Gazpar - Capitolo III

2 0 0
                                    

Nei lunghi anni trascorsi su questa grossa palla rotante che chiamiamo Terra ne ho viste di cose insensate, ma questa le supera tutte.
Andiamo con ordine.
Ogni dieci Inverni circa (dico "circa" perché non si può mai sapere cosa passi per la testa a quelli) gli Eimnos tengono un raduno. No, non intendo quelle adunate festose che il Decano di turno organizza un paio di volte a Periodo, con masse di fedeli invasati che sbandierano stendardi, orifiamme e striscioni dalla mattina alla sera. Il raduno degli Eimnos è una cosa seria. Richiamati da un misterioso passaparola, che spesso ho provato a intercettare senza mai cavare un ragno dal buco, Eimnos provenienti da tutto il globo terracqueo si danno appuntamento in un luogo ben definito. In tale summit vengono discussi i più recenti accadimenti che interessano la loro casta, così come questioni in merito all'eventuale messa al bando di alcuni di loro, e giudizi su membri macchiatisi di crimini efferati.
Tale conciliabolo si protrae per una decade; essi vorrebbero passasse inosservato, ma più la data si appropinqua, più la transumanza di Eimnos che convergono verso la meta designata diviene evidente, e così alla fine bene o male chiunque sa dove e quando si terrà l'atteso convegno.
Beninteso, a nessuno al di fuori degli Eimnos è dato partecipare: proprio per evitare l'ingresso di ficcanaso e curiosi, a difesa del perimetro del raduno – che solitamente prende luogo in un forte, un villaggio di modeste dimensioni o in un castello minore – vengono posti mercenari assoldati all'uopo e sorveglianti Eimnos, per smascherare imbucati indesiderati.
L'efficacia di queste misure di sicurezza è tale che, da che mi ricordi (e la mia memoria in questi ultimi anni fa acqua da tutte le parti) nessuno è mai riuscito a penetrare all'interno di un conciliabolo Eimnos. Di soppiatto è impossibile, e con la forza, beh, cosa c'è dopo "impossibile"? Affrontare un paio di centinaia di Custodi imbufaliti è chiedere troppo, a meno che non siate un Timio o roba del genere. Ma i Timii e le robe del genere non paiono mostrare particolare interesse nei confronti delle vicende di noi miseri mortali.
Naturalmente, non presenziano tutti gli Eimnos esistenti. Molti sono troppo piccoli, o troppo vecchi. Altri si rifiutano, semplicemente. Altri ancora sono in vagabondaggio in terre sconosciute, e la notizia non li raggiunge per tempo. Infine alcuni, come Eno, vengono tenuti volutamente all'oscuro, per evitare lo spinoso problema di gestire la loro infausta presenza.
Recentemente, hanno iniziato a circolare voci che il summit si sarebbe svolto quest'anno, a metà Inverno, nientepopodimeno che a Palola, atollo tropicale dal clima paradisiaco al largo delle coste del Terrefrante, il Continente sommerso, le cui diecimila isole che lo compongono altro non sono che la vetta di alte catene montuose sottomarine. Hai capito questi Eimnos: non vanno a scegliersi un barbacane nel profondo Nord, noooo, ai signorini piacciono il caldo, il latte di cocco e le spiagge più bianche di una vergine sedicenne. Sia come sia, la notizia di per sé è anche interessante, ma di nessuna utilità pratica, visto che de facto l'adunata è condotta a porte serrate, e ciò che viene discusso rimane tra i propri membri (avete mai provato a corrompere un Eimnos per informazioni? Ve lo sconsiglio: costano una fortuna e scuciono una miseria).
Ho quindi immagazzinato l'informazione all'interno della mia poco ferrea memoria, e mi sono dedicato al mio attuale incarico, una cosa noiosissima sul contrabbando di ougane fatti riprodurre in cattività. Insomma, niente a che vedere con Hu o cose simili. Con tutto questo, dalla sua dipartita sono passati oltre dodici mesi.
Tre o quattro decadi fa si è infine svolto il grande evento. Naturalmente nessuna soffiata in merito all'ordine del giorno. Mentalmente, ho augurato agli Eimnos in bocca al lupo per i loro grandi piani di conquista futuri, e sono ritornato alla faccenda dei negri importati. Il mio interesse nella questione finiva lì.
Poi, non più tardi di sei giorni orsono, mi è pervenuta la missiva del Magistrato Supremo di Ungulion. Per un attimo ho sperato ci fossero incredibili novità sul fronte Dei Dodici, ma la richiesta era di tutt'altra natura.
Il raduno degli Eimnos si è concluso da oltre due decadi, e ancora nessun Eimnos ha fatto ritorno. Ritardi per mare mosso sono da tenere in considerazione, ma il Mar D'Agon è famoso per la sua relativa quiete. In più, prima di inviare chicchessia, il Magistrato ha provato a contattare altre città e castelli nei quali è risaputo gli Eimnos sono soliti dimorare. Anche da quel fronte, nessuna nuova sul loro rientro.
Ungulion è il cuore pulsante della cultura Eimnos: di stampo matriarcale, qui i Custodi e i loro protetti sono tenuti in massima considerazione, venerati e riveriti quasi alla stregua di divinità. Il mancato ritorno di un centinaio di loro è paragonabile, agl'occhi degli unguliensi, a una vera e propria catastrofe. Come se a Neviaze, potenza marinara, sparisse il mare. O a Naplé il vino e le frittelle di mela. O a Seine le puttane e il vaiolo. L'ho già detto, che sono di Suus?
Le parole accorate del Magistrato, e il compenso che mi proponeva, mi hanno fatto mollare il caso ougane al primo secondino di passaggio, e mi sono imbarcato verso Palola, portandomi dietro Arijanne Lungalingua come interprete, e Glasgo Scrocchiafalangi nel caso la xenolalia non fosse sufficiente, e occorresse far parlare il linguaggio del corpo.
Per farci raggiungere Palola nel minor tempo possibile, il Magistrato, bontà sua, ha messo a nostra disposizione un aerofante. Avete mai viaggiato su di un aerofante? Estremamente caldo e confortevole, se non considerate il fatto di trovarvi nello stomaco di un cetaceo di sessanta cubiti che vola placido a oltre tre campi d'altezza.
In nave il viaggio richiederebbe quasi un mese (autunnale). Noi ci impiegammo poco più di quattro giorni, atterrando non distante dall'isola paloliana designata per il summit. Gli aerofanti, gonfi d'elio, galleggiano leggiadri sulla superficie dell'acqua, come tocchi di merda fresca in uno stagno pedemontano. Poesia.
Tratta una scialuppa dalle interiora del bestio, ci siamo scrollati il muco dagli stivali, e siamo salpati alla volta della spiaggia.
Appena sbarcati, ho intuito subito che qualcosa non quadrava. Glasgo, che ha un senso del pericolo assai sviluppato (a differenza del cervello), si è messo in allerta, indossando il tirapugni e assumendo la Posizione di Combattimento Jozan.
Per oltre mezz'ora abbiamo vagato lungo la bianca battigia deserta, mentre Arijanne lanciava richiami in una ventina di lingue, alcune delle quali suonavano alle mie orecchie più come grugniti demoniaci che come fonazioni articolate di popolazioni civilizzate.
Ad un certo punto s'è insinuato in me il dubbio che ci avessero fornito le coordinate sbagliate, e non fosse quella l'isola giusta: non una guardia, non un Eimnos, non anima viva. Anche il luogo pareva stranamente silenzioso, per essere incontaminato.
Ci siamo infine decisi a inoltrarci nella vegetazione, che cresceva proprio a ridosso delle dune di sabbia.
Per un buon tratto abbiamo camminato tra palme nane e grasse foglie d'aloe gigante. Poi Glasgo, che faceva da apripista, con la sua voce profonda e calma ha detto: «Capitano. Dovrebbe venire a vedere.»
Per me è sempre un trauma quando Scrocchiafalangi ha di queste uscite: dal tono non si riesce mai a intuire la gravità della situazione. È in grado di annunciare con il medesimo aplomb tanto il suo matrimonio quanto la fuga di un prigioniero pazzo assetato di vendetta dalle segrete di Bær-Davaz.
Ah, un'altra cosa. Avrete notato che il subalterno si riferisce a me appellandomi "capitano". Beh, non lo sono. Non ho idea di quali ingranaggi nel parossisticamente semplice (per usare un eufemismo) meccanismo cerebrale dello Scrocchiafalangi possano averlo indotto a chiamarmi così, ma non ho nulla da obiettare a riguardo. Fa bene all'autostima.
Glasgo si è accovacciato nell'erba, indicando qualcosa al suolo. Mi sono avvicinato: tra gli steli stava un cadavere, semispolpato dai dodo e dai paguri di terra. Indossava abiti colorati alla maniera di Dila del Mare. Col il tacco dello stivale l'ho ruotato a faccia in su. Difficile dire se fosse stato un Eimnos: gli occhi erano spariti, divorati da granchiesse e mirmicoleoni.
Da quel momento, abbiamo preso ad avanzare con ancor maggior cautela. Ho estratto il pugnale dal fodero per proteggere Arijanne, che non è avvezza a situazioni di simile pericolo.
La fitta boscaglia s'è diradata, repentinamente com'era iniziata. Una collinetta rocciosa si ergeva al centro dell'isola, scevra da piante di sorta. Sulla sommità sorgeva un manipolo di casupole di paglia e canne. L'aria era stranamente immota, carica di una fragranza dolciastra che ricordava quella delle rafflesie in fiore. L'unico suono proveniva dai pappagalli dai colori sgargianti, che volteggiavano in numero straordinariamente abbondante sopra le case distanti. A gesti ho inviato Glasgo a esplorare le prime stamberghe poco sopra di noi, mentre facevo cenno ad Arijanne di attenderci, al riparo dietro un grosso pietrone.
Glasgo è sparito oltre una delle casupole, facendo involontariamente fuggire uno stormo di pappagallini, che si sono levati in volo schiamazzando infastiditi.
«Capitano. Dovrebbe venire a vedere» ho udito Glasgo dire, sbucando oltre il muro di canne della vicina capanna, non più quatto e guardingo.
Vedere Scrocchiafalangi che abbassa la guardia equivale a un segnale di cessato pericolo. Alzatomi in piedi, l'ho raggiunto, risalendo la breve scarpata fino alla sommità.
Superate le prime casupole, mi si è offerta alla vista la via principale (nonché unica) del villaggio, collegata alla piazza centrale, con il caratteristico banano secolare al centro.
Era. Un. Macello. Non il banano. Il resto.
Ovunque erano sparsi corpi, sparpagliati scomposti come se un gigante puerile e capriccioso avesse abbandonato in disordine le sue bambole dopo averci giocato. Ce n'erano ovunque: sui tetti, riversi al suolo, perfino in cima al banano, in pose di morte talmente grottescamente assurde da apparire quasi comiche. Ora comprendevo la presenza dei volatili: richiamati da quell'inatteso banchetto, erano calati sul villaggio per rimpinzarsi.
Un'ondata di disgusto mi ha travolto, all'idea che degli animali all'apparenza tanto allegri e giocosi potessero indulgere in atti rivoltanti come la necrofagia. Almeno, nel Terzo abbiamo i corvi, che non tentano di dissimulare sotto un costume di penne arcobaleno le loro ributtanti abitudini alimentari.
Arijanne, che nel frattempo ci aveva affiancati, ha rimesso. Prima di far valere di nuovo la sua lingua lunga nei miei confronti, farà meglio a sciacquarsi per bene la bocca.
Io e Glasgo ci siamo mossi in quella carneficina, esplorando le capanne e avvicinandoci con precauzione ai cadaveri rigidi, tesi negli spasmi del rigor mortis.
Come quello trovato nella foresta (il poveraccio doveva essere stato o la prima vittima o l'ultima, fuggiasco in fuga raggiunto da... eh, da cosa?!), erano stati tutti semi sbranati, occhi e labbra comprese, fino a mostrare chiostre di denti giallastri in sorrisi sghimbesci di eterno scherno nei nostri confronti, poveri indagatori della loro infausta sorte. Sembravano quasi sbeffeggiarci, sfidandoci a svelare quale infame destino li avesse travolti.
«Stai attento» ho detto a Glasgo, nell'avvicinarsi a uno dei corpi. «Se qualcuno di loro è ancora vivo, il Custode non ti darà certo una abbraccio di benvenuto.» Precauzione inutile: nessun sopravvissuto nel villaggio, e di conseguenza nessun Custode. Almeno, ai nostri sguardi. In quel momento rimpiangevo di non avere un Eimnos in squadra: avrebbe potuto scorgere pezzi di Custode sul terreno, e ciò avrebbe significato che almeno un Eimnos era riuscito a fuggire e a mettersi in salvo. Invece, nulla. Solo cadaveri scarnificati, che ci osservavano silenziosi dalle orbite vuote e dai rari bulbi oculari scampati al banchetto, gonfi e marci, con le iridi una volta blu intenso ora spente e grigie.
Tra gli altri, abbiamo riconosciuto gli esanimi Mommon e Sinom il Cupido, con i quali in passato avevamo avuto... divergenze professionali, diciamo così.
«Che diavolo è successo?» ha chiesto Arijanne, bevendo lunghe sorsate d'acqua dalla sua borraccia. Brava ragazza.
«È quello che stiamo pensando tutti» ho risposto. Per "tutti" intendevo io e lei. Glasgo non pensa, Glasgo agisce.
Innegabilmente erano presenti segni di lotta: qui una brutta ferita al torace, lì una testa mozzata, più in là un arto disarticolato. Dubitavo tuttavia fosse scoppiata una faida interna dovuta a una qualche diatriba tra Eimnos. Ignoravo se fossero tutti Eimnos quelli che vedevo, o se un contingente di soldati nemici fosse mischiato ai caduti. Più che uno scontro equo tra fazioni opposte, tuttavia, quello mi appariva come un massacro unilaterale. Armi ce n'erano in abbondanza, al suolo o ancora strette nelle mani fredde irrigidite dalla morte.
Ci siamo concessi un ultimo, rapido giro d'ispezione. Qualcosa ha catturato il mio sguardo: il tetto di una delle capanne, in paglia e fango, era leggermente bruciacchiato alle estremità. Bruciatura recente, a una più attenta analisi: la pioggia non aveva ancora lavato via i rimasugli di cenere. Bizzarro, vista l'assenza di resti di falò e segni di fuochi nei dintorni. Strano inoltre che le fiaccole potessero aver consunto con la loro fiamma qualcosa a quell'altezza. E io, si sa, non sono tra i sostenitori della combustione spontanea. Un piccolo sospetto ha cominciato a farsi strada nella mia mente, ancora in fase troppo germinale perché me la sentissi di condividerlo con i sottoposti.
«Qui non ci resta più nulla da fare» ho detto invece. «Torniamo all'aerofante. Chiederemo l'invio di altri gendarmi per ripulire il posto. Se non altro, possiamo riferire al Magistrato perché i suoi Eimnos non torneranno a casa per cena, questa sera.»

AgapantoWhere stories live. Discover now