24. Una panchina per due - II Parte

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«Perché mi stavi seguendo?»

«Ti dispiace se ne parliamo in un altro momento?» risposi forse con un tono un po' troppo duro, ma mi sentivo ancora turbata e in balia delle mie emozioni.

Mathieu rispettò il mio stato d'animo e continuò a camminare accanto a me in silenzio. Doveva essere preoccupato e anche tanto, lo si poteva notare dall'espressione tesa che aveva assunto.

Il percorso di ritorno mi sembrò più lungo, non vedevo l'ora di raggiungere la mia camera e dimenticare quella brutta serata. Ma, a pochi metri da casa, il ragazzo introverso e taciturno si fermò. Feci lo stesso, i suoi occhi scuri come la notte si posarono sul mio gomito e dove ancora potevo percepire dolore.

«Ti va di parlare un po' prima di rientrare?» chiese e m'indicò un parco vicino casa nostra. Quella richiesta era strana, ma tuttavia mi ritrovai ad accettare la sua offerta.

Ci sedemmo su una delle tante panchine vuote. Avevo freddo e non sapevo bene come comportarmi, il nostro rapporto non era amichevole, non lo era mai stato. Di solito era con Steven che passavo le serate, era con lui che mi confidavo ed era lui a prendersi cura di me. Non potei fare a meno di pensare che, se ci fosse stato lui seduto su quella panchina, sicuramente avrebbe saputo farmi stare meglio. Magari con una carezza, un abbraccio, mi avrebbe riscaldata e confortata da tutto quel freddo.

«Come stai?» domandò invece Mathieu, ricordandomi che la persona che avevo vicino non era il mio migliore amico. No, non lo era.

«Non lo so» risposi a disagio, non stavo per niente bene e non me la sentivo di condividere le mie emozioni.

«Mi dispiace per prima» mormorò con sincerità.

«Non è colpa tua.»

«Lo so, ma vederti così mi fa sentire comunque uno schifo.» Sospirai, colpita dalle sue parole. «Insomma... se tu non mi avessi seguito...» Non riuscì a terminare il discorso, perché non glielo permisi.

«Scusami, è stato stupido da parte mia impicciarmi dei tuoi affari privati» ammisi.

«Puoi dirmi perché lo hai fatto?»

«Tua madre» affermai stupendolo. «È preoccupata per il tuo futuro» pronunciai quella frase nel tentativo di giustificare me stessa e fargli comprendere quanto Louise ci tenesse a lui. Mathieu sorrise e nervoso si passò una mano tra i capelli disordinati.

«E così hai pensato di aiutarla a risolvere i miei problemi pedinandomi?» disse con finta ironia.

«Può sembrarti sciocco, ma all'inizio ero convinta che si nascondesse qualcosa di losco dietro alle tue uscite notturne. Mi sbagliavo.»

Come reazione a quella mia dichiarazione, il suo volto tornò serio e il suo sguardo si fece più comprensivo.

«Ti fa ancora male?» chiese poi, mentre scrutava il mio braccio.

«Di meno, domani mattina sarà già passato tutto.»

«Tu e mia madre non potete risolvere i miei problemi.» Così aveva realmente dei problemi? E perché non ne parlava? «Non voglio più frequentare l'università» esclamò senza preavviso. Quella rivelazione mi lasciò di stucco.

«Perché?»

Mi guardò rassegnato e si morse un labbro nel tentativo di nascondere le sue emozioni, ma per la prima volta non ci riuscì, i suoi occhi eloquenti parlavano per lui.

«Non ho più stimoli, non so più cosa farne della mia vita. L'unica mia certezza è la musica.»

Le sue parole vere, quanto tristi, mi trasmisero tanta amarezza. Avrei voluto aiutarlo, consigliarlo, ma di lui non sapevo nulla. Non conoscevo i motivi che lo avevano spinto a frequentare l'università di informatica e né perché si ostinasse a tenere quelle sue paure chiuse dentro la testa.

Potevo però comprenderlo, anch'io ero parecchio riservata e facevo fatica a confidarmi, ma di mia madre mi ero sempre fidata e non capivo perché non fosse lo stesso anche per lui.

«A parer mio, dovresti parlarne con Louise, lei crede molto in te e...»

«Mia madre non sa proprio nulla di me! Pensa di potermi gestire, di guidarmi verso una carriera di successo come ha fatto con mio padre, ma io non sono come lui» m'interruppe con rabbia. «Sono il suo fallimento più grande» continuò, svelando le sue debolezze e quello che probabilmente non aveva mai avuto il coraggio di confessare a sua madre.

«Parli così di lei, ma non le permetti di entrare nella tua vita, non le mostri la tua passione più grande. Se la musica è la tua unica certezza, perché tenerla nascosta? Dovresti esserne fiero.»

«Facile per te. Non sei mai stata in conflitto con i tuoi genitori.»

Cosa ne sapeva lui dei miei genitori? Come poteva anche solo pensare di esprimere un giudizio senza conoscermi?

«Hai ragione, forse non sono in conflitto con loro, ma almeno tu hai dei genitori uniti!» gridai. Chiusi gli occhi, respirai a fondo per recuperare un briciolo di calma, in quel momento non volevo pensare anche a mio padre e alla sua maledettissima assenza.

«I tuoi genitori hanno divorziato?» La domanda di Mathieu era innocente, ma la sua curiosità era una tortura per me.

«Non sono mai stati sposati e non conosco mio padre, non mi ha mai riconosciuta come figlia.»

Lacrime bollenti mi bruciarono le guance e gli occhi, volevo fuggire, sfogare finalmente le mie emozioni. Allontanare quella tensione che mi attanagliava lo stomaco, ma non potevo.

Una mano si posò sulla mia spalla e titubante accarezzò i muscoli contratti del collo, perfino quel tocco delicato e dolce non riuscì a calmarmi. Mi vergognavo per quel pianto, ma non avevo più l'energia sufficiente per arrestarlo. Era così sconvolgente non poter controllare le proprie emozioni.

Mathieu non disse più nulla, probabilmente adesso stava davvero provando compassione per la sottoscritta.

«Sono una cretina!»

Afferrai le sue dita e le spostai dalle mie spalle. Non era naturale stare così vicini né essere consolata da quello che in fondo restava ancora un estraneo per me. Vivere sotto lo stesso tetto non era sinonimo di conoscenza e Mathieu aveva fatto capire più volte che non desiderava essermi amico.

«No, non lo sei» rispose. «Perdonami, non volevo metterti in crisi.»

Dopo le sue parole, restammo ancora per qualche ora seduti su quella panchina. Non ci furono altre confessioni né gesti che potessero avvicinarci. Eravamo dei semplici ragazzi che condividevano la stessa panchina, entrambi con paure e fallimenti che non potevamo più tacere...

La Ragazza che cuciva sogniOù les histoires vivent. Découvrez maintenant