo senza inginocchiarsi.
«Ti conosco, Mo, e so bene quale sia la tua abilità in guerra. Ma so anche che chiedi molto danaro per i tuoi servigi, e io l'ho già impegnato tutto per radunare l'esercito che hai visto accampato ai piedi della mia roccaforte» rispose il Granduca.
«Non desidero alcun compenso» replicò Mo. Il Granduca, uomo avido e callido, pensò di cogliere l'occasione.
«In questo caso, sii il benvenuto nei miei ranghi. Considerata la tua possanza, penso potremo trovarti un posto fra gli assaltatori. Va' a riposarti ora, e benvenuto. Ciambellano, accompagna...»
«Non hai capito» lo interruppe Mo. «Voglio affrontare Eno da solo. Richiama dunque il tuo esercito, e lascia che sia io soltanto a fronteggiare l'Eimnos.»
«Tu sei un guerriero valoroso, Mo. Ma per quanto tu sia forte e famoso, non potrai mai compiere l'impresa che speri. E io non getterò al vento il mio oro, lasciando che i miei territori vengano devastati solo per assecondare un tuo capriccio.»
Mo si tolse la benda dal volto. Il Granduca lo fissò negli occhi.
«Capisco» mormorò il Granduca dopo un lungo silenzio. «Sia fatto come desideri.»

AgapantoWhere stories live. Discover now