62. Stessi occhi verdi - I Parte

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Dopo quattro lunghe ore di viaggio, arrivammo a Boston, una delle città più importanti degli Stati Uniti. Una città che non avevo mai visitato. Era proprio lì che risiedeva il quarto Jonathan Wood della nostra lista. L'ansia mi aveva accompagnata anche quel giorno. Dentro di me percepivo una sensazione forte, violenta, disarmante. Sentivo che finalmente eravamo giunti nel posto giusto.

«Secondo il navigatore siamo quasi arrivati, speriamo bene, non pensavo che ci volesse così tanto, fuori è già buio e il cielo...» La voce di Mathieu era piuttosto scossa, sembrava turbato.

«Dici che verrà a nevicare?» Provai a fare conversazione, nonostante mi sentissi pietrificata dall'agitazione.

«Il meteo chiama neve e non mi risulta difficile crederlo, basta guardare il cielo. Forse non dovevamo spostarci oggi.»

«Sì, lo penso anch'io» farfugliai, sfregandomi le mani per riscaldarle.

«Ehi...» Dovette notare il mio stato d'animo, perché posò le sue dita sulle mie e mi osservò con occhi premurosi. «Andrà tutto bene, non è detto che sia lui, hai visto com'è andata a finire le scorse volte. Fossi in te non mi fascerei la testa prima di cadere.»

«Mathieu, questa volta è diversa dalle altre, lo sento. C'è una vocina dentro la testa che me lo sta urlando da quando siamo usciti dall'autostrada.»

Sospirò riprendendo il controllo della guida; non riuscivo a impedire alla mente di fantasticare sul mio presunto padre. In quel periodo ero prigioniera di un'ansia costante, che mi opprimeva anche quando non c'erano motivi apparenti per essere preoccupata. Non riuscivo a trovare pace né a liberarmi da quel senso di oppressione che mi consumava. Era come se le mie stesse emozioni mi divorassero dall'interno, lasciandomi in uno stato perenne di agitazione. Quando sentivo quelle sensazioni, detestavo ogni parte di me, non volevo essere debole, ma per quanto ci provassi non riuscivo a controllare le mie ansie.

«E anche se fosse? In fondo siamo venuti fino a Boston per questo: per incontrare il tuo vero padre. Non dimenticarlo, Belle. So che per te è difficile, ma non sei sola.»

Annuii provando a metabolizzare le sue parole: non ero sola.

«È carino quel parco, sarebbe bello visitarlo» risposi, focalizzando la mia attenzione su altro. Ci stavo provando a restare rilassata, davvero, ma le circostanze non aiutavano.

I miei occhi si soffermarono su una bambina che correva felice tra le braccia di un uomo, con tutta probabilità suo padre. Non avevo mai avuto la possibilità di farmi avvolgere dalle braccia protettive di un papà che ama la propria figlia, però avevo avuto la fortuna durante la mia infanzia di crescere con nonno Gerard. Dovevo ancorarmi ai quei ricordi felici e impedire ai pensieri tristi di influenzare ancora la mia vita.

«Se vuoi, possiamo andarci dopo l'incontro!» propose entusiasta Mathieu.

«Ma è già tardi...»

«Va bene, ma nessuno ci vieta di fare una passeggiata al parco.» Si bloccò di nuovo per fissarmi. «Cos'è quell'espressione? Non devi essere negativa.»

«Lo so, ma non posso farci nulla.»

Il mio accompagnatore parcheggiò la macchina di fronte a un enorme edificio, doveva essere lì il luogo dove lavorava il Jonathan Wood che stavamo cercando. Era un manager di una ricca società; per poter parlare con lui avevamo richiesto un appuntamento tramite la sua segretaria privata. Anche in quell'occasione ci eravamo presentati come giornalisti, la segretaria non aveva posto obiezioni, forse non era la prima volta che Jonathan Wood di Boston veniva intervistato.

«Bene, siamo arrivati.» Mathieu spense il motore, tolse la chiave e si voltò verso di me. «So che questa situazione ti agita, dirti di non essere negativa servirebbe a ben poco. Quindi se vuoi restiamo ancora un po' qui e quando sei pronta ci avviamo, ok?» Ormai era abile a leggermi il pensiero.

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now