Mo - Capitolo I

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Mo nacque settimino, in un villaggio senza nome nella Pretura di Ungulion. Ultimo di dieci fratelli, quando la levatrice lo mostrò a suo padre, questi si disperò: il neonato sfoggiava un paio di brillanti occhi neri, e dunque non poteva in alcun modo essere un Eimnos.
Solo le famiglie che annoverano tra i loro membri almeno un Eimnos, infatti, possono risiedere all'interno delle mura di Ungulion, la Grande Madre; tutti gli altri sono destinati a trascorrere la loro esistenza all'ombra delle alte torri affusolate, che dorate svettano per centinaia di cubiti a coprire il Sole con la loro stravagante architettura. Non solo: per antichissima tradizione, nelle Terre Meridionali le famiglie hanno un'impostazione matriarcale. Tutti i diritti derivanti dall'avere un Eimnos in famiglia quindi si estendono solo al ramo materno della famiglia. In altre parole: una figlia femmina, seppur non Eimnos, può ancora garantire una prole Eimnos in futuro, e dunque la residenza a Ungulion per i suoi genitori e fratelli. Un figlio maschio non Eimnos, al contrario, è totalmente inutile. E il padre di Mo di maschi non Eimnos ne aveva ben dieci, di cui Mo era l'ultimo arrivato. Da qui si può ben capire il perché della disperazione del padre. Non si può dire non ci avesse provato: non solo aveva massimizzato le chances di avere figli Eimnos facendo partorire alla moglie il maggior numero di pargoli possibile, ma aveva anche dato a tutti i figli un nome Eimnos, in verità in maniera piuttosto logica ed efficiente – si chiamavano infatti, in ordine: Ei, Em, En, Eo, Es, Im, In, Io, Is, e infine Mo.
Qualcuno potrebbe questionare che, a voler essere il più pignoli possibile, nello sfruttare tutte le lettere a disposizione, aveva tralasciato le combinazioni Ie, Me e Mi prima di arrivare a Mo (escludendo Mn, ovviamente impronunciabile). Tuttavia, prendiamo coscienza del fatto che i genitori di Mo erano entrambi analfabeti, e già così avevano svolto un eccellente lavoro di ottimizzazione della produzione.
Che non era tuttavia servito.
Di sicuro il buon uomo non si sarebbe fatto fermare dal decimo tentativo fallito, e avrebbe proseguito imperterrito nella sua stoica ricerca di un posto al riparo dei turriti bastioni di Ungulion, dove si dice le giornate trascorrano dolci e lente tra mille sollazzi, i calli sulle mani solo un vago ricordo di un sogno quasi dimenticato. L'inconveniente fu però che la madre di Mo, che le storie ricordano senza nome come il villaggio in cui visse per tutta la vita, morì dando alla luce il bambino. Decisamente, Mo non nacque sotto una buona stella.
L'infanticidio non è una pratica ben vista nelle Terre Meridionali, anche negli sperduti paesini della campagna fangosa, e così, appena Mo seppe reggersi sulle gambe, il padre lo condusse fuori, nei campi, e gli insegnò il duro lavoro del contadino. Insieme ai suoi fratelli maggiori, Mo mungeva le vacche, seminava i campi in Primavera e raccoglieva la segale cornuta in Estate; Is e Io gli insegnarono a tosare le pecore, Eo a cacciare le lepri selvatiche, e Im, che già mostrava un'indole ribelle, ad avvicinarsi non visto ai quotz, strappandogli qualche pelo dalla verde criniera prima di fuggire a gambe levate.
Mo comprese ben presto quanto poteva essere dura la zappa, stretta fra le mani durante il dissodamento del campo, o sulla testa quando le buscava dal padre tornato a casa la sera.
«Io non so perché ti percuoto» ripeteva l'uomo durante il rito serale, «ma tu sì.»
C'è da dire che il padre di Mo era un uomo molto metodico e razionale – l'abbiamo già visto all'opera nel dare nomi ai figli –, ed è un vero peccato che sia nato contadino: sarebbe potuto diventare un eccellente alchimista, o chissà, forse un ottimo cerusico, se solo il Karma avesse disposto diversamente i pezzi sulla scacchiera della vita. Ma così è. E se così non fosse stato, oggi probabilmente non potremmo raccontarci l'un l'altro la storia di Mo.
Si diceva, il padre di Mo era metodico, e malmenava in ugual misura ogni figlio, ogni sera lo stesso numero di bastonate, per inculcargli rigore e disciplina e timor di lui. E dunque, da Ei a Mo, ognuno di loro riceveva la stessa dose di brave percosse. Di certo non si risparmiava: anche Ei ne usciva malconcio, e lui aveva ben sei anni più di Mo (come avrete notato, la povera madre non ebbe molto tempo di riposare, fra una gravidanza e l'altra. Ma qui non sapremo mai se lo zelo del padre fosse di carattere scientifico o di altro genere).
Da quel che ci è dato sapere, Mo non ricorda questo primo periodo della sua vita come particolarmente spiacevole, anzi: nonostante tutto, dalle poche parole scambiate qua e là con i viandanti per via, pare lo abbia definito come "Il momento più sereno della mia vita". Capite bene cosa era in serbo per lui lungo le pieghe della Storia.
Verso i cinque anni, nel villaggio scoppiò un'epidemia di colera, e si portò via Eo, In e Io. "Tanto meglio" pensò il padre. "Meno bocche da sfamare, e meno nomi impronunciabili da chiamare la sera."
Quando ebbe compiuto quindici anni, Ei, insieme a Em ed En, si stancò delle carezze sulle spalle da parte del padre. L'infanticidio sarà pure una cosa spregevole per gli abitanti del Meridione, ma lo stesso non pare valere per il parricidio. Così, una sera i tre fratelli maggiori si presentarono all'appuntamento della verga armati di un coltellaccio, e pugnalarono a morte il vecchio. Poi, senza una parola, se ne andarono, abbandonando i quattro fratelli rimasti a contemplare gli ultimi spasmi del padre.
La vita non cambiò molto: le Stagioni continuarono a scorrere, il grano a maturare, le pestilenze a falciare vite.
Probabilmente nessuno al di fuori delle venti anime dell'anonimo villaggio dove viveva avrebbe mai sentito parlare di Mo, se non fosse accaduto quanto ci accingiamo a raccontare.
Accadde quando ebbe compiuto dodici anni. L'Inverno stava sopraggiungendo – un Inverno particolarmente duro, avrebbero ricordato in seguito gli anziani – e Mo era sul limitare della foresta, in cerca di legna. Si era appena inoltrato tra gli alberi per raccogliere qualche ramo, quando la terra iniziò a tremare. E poco dopo arrivò il suono. Mo se lo ricorderà per sempre. Così lo descrisse una volta, in un raro momento di loquacità: «Io ed Es avevamo ricavato un piccolo arco da un giovane ramo di cedro. Facevamo la punta a sottili fuscelli, e scagliavamo le frecce così ottenute contro i leprotti che infestavano l'orto dietro casa. Inutile dirlo, non ne colpimmo mai nemmeno uno. A dire la verità, credo che Es lo facesse apposta. A lui non piaceva tanto l'idea di centrare il bersaglio, quanto il gesto di tendere l'arco e scoccare la freccia. Mi ricordo bene il suono che faceva, Es andava in estasi ogni volta. Come se per un attimo si facesse silenzio su tutto il nostro piccolo mondo. E quando la freccia partiva, sibilante, il tempo ricominciava a scorrere.»
Questo è il suono che Mo sentì: un sibilare come di frecce, a migliaia, e proveniva dal villaggio, mescolato ai muggiti degli animali terrorizzati e alle urla degli abitanti. Rumore di travi spezzate e calpestio di passi nel fango dell'unica strada del paesino.
Poco dopo, silenzio.
Per la prima e ultima volta in vita sua, Mo rimase paralizzato dal terrore. Una parte del suo cervello gli diceva che era in pericolo, di fuggire lontano. Un'altra parte lo spingeva a tornare indietro, a vedere cosa fosse successo. A essere sinceri, non pensava un granché alla salute dei propri fratelli. A spingerlo verso il villaggio era una sorta di pericolosa curiosità. Così fece.
Recenti speculazioni ipotizzano che, nonostante la selvaggia brutalità per la quale è ubiquitariamente noto, Mo possedesse un Q.I. decisamente elevato, altrimenti non avrebbe potuto né sopravvivere così a lungo seguendo lo stile di vita che adottò, né apprendere autonomamente buona parte degli artefìci che tante volte sorpresero i suoi incauti avversari, creandone a volte di nuovi, come l'Incantamento del Viola disdegno sarmantico di Mo, o addirittura il celebre Prodigio dell'Indefessa perorazione.
Anche se così non fosse, tuttavia, non pensiamo di essere nel torto nell'affermare che Mo abbia capito all'istante, raggiunte le prime catapecchie scoperchiate, che non avrebbe trovato alcun superstite nel villaggio natale.
Dai racconti degli sporadici stranieri, Mo aveva appreso che un esercito in marcia è spesso più pericoloso dello stesso esercito sul campo di battaglia. Nell'osservare gli animali sgozzati, i paesani esanimi al suolo, Es Im e Is affogati nel loro stesso sangue, le porte divelte e i tetti sfondati, il giovane ragazzo arrivò alla conclusione che un battaglione di mercenari doveva essere passato di lì, bersagliato di frecce gli abitanti, e razziato quanto c'era da razziare. Anzi, qualche soldato poteva essere ancora nelle vicinanze. Ragione più che ottima per squagliarsela, e in fretta. Mo non si chiese dove; la sua unica preoccupazione era solamente mettere più distanza possibile fra lui e il pericolo.
Come forse avrete intuito, questi primi anni dell'infanzia di Mo lo vedono ragionare quasi come un animale selvatico. E infatti, mentre correva a perdifiato addentrandosi in boschi ben più mortali di qualsiasi esercito, il suo pensiero non andò ai fratelli scomparsi, alla casa perduta, o al pericolo che stava correndo gettandosi in foreste sconosciute sul finire dell'Autunno. A dire la verità, non pensò ad altro che andare oltre quell'albero, e l'albero dopo, e l'albero dopo ancora, finché di lui perdiamo le tracce, ingurgitato nei meandri della boscaglia. Alla faccia del Q.I. elevato, diciamo Noi.
La Storia non si fa con i "se" e con i "ma", ma a noi storici piace immaginare cosa sarebbe successo se.
In questo particolare caso, bello sarebbe scoprire cosa avrebbe fatto Mo se si fosse soffermato sul fatto che un esercito affamato non ammazza il bestiame abbandonandolo lì; se avesse ragionato sul fatto che un manipolo di mercenari non uccide gli abitanti senza poi spogliarli dei loro averi. Che un battaglione in marcia non perde tempo a sfondare il soffitto delle case, dall'esterno per di più.
Ma soprattutto, che gli arcieri non raccolgono tutte le frecce scagliate, senza lasciarne alcuna sul terreno.

AgapantoWhere stories live. Discover now