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L'aria della sera era umida, di un caldo quasi appiccicoso, e le divise di certo non miglioravano la situazione. Connor Sinkey, appoggiato alla parete fresca, si guardava intorno affinché potesse assicurarsi di essere rimasto solo. Non poteva permettersi di essere visto da anima viva, altrimenti non sarebbe riuscito a concludere nulla di ciò che voleva fare. Ci aveva riflettuto per giorni, tenendo in considerazione tutti i rischi possibili e ciò che gli sarebbe potuto capitare in caso fosse andato tutto a monte. Ma non gli importava. Ormai non aveva più niente da perdere, né a livello personale né per quanto riguardava le persone care o i beni materiali. Aveva perso la sua opportunità di ottenere il posto di generale nel War Department, suo figlio era stato ucciso in trincea, mentre il resto dei componenti della sua famiglia era deceduto per il Morso della Morte o per i bombardamenti nemici... Non gli era rimasto nulla, e si sentiva improvvisamente come se la sua vita non avesse avuto uno scopo vero o nobile. Adesso, però, le cose stavano cambiando : sapeva cosa doveva fare, aveva trovato il suo nuovo obbiettivo, e stavolta ce l'avrebbe fatta. Poco tempo dopo Sinkey poté appurare di essere rimasto solo, così iniziò a scendere la scalinata alla sua sinistra. Quest'ultima conduceva al piano più basso della struttura, che era situato sottoterra e costituito da una miriade di celle. In quel labirinto di porte a sbarre, solo una stanza era completamente blindata e spoglia, quasi come una sala di isolamento o di quarantena, tuttavia era molto peggio di quel che sembrava. Quell'area era il luogo in cui chi si opponeva a David Campbell veniva incarcerato per un minimo di tre settimane (che potevano diventare quattro o sei, per un massimo di due mesi di incarcerazione), dopodiché gli accusati venivano condotti alla stanza inespugnabile e segregata in un corridoio a sé stante. Era proprio dietro la porta di questa sala che veniva immesso il monossido di carbonio, motivo per cui nessuno usciva da lì. Non vivo, almeno. Prima di procedere, Sinkey controllò che l'uscita di emergenza non fosse bloccata e, come aveva sperato, era aperta.
Quel pomeriggio era riuscito a sbloccare la serratura senza farsi vedere, ma aveva paura che qualcuno avesse potuto notarlo e chiuderla di nuovo durante le ore successive. Per fortuna non era accaduto, perciò l'uomo si mise all'opera immediatamente. Si avvicinò alla cella più vicina - la numero 39 - e si affrettò a rimuovere il lucchetto digitale che impediva l'accesso alla prigione. Con quel gesto la porta a scorrimento si aprì, scivolando senza fare rumore. Le persone imprigionate al suo interno si voltarono di scatto verso Sinkey, sorprese nell'accorgersi che il posto in cui erano rinchiusi era appena stato violato.
<< Uscite. Veloci, non abbiamo molto tempo. >>
<< Chi è lei? >> chiese una ragazza bionda, titubante. Se ne stava seduta a gambe incrociate in un angolo della stanza, lo sguardo fisso sull'individuo che li stava liberando.
<< Tutto quello che vi serve sapere è che vi porterò fuori da qui. >>
<< E chi ci dice che possiamo fidarci di lei? >> aggiunse un uomo << Per quanto ne sappiamo potrebbe ucciderci. >>
<< Ve lo dico io. Potete fidarvi. >>
La giovane di prima intervenne ancora, sempre meno propensa a lasciare che la sua vita fosse nelle mani di qualcuno che non conosceva << La parola di uno sconosciuto non vale niente. >>
<< Se volete scappare vi conviene seguirmi. Fra qualche giorno vi porteranno a morire e vi uccideranno con del monossido di carbonio, mentre se mi scoprono verrete ammazzati oggi stesso. E io morirò con voi. >> insistette Sinkey nel tentativo di farli ragionare. Non poteva permettere che degli innocenti perdessero la vita, e soprattutto non avrebbe mai lasciato a Campbell l'opportunità di farla franca << Avete una possibilità, non sprecatela. >>
I presenti si guardarono fra di loro un po' con fare spaventato e diffidente, dopodiché si decisero a farsi guidare da quell'uomo. Benché non avessero la minima idea di chi fosse, quella era stata l'unica persona ad aver spalancato la loro cella in seguito a un mese di prigionia, e sapevano che non sarebbe capitato una seconda volta. Quella era la loro occasione, probabilmente l'unica che si sarebbe presentata. Valeva davvero la pena correre il rischio di non sfruttarla solo per paura? Era il caso di andare incontro alla morte tentando l'evasione o aspettare che la fine arrivasse per le mani di Campbell? No, non potevano neanche accettare l'idea di farsi sopprimere con tanta facilità; se proprio dovevano perdere la vita, avrebbero combattuto per avere l'ultimo respiro. Sinkey, soddisfatto, li condusse all'uscita di emergenza.
<< Qui fuori c'è un fascio di luce che si sposta. Dovete andare dall'altra parte senza finire sotto il riflettore, altrimenti ci scopriranno. >> mormorò, intento a schiudere la porta affinché potesse dare un'occhiata al cortile esterno << Quando sarete attivati tutti vi raggiungerò io, e da lì vi porterò alla spiaggia. Ci sono delle barche che potrete usare per scappare, delle mappe e anche delle scorte di cibo e acqua. Tutto chiaro? >>
Si susseguirono dei "sì" sussurrati, i quali si sovrapponevano fino a creare un brusio confuso e indistinto, ma Sinkey capì che ognuno di loro aveva acconsentito. E quello era essenziale.
<< Bene. Andate, e evitate la luce. >>

* * *

Non poté andare meglio. Nel giro di qualche minuto, i ragazzi che Sinkey aveva fatto evadere erano giunti alle mura attorno alla sede del Progetto Omega. Esso aveva due vie d'uscita, cioè il cancello principale e il portone a scorrimento da cui passavano le riserve alimentari, le attrezzature nuove o inutilizzabili e i veicoli. Ed era da quest'ultima che sarebbero fuggiti quei ragazzi. Per poter sbloccare quel passaggio secondario, era necessario usufruire di una parola d'ordine conosciuta dai lavoratori in caso di emergenza. Così Sinkey aveva potuto sfruttare, per una volta, il fatto che lavorava nella sede di Juan de Nova : aveva infatti condotto gli ex prigionieri alla costa dell'isola, e aveva mostrato loro le imbarcazioni per andarsene. Non appena i ragazzi furono a bordo delle barche, preparate in precedenza, lui rimase a fissare le loro figure che si allontanavano. Erano saliti in tutta fretta, già assaporando la salsedine dell'aria marina,un odore che avrebbe simboleggiato la loro libertà a partire da allora. L'uomo osservò i passeggeri lasciarsi cullare dalle onde dell'oceano, la spuma sulla riva e la spiaggia ormai alle loro spalle. Il loro percorso, delimitato dalla linea dell'orizzonte, adesso era illuminato dalla pallida luce della luna e dalle stelle che ne sottolineavano la grandezza, come ancelle attorno a una regina bianca e maestosa. La ragazza bionda, nonché la prima ad aver espresso scetticismo e scarsa fiducia, si voltò verso Sinkey e lo salutò agitando entrambe le braccia. Gli altri la imitarono, infatti non rimase nessuno voltato verso l'immensità dell'oceano. Tutti guardavano lui, gli mimavano addii e ringraziamenti con le labbra, buttavano fuori la loro gioia nel realizzare che non sarebbero morti grazie a quell'uomo. Una torcia fra le mani, Sinkey osservava la scena dalla riva con un sorriso sulle labbra. Aveva appena dato una nuova chance a delle persone, ma non era quella la parte migliore, né sapere che Campbell sarebbe stato furioso o non se ne sarebbe accorto neanche. No, il bello stava nel fatto che, sotto il naso degli impiegati del Progetto Omega, molti altri sarebbero sfuggiti a quella follia. Molte altre vite potevano essere salvate.

REBELLION  - Destruction Where stories live. Discover now