Mo - Capitolo V

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Quasi certamente il nostro erudito lettore non sarà ingenuo e sprovveduto come Mo, e conoscerà a menadito vita, morte e miracoli della più celebre delle compagnie mercenarie che abbiano mai guerreggiato in tutti i Continenti Settentrionali. Forse allora gli sarà gradito sapere che può saltare agilmente il resto del capitolo, e andare direttamente al successivo.
Se invece, per amor di completezza (e non certo per colmare un'indecorosa lacuna culturale), egli volesse ascoltare il racconto di Mandra insieme a Mo, ebbene, non avrà che da seguitare la lettura.
«Cominciamo dal principio» cominciò Mandranduk, detto il Nano Grigio, appartenente al Manipolo del Disprezzo di Maatsu della Compagnia del Disprezzo dei Nove, capitanata dal terribile Camaju Rosso Sangue.
«Se non conosci la Compagnia, desumo tu non abbia mai sentito parlare di Camaju Rosso Sangue. E se non hai mai sentito parlare di Camaju, non saprai nemmeno chi sia Maatsu il Semplice. Dunque non sai nemmeno cosa sia un mago, perché da che mondo è mondo, Maatsu è il più celebre tra essi. Che poi li chiamano anche artéfici, e quindi...»
L'espressione sul viso di Mo si faceva sempre più confusa a ogni parola di Mandra. Quando questi realizzò, comprese che davvero quel ragazzo alto più di cinque cubiti non aveva idea di cosa stesse parlando. Si risolse quindi ad affrontare la questione nel modo più pragmatico possibile: avrebbe cominciato dalle basi, immaginando di essere ancora al Nord, nei tunnel caldi, quando d'Inverno soleva narrare questa e altre storie ai piccoli grigi.
«Perdonami. Dicevo, partiamo dal principio. Per gli spiriti della pietra, ragazzo mio, che tu non abbia idea di cos'è un mago è preoccupante. Devi sapere che sin dai Primi Giorni, che pure fu un'epoca densa di prodigi, gli uomini hanno sempre tentato di andare oltre le proprie conoscenze. In tal senso, alchimisti e cerusici hanno svolto e ancora svolgono un lavoro mirabile, e gran parte delle innovazioni tecnologiche di cui oggi disponiamo erano sconosciute ai nostri antenati. Tuttavia, molte sono ancora le cose su cui l'uomo non ha influenza: la vita e la morte, per certo; ma non c'è bisogno di portare esempi così estremi. Sebbene possiamo bonificare terreni paludosi, e costruire tetti che ci riparino dalla pioggia, non siamo in grado di controllare gli elementi: acqua, aria, fuoco, possono essere nostri alleati quanto tremendi flagelli, e non c'è nulla che possiamo fare per dominarli.
Più da vicino, considera la questione dei nostri corpi. Sono nostri, certo, ma quanto potere abbiamo su di essi? Non possiamo impedirgli di crescere, di invecchiare, di perdere i capelli. Non scegliamo quanto fertili essere, quanto alti diventare, altrimenti io non sarei certo chiamato "il Nano Grigio", questo è sicuro. Non siamo nemmeno in grado di determinare il colore dei nostri occhi, una cosa così sciocca e insignificante. In definitiva, sebbene cerusici e alchimisti si prodighino con tutte le loro energie, sono ben pochi, e ben miseri, gli ambiti su cui l'uomo ha sovranità assoluta. Fin qui ci sei?»
Mo rispose con un cenno affermativo del capo.
«Molto bene. Proseguiamo. Se l'alchimia, la spagirica e la medicina in tal senso poco han potuto fare, l'uomo non si è tuttavia arreso. La curiosità e la caparbietà sono insite nella sua natura, insieme a una buona dose di coraggio e incoscienza. Sono così nati i primi arcanisti, che oggi chiamiamo "maghi", e che essi stessi preferiscono definirsi "artéfici", uomini (e raramente qualche donna, giacché il loro posto è fra le lenzuola profumate, piuttosto che tra le pagine di tomi polverosi), dicevo, uomini che, tramite metodi differenti da quelli alchemici, hanno provato a porre rimedio a queste nostre... chiamiamole debolezze. Come siano nati i primi artéfici è tutt'oggi materia di speculazione per gli stessi incantatori. C'è chi sostiene l'ipotesi di un patto con le Dimensioni Esterne; altri ipotizzano che tutta la loro arte abbia alla base una particolare tipologia di Corpo Minuto la cui tecnologia è andata oggi persa, ma che impregna tutt'ora l'aria che respiriamo; altri ancora invocano entità superiori, demòni e dèi. Dal tuo sguardo deduco che queste cose ti stiano mandando in confusione. Sorvoleremo dunque, per ora.»
L'espressione di Mo si fece più sollevata.
«Ciò che è importante tu capisca è che, in un modo o nell'altro, i maghi – o artéfici, come preferisci – riuscirono a portare l'ingerenza umana oltre le barriere fisiche imposte dalle leggi dello spazio e del tempo. Col passare degli anni e dei Periodi, la materia arcana si solidificò lentamente in un rigoroso corpus di leggi e di regole da seguire per ottenere i risultati sperati. Con un certo grado di approssimazione, certo, giacché queste arti non sono empiriche, e va sempre calcolato un probabile margine d'errore. Compendi di magia e testi arcani sono oggi disponibili praticamente in ogni biblioteca e in ogni bottega libraria; tuttavia, i formulari più potenti sono conservati nelle Accademie, al riparo da occhi indiscreti e menti distorte. Non che leggere questi libri sia di per sé pericoloso per alcuno: occorrono infatti lunghi anni di studio per padroneggiare correttamente l'arte del produrre artefìci. I tomi riportano infatti al loro interno litanie, gesti, formule, atteggiamenti, rituali e meditazioni per affinare viepiù la propria attitudine alla magia. Come, non chiedermelo: ti sembro forse un mago?
«Gli uomini di questo mondo amano dare nomi alle cose, categorizzarle e metterle in ordine, perché questo mondo regole non ne ha. Così fecero anche gli artéfici, catalogando le loro scoperte in base alla rilevanza degli effetti che esse producevano sul mondo sensibile. Al gradino più basso troviamo quindi le Fatture, i Sortilegi e le Prestidigitazioni, più simili a giochi di prestigio di saltimbanchi da fiera che prodotto di un'arte antica e raffinata. Un poco sopra, ecco gli Incantamenti e la loro controparte offensiva, i Malefici. Già a questo livello può essere pericoloso opporvisi, se non si conosce come reagire a tali artefìci. Più oltre ci sono le Maraviglie, come la Maraviglia del Palmo distruttivo, per mezzo della quale un artéfice è in grado di disintegrare uno spesso muro in mattoni con la sola pressione della mano. Capisci anche tu quale risorsa rappresenti tutto ciò: perché sprecare anni in addestramento per fortificare corpo e mente nell'arte della spada, quando nello stesso tempo si può acquisire una potenza nettamente superiore?»
Mo iniziava a chiedersi la stessa cosa.
«Beh, sai, il motivo è presto detto: perché avere accesso a tali poteri infiacchisce il fisico, che si fa molle e pingue, ma soprattutto imbolsisce la mente. Queste parole forse ora ti sono poco chiare, ma diventeranno più comprensibili col proseguire della mia spiegazione. Quindi, tienile a mente.
«Proseguiamo. Due sole categorie rimangono da analizzare: i Prodigi, ancora più potenti delle Maraviglie, apprendibili soltanto da artéfici esperti; e infine, quasi oltre ogni comprensione umana, i Miracoli. Non farti ingannare dal nome, ben pochi di questi sedicenti "Miracoli" hanno proprietà terapeutiche. I più noti sono stati utilizzati forse una volta dai Primi Giorni a oggi... o almeno, questo è quanto si può ritrovare sui tomi di Storia. Il Miracolo della Pioggia di Sangue, operato da Juzazaret il Poco Umile, ridusse alla carestia l'intero continente esperantino, durante il Terzo Periodo. Gli altri Miracoli noti si possono contare sulle dita di una mano monca... ma è meglio tacere i loro nomi. Ci sono cose che non dovrebbero mai essere pronunciate con leggerezza. Proprio a causa di ciò, nelle battaglie iniziarono a essere richiesti i servigi degli artéfici: averne uno o più votati alla propria causa (o meglio: pagati profumatamente perché si convincessero della bontà della causa) significava con buona probabilità mettere il sigillo sulla vittoria. Ma gli artéfici spesso sono tanto affilati di cervello quanto smussi di fisico, e i maghi combattenti rappresentano davvero un'esigua rappresentanza all'interno di questa già esclusiva élite.
«Nonostante tutto questo, e la conclamata efficacia delle arti magiche, in molti (soprattutto chierici) contestano l'arcanismo, asserendo che tutto quel gesticolare e sbracciarsi per ottenere un qualche effetto taumaturgico è solo una grottesca imitazione dei Carismi dei Talentuosi, benedetti e dotati per natura. Da come mi guardi, deduco che tu non sappia chi sono i Talentuosi... fai finta di non aver sentito; se iniziassimo a disquisire anche di quello, farebbe prima il Sole a sorgere da Est che io finire di parlare.
«Dopo questa necessaria introduzione, iniziamo ad avvicinarci a ciò che interessa a noi. Nel corso della Storia sono sorti innumerevoli artéfici dotati di indiscutibile talento: oggi li chiamiamo venerandi artéfici, e alcuni di loro sono ancora in vita, vecchi di oltre duecento anni grazie all'impiego delle loro arti. Tuttavia, nel passato questo termine non era ancora stato coniato, ed essi erano noti solamente per il loro nome. Il che, a parer mio, è un onore ancora più grande. Meglio infatti essere ricordati come "il secondo venerando artéfice del Terzo Periodo" o come "Juzazaret, il Poco Umile"? Mi pare non ci sia nemmeno da discutere a riguardo. Tra i maghi ascesi e scomparsi nel corso del tempo, ce n'è però uno che si eleva al di sopra di tutti gli altri, e quel mago è Maatsu il Semplice.
«Poco si conosce delle origini di Maatsu; quel che è certo è che fu di umili natali. Fonti più o meno autorevoli lo descrivono come un contadino, analfabeta e decisamente gretto. Un bel giorno, circa centocinquant'anni fa, quando già da qualche Stagione aveva superato la metà del cammino della sua vita, per qualche strana ragione si spogliò di tutti i suoi abiti, e così discinto si mise a peregrinare lungo le strade di mezzo mondo, annunciando che sarebbe dovuta presto venire un'epoca di pace e di amore per tutti gli uomini. Un folle, si penserebbe di primo acchito. A questa conclusione dovettero arrivare anche gli abitanti di quel tempo, giacché per parecchi mesi il Semplice, che ancora non era conosciuto con questo epiteto, fu braccato dagli inquisitori, mentre i chierici nelle piazze proclamavano di non dare ascolto a quel collega fasullo. All'epoca, nessuno sospettava che sarebbe accaduto quel che poi avvenne.
«Successe all'incirca un anno dopo l'inizio della sua stramba predicazione. Maatsu passeggiava, come sempre con le pudenda al vento, per le strade di una campagna assolata. Da qualche tempo era riuscito finalmente a seminare gli inquisitori, che sempre gli stavano alle calcagna. Era Estate, raccontano le cronache, il che rende un poco meno condannabile l'adamitico vestiario del Semplice. Orbene, lungo una di queste mulattiere, a lato del sentiero, riposava un pellegrino. Un vagabondo, per la precisione. I suoi vestiti, un tempo di un bel rosso fuoco, erano ormai ridotti a brandelli, e del fuoco non restava che una cenere sporca e fredda. Il viandante tossiva, espettorando muco e sangue. La tisi l'aveva colpito Stagioni prima, ed era ormai giunto alla fine dei suoi giorni, tanto da non potersi nemmeno più reggere in piedi.
Maatsu si fermò, lo guardò, e ne fu profondamente commosso. Poi disse: «Tu sei Camaju Rosso Brillante, e da oggi sei mio discepolo. Alzati: nessun male può affliggerti finché sei con me.»

AgapantoWhere stories live. Discover now