Missione di salvataggio

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CITTÀ DI VETRO - cap.12 "De profundis"

Il fumo aveva iniziato ad aleggiare nel corridoio come un fantasma deciso a raggiungerli. Sentiva l'odore di bruciato e il crepitio del fuoco che si espandeva, ma era stranamente distaccato, lontano da tutto. Era strano essere diventato un vampiro, ricevendo in dono quella che si sarebbe potuta definire una vita eterna, per poi morire comunque a sedici anni.
«Simon!» La voce era fioca, ma il suo udito la colse sopra il crepitio delle fiamme divoratrici. Il fumo nel corridoio aveva preannunciato l'arrivo del calore, e adesso il calore era arrivato e premeva contro di lui come un muro. «Simon!»
Era la voce di Clary. L'avrebbe riconosciuta ovunque. Si chiese se fosse la sua mente a evocarla, una memoria sensoriale di ciò che aveva amato di più in vita, per aiutarlo ad affrontare l'agonia prima della morte.
«Simon, pezzo di cretino! Sono qui! Alla finestra!»
Simon balzò in piedi. Difficile che la sua mente evocasse una cosa del genere! Nel fumo sempre più fitto, vide qualcosa di bianco muoversi contro l'inferriata della finestra. Si avvicinò e le macchie bianche diventarono mani aggrappate all'inferriata. Saltò sulla branda, urlando sopra il rumore del fuoco. «Clary?»
«Oh, grazie al cielo.» Una delle mani si allungò verso l'interno e gli strinse una spalla. «Ora ti tiriamo fuori di qui.»
«E come?» chiese Simon. Sentì uno scalpiccio. Le mani di Clary svanirono, rimpiazzate da altre mani: più grandi, indubbiamente maschili, dalle nocche scorticate e dalle dita sottili da pianista.
«Aspetta.» La voce di Jace era calma, sicura, come se stesse chiacchierando a una festa invece che dalle sbarre di una prigione che stava andando a fuoco. «Forse è meglio se stai indietro.»
Reso obbediente dalla sorpresa, Simon si spostò. Le mani di Jace si strinsero sull'inferriata e le nocche diventarono bianche in modo preoccupante. Ci fu un gemito, uno schianto, e il riquadro di sbarre si divelse di colpo dalla pietra e piombò fragorosamente sul pavimento della cella, accanto alla branda. Una nuvola di soffocante polvere bianca si riversò nella cella.
Il viso di Jace comparve nel riquadro vuoto della finestrella. «Simon. Vieni fuori.» Gli tese le mani.
Simon si allungò e le afferrò. Si sentì tirar su di peso, poi si aggrappò ai bordi della finestrella, si issò e sgusciò fuori dall'angusto riquadro come un serpente che uscisse dalla tana. Un attimo dopo era riverso sull'erba umida, con un cerchio di facce preoccupate sopra di sé. Jace, Clary, Alec. Tutti chini su di lui.
«Sei messo proprio male, vampiro» commentò Jace. «Che cosa ti è successo alle mani?»
Simon si mise a sedere. Le ferite erano guarite, ma la pelle era ancora nera dove aveva stretto le sbarre. Però non riuscì a rispondere, perché Clary lo strinse in un abbraccio improvviso e feroce.
«Simon» sussurrò. «Non ci posso credere. Non sapevo nemmeno che tu fossi qui. Fino a ieri sera credevo che fossi a New York.»
«Be'» rispose Simon «se è per questo nemmeno io sapevo che tu fossi qui.» Lanciò un'occhiataccia a Jace, alle spalle di Clary. «Anzi, mi pareva che mi avessero chiaramente detto il contrario.»
«Io non ho mai detto il contrario» precisò Jace. «È solo che non ti ho corretto quando sei, diciamo, caduto in errore. In ogni caso, ti ho appena salvato da una morte sul rogo, quindi immagino che tu non abbia alcun diritto di prendertela con me.» Una morte sul rogo. Simon si staccò da Clary e si guardò intorno. Erano in un giardino quadrato, circondato su due dalle mura della fortezza e sugli altri due lati da un bosco fitto. Alcuni degli alberi erano stati tagliati per creare il sentiero sassoso che scendeva dalla collina fino in città: era costeggiato da torce di stregaluce, ma solo alcune erano accese e mandavano una luce fioca e discontinua. Simon alzò lo sguardo verso la Guardia. Vista da quell'angolatura, era difficile credere che ci fosse un incendio: il fumo nero macchiava il cielo sopra di loro e le luci di alcune finestre erano innaturalmente splendenti, ma i muri di pietra nascondevano bene il proprio segreto.
«Samuel!» esclamò. «Dobbiamo tirar fuori anche Samuel.»
Clary lo guardò, sconcertata. «Chi?»
«Non ero l'unico, là dentro. C'era anche Samuel. Era nella cella accanto alla mia.»
«Il mucchio di stracci che ho visto dalla finestrella?» ricordò Jace.
«Sì. È un po' strano, ma è una brava persona. Non possiamo abbandonarlo.» Simon si rialzò in piedi. «Samuel? Samuel!»
Non ci fu risposta. Simon corse all'inferriata della finestrella bassa accanto a quella dalla quale era appena sgusciato. Dalle sbarre si vedevano solo volute di fumo. «Samuel! Ci sei?»
Qualcosa si mosse nel fumo, qualcosa di scuro e ingobbito. La voce di Samuel, arrochita dal fumo, si levò aspra. «Lasciatemi stare! Andate via!»
«Samuel! Morirai, lì dentro!» Simon strattonò l'inferriata. Non successe nulla.
«No. Lasciatemi stare! Voglio restare qui!»
Simon si guardò intorno disperato. Un attimo dopo Jace era accanto a lui. «Spostati» gli intimò. Quando Simon si fece da parte, Jace sferrò un calcio potente. L'inferriata fu divelta con violenza e precipitò nella cella. Samuel lanciò un grido roco.
«Samuel! Stai bene?» Davanti agli occhi di Simon prese forma l'immagine del vecchio con la testa ferita dall'inferriata.
La voce di Samuel diventò un grido acuto. «ANDATE VIA!»
Simon guardò Jace. «Credo che dica sul serio.»
Jace scosse la testa bionda, esasperato. «Dovevi proprio fare amicizia con un carcerato demente, eh? Non ti bastava contare le pietre o addestrare un topo, come fanno tutti i prigionieri?» Senza aspettare risposta, Jace si abbassò e si calò dalla finestrella.

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