Mo - Capitolo IX

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"Traccia diecimila cerchi a mano libera, e poi altri diecimila. In ognuno metti ciò che hai imparato dai precedenti, col massimo impegno. Quando avrai disegnato ventimila cerchi, ancora non saprai cosa è un cerchio, ma saprai cosa non è."
- Pigong l'Anacoreta, Memorie

Due servitori condussero Mo in un ampio stanzone dalle pareti in legno e dal basso soffitto. Venne fatto sedere, quindi gli appoggiarono una scala alla schiena e gli rasarono i capelli corvini, che già Mo usava tenere molto corti. La testa liscia e rosea metteva in risalto le nere sopracciglia, conferendogli un'espressione se possibile ancora più corrucciata.
Cucite insieme numerose vesti dismesse, ne fecero una tunica ed egli la indossò: era il primo indumento che portava dopo parecchi anni, e la sensazione della iuta ruvida sulla pelle non gli piacque affatto.
Come a tutti i novizi, anche a Mo venne assegnato un chan, un compagno più avanti negli studi, che si sarebbe preso cura di lui durante il primo periodo, erudendolo su norme, usi e costumi dell'accademia.
"Non 'accademia', novizio: 'dojo'. Devi chiamarlo dojo, è così che si chiama" ripeteva il chan di Mo, che rispondeva all'anonimo appellativo di Mattheus. Apprendista da quattro Inverni, era costui un rampollo cadetto di una famiglia di Ungulion; eccessivamente pedante e puntiglioso, Mo non faticò a comprendere come mai la casata di Mattheus avesse deciso di allontanarlo il più possibile, e per un congruo numero di anni.
Seppur pignolo, Mattheus si rivelò un insegnante straordinariamente capace. Mo scoprì infatti che Pigong non presiedeva praticamente mai ad alcuna attività quotidiana, lasciando che i propri studenti organizzassero da soli il corso della giornata.
Preso un grosso ramo cavo, Mattheus ne affilò la punta, indurendola poi sul fuoco. Quindi ci versò dentro un'oncia di inchiostro, e insegnò a Mo a scrivere. Fu cosa lunga e penosa: Mo non era abituato a compiere i delicati e precisi movimenti necessari per tracciare le lettere sulla pergamena. Durante i primi giorni, furono più i fogli strappati e lacerati dal ramo che le brevi parole trascritte, che Mattheus gli dettava sillabando lentamente.
Mo era tuttavia un allievo paziente, diligente e tenace. Mattheus se ne compiacque, e suo malgrado lo prese in simpatia, dedicandosi con maggior impegno al compito di precettore. Dopo qualche decade, finalmente una pagina poteva essere portata a termine con successo, senza graffi o strappi. Dopo un mese, Mo aveva acquisito dimestichezza sufficiente da completare dettati e copiature di brani in autonomia, utilizzando sia l'alfabeto della Lingua Comune, diffusa in gran parte dei Continenti Settentrionali, sia gli ideogrammi propri della patria di Pigong.
Contemporaneamente, Mo si rese conto di riuscire a leggere. Mattheus lo correggeva spesso per le sue pronunce errate, e per la tendenza a raddoppiare le lettere nelle parole, ma i risultati rimanevano comunque sorprendenti.
Dopo un paio di mesi trascorsi presso il dojo, il precettore lo introdusse finalmente alle arti arcane. Prelevati un paio di piccoli volumi dalla grande biblioteca presso la torre centrale, Mattheus li consegnò a Mo dicendo: «Comincia con questi. Impara a memoria ogni singolo passaggio, dittongo, gesto e permutazione. Quando avrai terminato, sforzati di riprodurli tutti, nessuno escluso, per varie volte al giorno. Se ti sentirai particolarmente sicuro, vieni e mostrameli. Avuta la mia approvazione, potrai unirti a tutti noi durante la pratica degli esercizi arcani, e davvero il tuo apprendistato avrà inizio.»
Solitamente, infatti, gli studenti delle accademie magiche entrano a far parte di queste con rudimenti – e talvolta vere e proprie conoscenze approfondite – delle arti che andranno a studiare. Il caso di Mo era stata decisamente un'eccezione alla regola.
Mo si chiuse nella sua cella ("si chiuse" si fa per dire, dato che la porta era stata scardinata da lui stesso), e aperto il primo grimorio, cominciò lo studio.
Tre giorni dopo, si presentò dal chan. Vedendolo arrivare, Mattheus rimase deluso.
«Pensavo avresti insistito di più, prima di gettare la spugna. Eppure, nella lettura ti eri impegnato così tanto... ma si sa, "leggere" e "agire" sono due cose ben distinte, dovresti saperlo bene. Dimmi, dunque, cosa ottunde la tua mente semplice?»
«Non hai capito» rispose Mo. «Non sono qui per chiederti consiglio, ma per mostrarti ciò che mi hai chiesto di imparare.»
Detto questo, eseguì in ordine tutti gli artefìci contenuti nei codici assegnatigli, tra cui la Prestidigitazione del Liofilo pollice tascabile, la Fattura dell'Emesi imperitura e il difficile Sortilegio del Pedissequo assecondamento. Concluse aggiungendo il suo personale Sortilegio della Cortina di tenebra, per tentare di impressionare positivamente il chan.
«L'ultimo non era presente nei testi che ti avevo fornito» commentò Mattheus. «Tuttavia, gli altri mi paiono corretti, a una prima superficiale analisi. Hai ottenuto un risultato apprezzabile, direi. Sei libero di unirti al resto di noi durante le attività quotidiane.»
Da quel momento, Mo divenne da adepto, accolito, ed entrò a tutti gli effetti a far parte della vita del dojo.

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