Maxwell J. Lightwood

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CITTÀ DI VETRO - cap.12 "De profundis"

Un rumore sordo proveniva dalla Sala degli Accordi, il basso mormorio di centinaia di voci. A Clary sembrava il battito di un enorme cuore. La luce delle torce nelle staffe, unita al bagliore delle pietre di stregaluce portate ovunque, le bruciavano gli occhi e le confondevano la vista: vedeva solo ombre vaghe, adesso, ombre e macchie di colore. Bianco, oro, poi il cielo notturno sopra di loro, che diventava di un blu più chiaro. Ma che ora era?
«Non li vedo.» Alec scrutava la sala cercando i suoi famigliari. Parlò come se fosse stato lontano mille miglia, o sott'acqua. «Dovrebbero essere qui, ormai.»
La sua voce si perse. Lo stordimento di Clary peggiorava. Si appoggiò con la mano a una colonna per non cadere. Una mano le sfiorò la schiena: Simon. Stava dicendo qualcosa a Jace e sembrava in ansia. La sua voce si smarrì in un intrico di decine di altre voci, che crescevano e calavano intorno a Clary come le onde che s'infrangono sulla riva.
«Mai visto niente di simile. A un certo punto, i demoni se ne sono andati: hanno girato i tacchi e sono svaniti.»
«L'alba, probabilmente. Hanno paura dell'alba, e ormai non è lontana.»
«No, c'era dell'altro.»
«È solo che non vuoi credere che torneranno anche domani notte, o dopodomani.»
«Non dirlo: non c'è ragione. Le difese verranno riattivate.»
«E Valentine le abbatterà di nuovo.»
«Forse è quello che ci meritiamo. Forse Valentine aveva ragione. Forse, alleandoci con i Nascosti abbiamo perso la protezione dell'Angelo.»
«Taci, e porta un po' di rispetto: stanno contando i morti proprio nella piazza dell'Angelo.»
«Eccoli là!» esclamò Alec. «In fondo, vicino al podio. Sembra che...» Gli si spense la voce in gola e un attimo dopo era già sparito, facendosi largo tra la folla. Clary socchiuse gli occhi per mettere a fuoco, ma vedeva solo macchie indistinte.
Sentì Jace trasalire e poi, senza una parola, anche lui si mise a spintonare tra la folla, seguendo Alec. Clary si staccò dalla colonna per seguirli, ma inciampò. Simon la afferrò al volo.
«Devi sdraiarti, Clary» le disse.
«No» sussurrò lei. «Voglio vedere cos'è successo.»
S'interruppe. Simon guardava in fondo alla sala, oltre Clary, oltre Jace, e sembrava profondamente turbato. Puntellandosi alla colonna, Clary si sollevò in punta di piedi, sforzandosi di vedere qualcosa al di là della folla.
Eccoli, i Lightwood: Maryse, con le braccia intorno a Isabelle che singhiozzava, e Robert Lightwood, seduto per terra, con qualcosa... no, qualcuno, tra le braccia. Clary pensò alla prima volta che aveva visto Max, all'Istituto, addormentato su un divano, gli occhiali di traverso e una mano penzoloni. "Riesce a dormire dappertutto", aveva commentato Jace. Anche adesso sembrava quasi che dormisse in braccio a suo padre, ma Clary seppe che non stava dormendo.
Alec era in ginocchio e teneva una mano di Max. Jace invece era rimasto dov'era, immobile. Aveva un'aria terribilmente smarrita, come se non avesse idea di dove fosse, né di cosa ci facesse lì. Tutto quello che Clary avrebbe voluto fare era correre da lui e abbracciarlo, ma l'espressione di Simon le disse di no, come pure le dissero di no il ricordo della tenuta di campagna e delle braccia di Jace intorno a lei. Clary era l'ultima persona sulla faccia della terra che in quel momento avrebbe potuto dargli un po' di consolazione.
«Clary» disse Simon, ma lei lo spinse via, nonostante lo stordimento e il dolore alla testa. Corse verso le porte della sala e le spalancò, si precipitò fuori sulla scalinata e si fermò lì, respirando ampie boccate d'aria fredda. In lontananza, l'orizzonte era striato di rosso e le stelle si stavano spegnendo nel cielo che si schiariva. La notte era passata. Era giunta l'alba.

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