24. Idyllique - I Parte

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Stavo per entrare nel locale quando mi scontrai con un ragazzo piuttosto magro e alto, aveva la pelle cadaverica e due grosse occhiaie gli segnavano lo sguardo. I suoi occhi arrossati avevano un aspetto malsano, qualcosa non andava...

«Mi scusi» pronunciai al ragazzo senza ricevere alcuna risposta e mi avviai all'ingresso, dove un signore alto e robusto accoglieva le persone.

Assieme alla folla di ragazzi, mi accinsi a varcare la porta d'entrata cercando di non dare troppo nell'occhio. All'interno venni subito investita da un forte odore di alcol e di sudore. Dovetti armarmi di coraggio per continuare il mio tour in quel locale, non era da me uscire sola in piena notte e rifugiarmi in posti ignoti, ma quella sera la razionalità mi aveva completamente abbandonata.

Con gli occhi perlustrai l'intera sala, ma era difficile riuscire a scovare Mathieu con quella confusione. Sospirai nervosa, non sapevo che direzione prendere, mi sentivo come un pesce fuor d'acqua.

Un signore sulla quarantina d'anni prese il microfono e iniziò a pronunciare frasi sconnesse sulla serata, doveva essere una sottospecie di presentatore non tanto sobrio. Scoraggiata, mi avvicinai al bar e ordinai una bevanda analcolica ai lamponi. La ragazza che serviva i drink mi parve una persona gentile, mi accomodai quindi su una delle sedie poste vicino al bancone. Quella postazione mi faceva sentire tranquilla e al mio agio. Nel frattempo il tipo poco sobrio presentò un gruppo musicale dal nome "Idyllique", doveva essere una parola francese.

«Li adoro, sono fantastici e il cantante è proprio carino!» esclamò la ragazza dei drink. «Non ti ho mai vista, sei nuova della zona?» chiese con curiosità, mentre ripuliva il bancone con cura.

Non potevo dirle il mio scopo in quel locale, così le spiegai del mio recente trasferimento a New York.

«In effetti non è da molto che vivo a Brooklyn» le rivelai.

«Da dove vieni?» domandò, appoggiando lo strofinaccio che stava usando sul piano da lavoro.

«Portland.»

«Davvero? Ho un parente che vive nel Maine» affermò, per poi spostare l'attenzione sul palco. «Ti trovi bene qui a New York?» riprese la conversazione.

I miei occhi volarono sulla band appena presentata, stavano intrattenendo il pubblico con un loro inedito. Aprii la bocca per rispondere, le parole però mi si bloccarono in gola.

Senza aggiungere altro salutai la ragazza e mi avviai ipnotizzata al centro della sala, avevo bisogno di guardarlo meglio, di avere conferma che quel ragazzo non fosse Mathieu, ma un semplice batterista di una band qualunque con un nome francese.

«Non ci posso credere...» dissi a bassa voce.

Quando mi scorse, una delle sue bacchette scivolò a terra, arrestando il suono della batteria. La band continuò a esibirsi senza interruzioni, Mathieu, invece, sembrava agitato e disturbato dalla mia presenza.

Deglutii, avevo la gola secca. Non solo l'avevo seguito fino al locale, ma mi ero fatta notare spudoratamente ai piedi del palco, interrompendo il suo lavoro. Arrabbiata con me stessa, mi voltai e iniziai a farmi largo in mezzo a quella schiera di ragazzine scatenate. Volevo uscire e ritornare a casa subito, mi vergognavo per il mio atteggiamento invadente, cosa speravo di ottenere con quella mossa insensata?

Prima di lasciare del tutto la sala, mi girai per un'ultima volta verso Mathieu, aveva ripreso a suonare e con più grinta di prima, i suoi occhi mi stavano cercando ed erano pieni di stupore e rabbia.

Quando tornai all'aria aperta, respirai a fondo e mi appoggiai su un muretto per calmarmi, lo avevo pedinato perché guidata da una curiosità incontrollabile e ora quella stessa curiosità mi stava mettendo di nuovo contro di lui.

La Ragazza che cuciva sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora