L'ultima notte

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CITTÀ DI VETRO - cap.14 "Nella foresta buia"

Clary era distesa nel letto, sveglia, con gli occhi fissi su un raggio di luna che disegnava il suo percorso sul soffitto. Aveva i nervi ancora troppo tesi per gli eventi della giornata e non riusciva a dormire. Non l'aiutava il fatto che Simon non fosse rientrato per la cena, né dopo cena. Alla fine aveva espresso le sue preoccupazioni a Luke, che si era infilato il cappotto e aveva fatto un salto dai Lightwood. Era tornato visibilmente divertito. «Simon sta bene, Clary» le aveva detto. «Va' pure a letto.» E poi era uscito di nuovo, con Amatis, per un'altra delle loro interminabili riunioni nella Sala degli Accordi. Chissà, si chiese Clary, se qualcuno aveva lavato via il sangue dell'Inquisitore.
Non avendo nient'altro da fare, Clary era andata a letto, ma il sonno continuava ostinatamente a sfuggirle. Non faceva che rivedere Valentine che strappava il cuore ad Aldertree. E il modo in cui si era rivolto a lei e le aveva detto: Se sapessi tutto, terresti la bocca chiusa. Per il bene di tuo fratello, se non per il tuo. Come se non bastasse, i segreti che aveva appreso da Ithuriel le pesavano sul petto come un macigno. E sotto tutte quelle ansie c'era la paura, costante come il battito del cuore, che sua madre morisse. Dov'era Magnus?
Ci fu un fruscio vicino alle tende e un'improvvisa ondata di luce lunare si riversò nella stanza. Clary balzò a sedere sul letto, cercando subito la spada angelica che teneva sul comodino.
«Va tutto bene.» Una mano si posò sulle sue; una mano sottile, segnata da cicatrici, familiare. «Sono io.»
Clary trasalì e lui ritrasse la mano. «Jace» esclamò. «Che ci fai, qui? Cos'è successo?»
Per un momento Jace non rispose e Clary si girò per guardarlo, raccogliendo le lenzuola intorno a sé. Si sentì arrossire, per il disagio di indossare solo i pantaloni del pigiama e una canottiera leggera. Ma poi vide la sua espressione e l'imbarazzo svanì.
«Jace?» sussurrò. Era accanto al letto, e indossava ancora gli abiti da lutto. E non c'era niente di leggero, sarcastico o distaccato nel modo in cui la stava guardando. Era pallidissimo e i suoi occhi sembravano spiritati, quasi neri per la tensione. «Stai bene?»
«Non lo so» rispose con il tono confuso di chi si è appena risvegliato da un sogno. «Non volevo venire qui. Ho girato per tutta la notte, non riuscivo a dormire... e continuavo a ritrovarmi qui. Da te.»
Clary si raddrizzò sul letto e lasciò cadere le lenzuola intorno ai fianchi. «Perché non riuscivi a dormire? È successo qualcosa?» gli chiese, sentendosi subito molto stupida. Che cosa non era successo?
Jace, tuttavia, sembrò a malapena aver sentito la domanda. «Dovevo vederti» disse, più a se stesso che a lei. «So che non è giusto. Ma dovevo farlo.»
«Be', siediti, allora» lo invitò Clary, spostando le gambe per fagli posto sul bordo del letto. «Perché così mi fai paura. Sei sicuro che non sia successo niente?»
«Non ho detto questo.» Jace si sedette, rivolto verso di lei. Era così vicino che Clary avrebbe potuto piegarsi in avanti e dargli un bacio.
Le si strinse il petto. «Ci sono brutte novità? È tutto... stanno tutti...»
«Non brutte» disse Jace. «E neanche novità. Anzi, il contrario di novità. È una cosa che ho sempre saputo e... probabilmente la sai anche tu. Dio sa se non ho nascosto tutto per bene.» I suoi occhi scrutavano il volto di Clary, come se volesse mandarlo a memoria. «Quello che è successo» le disse, esitando «è che ho capito una cosa.»
«Jace» sussurrò Clary. Per nessuna ragione apparente, aveva paura di quello che lui stava per dire. «Jace, non devi...»
«Volevo andare... in un posto» proseguì lui «ma continuavo a sentirmi trascinato qui. Non riuscivo a smettere di camminare, non riuscivo a smettere di pensare. Alla prima volta che ti ho visto e a come, da quella volta, non sono più riuscito a dimenticarti. Ho cercato, ma non ci sono riuscito. Ho fatto in modo che Hodge mi mandasse a prenderti per portarti all'Istituto. E anche allora, in quello stupido caffè, quando ti ho visto sul divanetto con Simon, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato: dovevo esserci io con te, su quel divanetto. Dovevo essere io quello che ti faceva ridere così. Non riuscivo a liberarmi da quella sensazione. Che dovevo essere io. E più ti conoscevo, più lo sentivo. Non mi era mai successo prima. Prima succedeva che desideravo una ragazza e poi la conoscevo e poi non la desideravo più. Ma con te la sensazione era sempre più forte, fino alla notte in cui sei arrivata a Renwick e ho capito
«E poi scoprire il motivo per cui mi sentivo così, come se tu fossi una parte di me che avevo perduto e di cui non sapevo nemmeno di sentire la mancanza, finché non ti ho rivisto. Scoprire che era perché tu eri mia sorella mi parve davvero una specie di scherzo cosmico. Come se Dio mi stesse sputando in testa. Non so nemmeno io per cosa, forse per aver pensato che potevo averti, e meritare una cosa bella come te, ed essere felice. Non riuscivo a immaginare cosa potevo aver fatto per essere punito in questo modo.»
«Se tu sei stato punito» disse Clary «sono stata punita anch'io. Perché tutte le cose che tu sentivi le sentivo anch'io. Ma non possiamo... Dobbiamo smettere di sentirci così, perché è la nostra unica possibilità.»
Le mani di Jace erano strette ai suoi fianchi. «La nostra unica possibilità per cosa?»
«Per poter continuare a vederci. Perché altrimenti non potremo più stare vicini, nemmeno nella stessa stanza. E io non potrei sopportarlo. Preferisco averti nella mia vita anche solo come un fratello, piuttosto che non averti affatto.»
«E io dovrei starmene seduto a guardare mentre tu esci con altri ragazzi e t'innamori di qualcun altro e ti sposi...?» Gli si indurì la voce. «E nel frattempo, guardando te, morirei un po' ogni giorno.»
«No. Per allora non te ne importerà più nulla» replicò Clary. Ma si chiese, mentre parlava, se lei avrebbe potuto sopportare l'idea di un Jace a cui non importava. Non aveva mai pensato così in là nel tempo. Quando cercò di immaginare se stessa che guardava Jace che si innamorava di un'altra e la sposava, non riuscì nemmeno a figurarselo, non vide niente se non un tunnel nero e vuoto, davanti a lei, che si allungava all'infinito. «Ti prego. Se non diciamo niente... se fingiamo...»
«È impossibile fingere» disse Jace con assoluta chiarezza. «Io ti amo e ti amerò fino alla morte e, se c'è una vita dopo la morte, ti amerò anche allora.»

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